CAPITOLO QUARANTATRÉ
— E così ci sono quattro lune… e questa sarebbe una bella notizia? — Ferma all’ingresso della grotta, Giovanna d’Arco osservava le quattro sfere luminose: una enorme e gialla, un’altra più piccola con delle sfumature color seppia; la terza di un brillante verde smeraldo e la quarta incolore. La guerriera francese si passò le dita tra i capelli corti, appiattendoli. — Ci sono tante cose che non so, e l’astronomia non è il mio forte, ma perfino io so che la Terra non ha quattro lune, né le ha mai avute.
Il chiaro di luna faceva sembrare i capelli rossi di Scatty quasi neri, e la sua pelle era perfino più pallida del solito. — Non capisci cosa significa? — ribatté con entusiasmo.
Jeanne scosse la testa.
— Significa che siamo in un Regno d’Ombra.
Jeanne continuò a guardarla senza capire. Le quattro lune erano riflesse nei suoi occhi, come capocchie di spillo. — Perciò non siamo nel passato.
— No — confermò Scatty, prendendo le mani dell’amica tra le sue e stringendole forte.
— Ed è una cosa buona?
— Se fossimo nel passato, saremmo bloccate, senza vie d’uscita. O almeno, io non riuscirei a pensare a una via d’uscita diversa da qualcuno che tornasse indietro nel tempo per salvarci, e le possibilità che quel qualcuno ci ritrovi sarebbero minime. L’unico modo che avremmo per tornare nel nostro tempo sarebbe vivere per un milione di anni o giù di lì.
— Pensi che sia possibile?
— In teoria, sì. Gli Antichi Signori e i membri della Nuova Generazione possono vivere molto a lungo, ma quanto agli homines… non ne sono sicura. Guarda com’è ridotto il povero Gilgamesh dopo diecimila anni. Penso che il corpo possa continuare a vivere, ma la mente si spezza sotto il peso dei ricordi e delle esperienze.
— Perciò, se questo è un Regno d’Ombra… — cominciò Jeanne.
— … significa che deve esserci una porta d’energia — concluse Scatty allegramente.
— E come la troviamo?
Il sorriso di Scathach si spense. — Non ci ho ancora pensato. Ma deve essercene una qui da qualche parte.
I lupi attaccarono all’alba.
Scathach e Jeanne li sconfissero facilmente, rimandandoli a ululare nella fitta nebbia che opprimeva il paesaggio.
Poco dopo, un leone si aggirò furtivo ai piedi della grotta, ma Scatty lo tempestò di sassi finché quello non si allontanò.
Il gigantesco orso dal muso corto fu il successivo. Le due donne lo osservarono avvicinarsi: si muoveva a lunghe falcate sulle quattro zampe, gettando la testa all’indietro per fiutare l’aria. Era una creatura enorme.
— Peserà più di un quintale! — esclamò Scatty, slegando le spade e controllando il nunchaku. — E scommetto che sarà alto almeno tre metri, una volta ritto sulle zampe posteriori.
— Non voglio ucciderlo — disse Jeanne.
— Fidati di me, lui non avrà di queste riserve. — Scatty lo indicò con i bastoni piegati del nunchaku. — Adesso ci sta guardando e pensa: la colazione.
Jeanne scosse la testa, rinfoderò la spada e se la rimise in spalla.
Scatty sospirò. — Se noi non uccidiamo lui, lui ucciderà noi.
— Io non lo ucciderò.
— Posso ricordarti che una volta hai guidato un esercito?
— È stato tanto tempo fa. Mi difenderò, ma non ucciderò una creatura innocente.
— È per questo che sei diventata vegetariana?
Jeanne scoppiò a ridere. — No! Poco dopo che Nicholas mi ha trasfuso il tuo sangue, ho scoperto di detestare il gusto della carne.
L’orso si fermò ai piedi del declivio e sollevò lo sguardo sulle due guerriere. Poi si impennò sulle zampe posteriori, gettò indietro la testa ed emise un possente bramito.
Scatty corresse la valutazione precedente sull’altezza della belva. — Quattro metri. — Esaminò la creatura con sguardo critico. — Posso batterlo.
— Guarda che artigli — replicò Jeanne. — Un colpo solo e ti staccherà la testa. So che sei capace di fare molte cose, ma non credo che farti ricrescere la testa sia tra queste.
Corsero per la maggior parte del mattino, spostandosi con agilità tra le praterie ondeggianti e rigogliose. Ora che sapevano di trovarsi in un Regno d’Ombra, le piccole incoerenze divennero evidenti. La brezza spirava solo da sud e profumava sempre di limone, l’aria era priva di insetti; il sole, anche se sorgeva a oriente e saliva in cielo, sembrava rimanere allo zenit troppo a lungo.
— Sembra quasi che qualcuno abbia creato – o ri-creato – il Pleistocene a memoria — osservò Scatty.
— Be’, gli animali gli sono venuti bene — disse Jeanne. Anche se era allenata e in forma, le sembrava di avere già corso l’equivalente di una maratona, e non c’erano traguardi in vista. Avvertiva una fitta sul fianco e cominciava ad avere i crampi ai polpacci. Era anche consapevole delle vesciche che avevano iniziato a formarsi dentro gli stivali. — Tra poco mi dovrò riposare. E ho bisogno d’acqua.
Scatty indicò a destra. — C’è un corso d’acqua, laggiù.
Jeanne non vedeva nulla. — Come fai a dirlo?
— Abbassa lo sguardo.
La terra era calpestata dalle impronte di dozzine di zoccoli e zampe, e tutte puntavano verso destra.
— Se laggiù c’è un abbeveratoio, ci sarà anche qualcosa che si sta abbeverando — disse Jeanne.
— Quanta sete hai?
— Parecchia.
Scathach sfilò il nunchaku dal fodero e svoltò a destra, seguendo la pista degli animali. — Allora procuriamoci da bere. E ti prometto che non ucciderò nulla che non provi a uccidermi per primo.
La pista digradava verso una piccola valle, e l’erba, che fino ad allora non aveva superato l’altezza della vita, d’un tratto arrivava alle spalle delle due donne, sibilando e frusciando al loro passaggio. L’aria era intrisa dell’odore di vita e di vegetazione. Senza il vento fresco e profumato di limone sul viso, la temperatura crebbe molto presto.
Scathach sollevò una mano; Jeanne si fermò e si voltò subito a guardarsi alle spalle. Erano schiena contro schiena, con le teste vicine.
— Stai attenta! — esclamò l’Ombra. — C’è qualcosa che non va.
Jeanne annuì. — Non si vede nulla, abbiamo le narici intasate di odori e il fruscio dell’erba copre ogni altro rumore. Sarà una coincidenza?
— Non credo alle coincidenze. — Scatty rinfoderò il nunchaku ed estrasse le spade gemelle. — C’è qualcosa che non va — ripeté. — Ed è qualcosa di grave.
Avanzarono con molta cautela, consapevoli della posizione di svantaggio data dai sensi limitati. In quell’erba alta poteva nascondersi qualunque cosa.
— Serpenti! — esclamò Jeanne all’improvviso.
Scatty trasalì. — Dove?
— Da nessuna parte. Mi sono solo resa conto che non ne abbiamo visto neanche uno da quando siamo arrivate. Eppure questo posto dovrebbe esserne pieno. Soprattutto qui, nell’erba; è il loro ambiente ideale.
Fecero un’altra dozzina di passi, e l’erba all’improvviso finì. Di fronte a loro c’era una pozza di un azzurro scintillante; l’acqua perfettamente immobile rifletteva le nubi candide e ferme nel cielo.
Sulla riva, seduto su un masso, c’era un uomo avvolto in un lungo mantello di pelle, con il cappuccio tirato. Voltò la testa per guardarle, e le guerriere videro che la metà inferiore del viso era nascosta da una sciarpa, lasciando in mostra solo un paio di vivaci occhi azzurri.
— Scathach l’Ombra e Giovanna d’Arco. Dove siete state? È tanto che vi aspetto. Benvenute nel mio mondo. — L’uomo incappucciato si alzò.
Quando spalancò le braccia, Scatty e Jeanne videro l’uncino di metallo ricurvo che sostituiva la sua mano sinistra.