CAPITOLO TRENTA

Le guardie di sicurezza svennero al suono quasi impercettibile del flauto di Virginia Dare. La donna ne tenne sveglia soltanto

una, ipnotizzandola con un’antica ninnananna dei nativi americani, affinché potesse spegnere docilmente le telecamere di sorveglianza, disattivare gli allarmi e aprire i cancelli. La ninnananna cessò con una nota acuta, e la guardia piombò a terra priva di sensi, con il volto contorto dal dolore.

Il Mago scavalcò il corpo, scrutò le altre guardie addormentate e fece un cenno di approvazione. Si voltò a guardare il flauto, inclinando la testa per osservare il motivo a spirale inciso lungo lo strumento. — Il tuo flauto mi ha sempre affascinato — commentò. — Non mi hai mai detto come l’hai avuto.

— È vero — confermò Virginia. Poi si allontanò, evitando la discussione.

Dee la seguì nella Torre di Londra. — Un dono del tuo padrone, forse?

— Io non ho padroni. — Virginia si voltò a guardare il Mago, con un’espressione fredda e irritata. — Ma questo lo sai, naturalmente.

— Oh, giusto: l’hai ucciso.

— Solo un pazzo ucciderebbe un Antico Signore — lo fulminò lei. — E io non sono pazza… a differenza di te.

Dee fece spallucce. — Stai alludendo a Ecate? Quel che fatto è fatto. E, tecnicamente, non l’ho uccisa io… l’Yggdrasill le è caduto addosso.

— Sei sempre stato un maestro di ambiguità con le parole. Perfino Shakespeare ha affermato che avresti potuto scrivere per il teatro. A proposito, ho sentito dire che hai avuto uno scontro con lui e con il Cavaliere saraceno, e che non ne sei uscito troppo bene — disse Virginia, con un sorriso ironico.

Dee si portò al suo fianco. — Sapevi che erano in città?

— Ci tengo molto a sapere con chi condivido la città.

Erano tornati fuori, sotto il cielo notturno, e di fronte a loro c’era un edificio Tudor a pannelli rossi e neri. Il suono dell’acqua che batteva sulla pietra era chiaramente percepibile, e nell’aria c’era odore di umidità.

— Shakespeare è qui dal Sedicesimo secolo; Palamede va e viene. — Virginia attraversò il lastricato, senza fare il minimo rumore con i mocassini di pelle. Si sporse dalla ringhiera di metallo e guardò giù, verso il fossato d’acqua nera; poi indicò il punto in cui un’apertura ad arco sul muro di fronte era stata chiusa con una grata dall’aria solida. Le due metà del cancello erano incurvate nel mezzo, e tra i puntoni si intravedeva un secondo fossato, increspato come olio. — Non vorrai dirmi che l’ingresso al Regno d’Ombra è dall’altra parte del cancello?

— Esatto. Non eri mai stata qui? — chiese Dee, sorpreso.

— Non ho mai avuto il tuo genere di curiosità perniciosa.

Il Mago sorrise. — Curiosando si impara. — Poggiando i gomiti sulla ringhiera, scrutò la grata. — Se potessi usare i miei poteri…

— Se osi anche soltanto pensarlo, attirerai qui ogni creatura presente in città — gli ricordò Virginia. — E stavolta io non ti salverò.

Dee le lanciò un rapido sguardo. — Tu, salvare me? È questo che pensi di avere fatto?

Virginia fece roteare il flauto tra le dita, come un bastone. — Ti ho salvato, sì. Forse saresti stato in grado di affrontare un paio di quelle creature, ma ne stavano arrivando a centinaia. Ogni clan cucubuth d’Europa dev’essere in città. Ho visto perfino qualche canaglia di Torc Madra, e sai quanto sono pericolosi gli uomini cane. Ti avrebbero catturato e consegnato ai tuoi padroni. O meglio, avrebbero consegnato la maggior parte di te.

— La maggior parte di me?

Il sorriso di Virginia era feroce. — Sono sicura che avrebbero dato qualche morso per strada. Solo un assaggino.

Dee rabbrividì. — Odio i cucubuth.

— E puoi stare certo che in questo momento anche loro ti odiano. I tuoi nemici si moltiplicano di ora in ora.

— Anche tu gli sei nemica, ora.

— No. — Virginia fece di nuovo roteare il flauto. — Non mi hanno neanche vista. Daranno la colpa a te.

Dee scosse la testa, ammirato. — Avevo dimenticato che avversaria spietata fossi. Avremmo dovuto unire le forze generazioni fa; insieme avremmo potuto governare il mondo.

— Possiamo ancora farlo. Ma ora devi escogitare un modo per aprire il cancello. Siamo osservati.

Il Mago non si mosse; solo un improvviso irrigidirsi delle spalle tradì la sua tensione. — Dove? Chi?

Virginia indicò con un cenno lo specchio d’acqua nera che avevano di fronte.

Dee si concentrò e lo fissò a lungo. — Due uccelli, in alto… Però gli uccelli non volano di notte, e di certo non lo fanno compiendo dei cerchi perfetti.

— Sono troppo in alto e non posso esserne sicura, ma credo che si tratti di corvi — disse Virginia.

— Corvi? — Dee si leccò le labbra, nervoso. — Be’, ci sono dei corvi nella Torre di Londra…

— Sì, ma con le ali accorciate per impedirgli di volare. Quegli uccelli lassù non sono naturali. Quindi sono…

— Gli uccelli di Odino — bisbigliò Dee.

— Ciò significa che neppure, Geri e Freki, i lupi di Odino, sono lontani. — Virginia sorrise. — Com’è che si chiamano? Oh, sì: Avido e Ingordo. Sono contenta che non stiano dando la caccia a me.

All’improvviso l’aura del Mago esplose, e la sua luce gialla tinse le pareti di ombre scure e sfumature d’ambra, mentre il tanfo di zolfo ammorbò l’aria notturna.

— Che stai facendo? — gridò Virginia Dare, allarmata. — Hai appena tradito la nostra posizione!

In quello stesso istante, il cielo si riempì di ululati e di grida di trionfo. I cucubuth si erano svegliati.

— Ho ucciso Ecate e distrutto l’Albero del Mondo — sbottò Dee. — Odino l’amava. Non vorrà catturarmi per gli Antichi Signori, ma per distruggermi, e in modo lento e crudele. Il tempo delle sottigliezze e dei sotterfugi è finito: dobbiamo andarcene subito di qui! — Volute di aura gialla si staccarono dal corpo del Mago e si riversarono nell’acqua scura, congelandola in uno spesso strato di ghiaccio giallo. Dee scavalcò con un salto la ringhiera e atterrò sulla superficie gelata. Il ghiaccio cigolò, e una sottile rete di crepe comparve ai suoi piedi, senza però cedere. L’immortale sollevò lo sguardo verso la donna. — È la tua ultima occasione. Decidi.

— Ho scelta, forse? — Il bel viso di Virginia si contorse in una brutta maschera di rabbia. — Ora ho il marchio del tuo tanfo addosso. — Saltò con grazia la ringhiera e atterrò al fianco del Mago. Avvicinandosi, schiacciò l’estremità del flauto sotto la gola di Dee, spingendo forte sul pomo d’Adamo, costringendolo ad alzare il mento e a piegare la testa all’indietro. Il Mago cercò di deglutire, ma invano. — Non tradirmi, John Dee — sussurrò Virginia. — Non commettere l’errore di aggiungermi alla lista dei tuoi nemici.

— Ti ho fatto delle promesse — replicò lui, con voce strozzata.

— E ti conviene mantenerle. Voglio governare questo mondo.

Dee cominciò ad annuire… ma all’improvviso si accorse di due enormi corvi che piombavano giù in picchiata nel cielo notturno, senza emettere un suono, con i becchi aguzzi e gli artigli sguainati.

I segreti di Nicholas Flamel l'immortale - 4. Il Negromante
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