CAPITOLO VENTI
Sophie riprese conoscenza, ma rimase immobile, con gli occhi chiusi. Concentrandosi sui propri sensi risvegliati, cercò di crearsi un’immagine mentale dell’ambiente circostante attraverso i suoni, gli odori e le sensazioni che l’avvolgevano. C’era odore di salsedine nell’aria, cosa non insolita per San Francisco, ma era più acre, leggermente più acido del solito, come se fosse molto vicina al mare. Alla salsedine si mescolava il sentore pungente del gasolio, e questo le suggeriva che poteva trovarsi in un porto. Stranamente, nell’aria calda e chiusa percepiva anche l’odore nitido del legno e una traccia di spezie. Prima ancora di accorgersi dei lievi spostamenti sottostanti e dell’acqua che lambiva leggera il legno, capì di trovarsi in una barca. Era distesa, non in un letto, ma su qualcosa di morbido che la sosteneva saldamente e che le teneva i piedi e la testa sollevati.
— So che sei sveglia.
La voce la costrinse ad aprire gli occhi. Scathach! Il rosso violento dei capelli era l’unica macchia di colore nella stanza buia, e per un istante Sophie pensò che la donna fluttuasse nell’aria. Cercò di tirare su la schiena – era distesa su un’amaca, comprese – e scoprì che la guerriera era seduta a gambe incrociate su una cassa di legno; i vestiti neri contribuivano a confonderla col buio. Ma quando Sophie riuscì a raddrizzarsi, fu assalita dagli ultimi ricordi e seppe che non si trattava dell’Ombra. Quella era Aoife.
La ragazza si guardò intorno, notando le tende pesanti alle finestre, una delle quali era stata chiusa con delle assi, mentre le altre erano attraversate da spesse sbarre di metallo. — Come hai fatto capire che ero sveglia? — chiese, faticando un po’ a tenersi dritta sull’amaca.
— Dal modo in cui è cambiato il tuo respiro — rispose Aoife.
Sophie si sporse sul bordo di quella specie di trespolo ondeggiante. Con le gambe a penzoloni, guardò la figura seduta sulla cassa. La somiglianza con Scathach era stupefacente – gli stessi capelli rosso acceso, gli stessi occhi verde brillante e la stessa carnagione pallida – ma c’era qualcosa negli zigomi che la distingueva dalla sorella. E mentre Scatty aveva delle sottili rughe di espressione agli angoli degli occhi e della bocca, il volto della gemella era liscio.
— Non hai paura? — chiese Aoife, piegando leggermente la testa di lato.
— No — rispose Sophie, rendendosene conto all’improvviso. — Dovrei?
— Forse, se tu mi conoscessi…
Sophie stava per replicare che la conosceva, ma questo avrebbe significato rivelare che la Strega di Endor le aveva trasmesso i suoi ricordi, e non voleva ancora che Aoife lo sapesse. — Conosco tua sorella — disse invece.
— Io non sono mia sorella — ribatté Aoife, cambiando accento e svelando così le sue radici celtiche.
— Da che parte stai?
— Dalla mia.
— Oscuri Signori o Antichi Signori? — insistette Sophie.
Aoife liquidò la domanda con un gesto vago delle mani. — Sono termini senza significato. Il bene e il male sono una questione di prospettiva. Ho incontrato un umano immortale, una volta, un uomo di nome William Shakespeare. Ha scritto che niente è solo bene o male, ma che è il pensiero a rendere le cose tali.
Sophie si morse l’interno della guancia per non cambiare espressione. Non aveva nessuna intenzione di dirle che soltanto due giorni prima aveva incontrato il famoso bardo. — Perché mi hai rapita?
— Rapita? — Aoife sgranò gli occhi, sorpresa, poi storse le labbra. — Già, suppongo si possa dire così. Avevo solo bisogno di parlare con te senza interruzioni.
— Potevamo parlare in strada.
— Volevo farlo in privato. Potevi invitarmi a entrare.
Sophie scosse la testa. — No, non volevo. — Poi aggiunse: — Mio fratello ti troverà.
Aoife rise in tono beffardo. — Ne dubito. Abbiamo avuto un breve scontro… È potente, ma incapace. — Poi, con un tocco di quello che avrebbe potuto essere sgomento nella voce, chiese: — È d’oro?
— E io sono d’argento — aggiunse Sophie, fiera.
— I gemelli della leggenda. — Aoife fece un verso di scherno, incredula.
— Non ci credi?
— Sai quanti gemelli della leggenda ci sono stati?
— So che ce ne sono stati altri…
— Molti altri. E sai dove sono ora?
Sophie scosse la testa, anche se conosceva la risposta.
— Queste aure d’oro e d’argento non sono un dono. Sono una maledizione — sbottò Aoife. — Distruggeranno voi e tutti quelli che avete intorno. Ho visto intere città rase al suolo per uccidere un solo gemello.
— L’Alchimista ha detto che gli Oscuri Signori…
— Te l’ho detto: non esistono Oscuri Signori! — la fulminò Aoife. — Esistono solo Antichi Signori, né buoni né cattivi. L’Antica Razza è una sola, e comprende molti esseri. Alcuni sostengono gli homines, altri li disprezzano: è questa l’unica cosa che li differenzia. E anche i cosiddetti “guardiani dell’umanità” cambiano spesso opinione. Pensi che mia sorella sia sempre stata la paladina degli homines?
Quella domanda ammutolì Sophie. Voleva rifiutare quell’insinuazione, ma i ricordi insidiosi della Strega filtrarono nella sua mente, e colse brandelli e lampi della verità – tutta la verità – su Scathach e sul perché fosse chiamata l’Ombra.
— Devi dirmi… — cominciò Aoife.
— Mi farai del male? — la interruppe Sophie.
— Certo che no — rispose Aoife, sorpresa.
— Bene. — Sophie scivolò fuori dall’amaca e mise i piedi a terra. Barcollò appena. — Ho bisogno di mangiare qualcosa: sto morendo di fame. Non è che hai dei cracker o della frutta?
Aoife strizzò gli occhi. Si alzò lentamente e rimase ferma di fronte alla ragazza. — Be’, no. Io non mangio. Non nella forma che tu riconosceresti, almeno.
— Ho bisogno di cibo. Ma niente carne — aggiunse Sophie in fretta, con lo stomaco che si ribellava al solo pensiero. — E neppure cipolle.
— Perché niente cipolle?
— Non mi piacciono.
La casa galleggiante era ormeggiata nella Baia di Sausalito. Era un lunga scatola di legno rettangolare, come l’ultimo piano di una casa posato sull’acqua. Era stata dipinta e ridipinta di verde – ogni volta di una sfumatura diversa – ma la salsedine e il tempo avevano scorticato la vernice, che ormai pendeva in lunghi brandelli, svelando il legno chiazzato sottostante. Non aveva un motore, ed era evidente che da anni non si muoveva da quell’attracco.
Sophie e Aoife sedevano sul ponte, su due sedie di plastica bianca. La ragazza aveva già mangiato due banane, un’arancia e una pera e stava facendo lentamente fuori un grosso grappolo d’uva, lanciando i semi in acqua.
— Non sono vostra nemica, ma non potete nemmeno considerarmi un’amica — disse Aoife. — Voglio solo sapere cos’è successo a mia sorella.
— Perché ti interessa? — domandò Sophie, guardando l’altra di sottecchi. Anche se gli occhi di Aoife erano nascosti dietro le lenti scure, percepì lo stesso il suo sguardo penetrante. — Pensavo che non vi parlaste più da secoli.
— Ma è sempre mia sorella. È… la mia famiglia. Mi sento responsabile per lei.
Sophie annuì. Si era sempre sentita investita della responsabilità di badare a Josh, anche se lui era perfettamente in grado di badare a se stesso. — Quanto sai di quello che è successo negli ultimi giorni?
— Nulla. Ho percepito che Scathach se ne andava e sono subito accorsa qui.
— Dov’eri?
— Nel deserto del Gobi.
Sophie strizzò un seme tra le dita e lo guardò disegnare un arco in aria e atterrare in acqua. — È in Mongolia, giusto?
— Sì.
— Scatty è scomparsa solo ieri. Perciò hai usato una porta d’energia per venire qui.
— Ho usato un trucchetto che il tuo amico Saint-Germain mi ha insegnato molto tempo fa: riesco a vedere le spire d’oro e d’argento delle porte d’energia. Ho usato le porte per attraversare diversi luoghi e giungere fino a qui: il tempio di Ise in Giappone, Uluru in Australia, l’Isola di Pasqua e infine il Monte Tamalpais. — Aoife si sporse in avanti e diede un colpetto sul ginocchio di Sophie. — E io odio le porte di energia.
— Scatty dice che le danno il mal di mare.
Aoife tornò ad appoggiarsi allo schienale e annuì. — È proprio così che mi sento.
Sophie si voltò verso il punto in cui il giapponese che le aveva accompagnate in limousine stava grattando via un po’ di vernice dal muro. — Lui è venuto con te dal Giappone?
— Chi? Niten? No, lui vive qui a San Francisco. È un umano immortale e siamo vecchi amici — aggiunse, con una traccia di sorriso sincero. — Questa casa è sua.
— Sembra che non ci abiti da un pezzo.
— Niten viaggia. Vaga per i Regni d’Ombra.
Sophie guardò di nuovo il giapponese. All’inizio gli aveva attribuito una ventina d’anni, ma in quel momento scorse le rughe sottili che aveva intorno agli occhi, e notò che aveva i polsi e le nocche delle mani molto robusti: i segni evidenti di un praticante assiduo di arti marziali. Stava strappando la vernice dal legno con mosse pulite e fluide.
— Dimmi cos’è successo a mia sorella.
Sophie si voltò a guardare Aoife e posò il grappolo d’uva. — Posso solo dirti quello che Nicholas Flamel ha detto a me e Josh ieri, e che a lui è stato riferito da Saint-Germain. Scathach e Giovanna d’Arco si stavano apprestando a saltare da Parigi al Monte Tamalpais per cercare di salvare Perenelle, che era intrappolata ad Alcatraz…
Aoife sollevò una mano. — Che c’entra Giovanna d’Arco?
— Ha sposato Saint-Germain. — Sophie sorrise all’espressione stupita che si formò sul viso della guerriera. — Non lo sapevi? Credo che si siano sposati di recente.
— Giovanna d’Arco e Saint-Germain… — mormorò Aoife, scuotendo la testa. — Hai sentito? — chiese a Niten, senza alzare la voce.
— Pensavo che lo sapessi — replicò il giapponese, in un sussurro che in qualche modo riusciva a farsi comunque percepire. Continuò a strappare lunghi lembi di vernice dal fianco della casa.
— E come avrei potuto? Nessuno mi dice mai niente. — Aoife si girò sulla sedia per guardare Niten. — Perché non me l’hai detto?
— Non ti è mai piaciuta la francese, e sapevo che l’avresti trovata ancora più antipatica perché tua sorella l’ha resa immortale con il suo sangue.
— Davvero? — Aoife sembrava inorridita. — Jeanne ha il sangue di mia sorella dentro di sé?
— Non lo sapevi? — domandò Sophie, sorpresa.
— No. Come è successo?
— Jeanne era stata condannato al rogo. Scathach è corsa in città e l’ha salvata, senza l’aiuto di nessuno; ma Jeanne è rimasta ferita nella fuga. L’unico modo per salvarle la vita era una trasfusione di sangue — spiegò Sophie.
Aoife si sporse in avanti, con i gomiti sulle ginocchia, le dita lunghe e pallide intrecciate. — Parlami di mia sorella. Cosa le è accaduto?
— Non so molto altro — replicò Sophie. — A quanto pare, hanno cercato di usare la porta di energia di Notre Dame, ma era sabotata. Saint-Germain ha trovato tracce di polvere di mammut, e Nicholas pensa che sia colpa di Machiavelli. Invece di atterrare sul Monte Tamalpais e nel presente, sembra che siano finite in un punto imprecisato del passato.
— Ma quando, di preciso?
— Nicholas e Saint-Germain pensano che le ossa di mammut indichino il Pleistocene. Perciò potrebbe essere ovunque in un arco di tempo che va dagli otto milioni agli undicimila anni fa. —Sophie si accorse sbigottita che Aoife si rilassava.
— Oh, non è tanto male, allora. Se è tutto qui, possiamo andare a salvarle.
— E come?
— Esistono dei modi. — Aoife lanciò un’occhiata a Niten. — Forse è ora che parliamo con i Flamel e cerchiamo di capire se hanno altre informazioni. Sai dove sono?
— Sì — rispose Niten, continuando a grattare la vernice.
— Mi faresti la cortesia di dirmelo?
Sophie percepì chiaramente la punta di irritazione nella voce di Aoife.
Il giapponese indicò con un cenno del mento verso la costa: una Thunderbird rosso brillante puntava verso il molo in una nuvola di polvere. — Proprio qui.