CAPITOLO QUARANTOTTO
Sophie urlò e si allontanò dal tavolo della cucina stringendosi forte una mano.
Perenelle e Aoife scattarono subito in piedi, portandosi al suo fianco. Solo Flamel e Niten rimasero a sedere.
— Che succede? — domandò la Fattucchiera.
Sophie sollevò la mano destra: il palmo era arrossato. — Mi… mi sono sentita scottare — disse, strizzando gli occhi per scacciare le lacrime.
Perenelle corse al lavandino e bagnò uno strofinaccio con l’acqua fredda, poi lo premette sul palmo della ragazza. — Dunque è iniziato… — mormorò. — Prometeo sta insegnando a tuo fratello la Magia del Fuoco.
— Ma quando Saint-Germain l’ha insegnata a me, non mi ha fatto male.
— Ci sono molti modi di insegnare la magia, tanti quanti sono gli insegnanti — replicò la Fattucchiera.
— Devo andare da lui…
— Non puoi. Questa è una cosa che deve affrontare da solo. — Perenelle ricondusse Sophie al tavolo. — Siediti. Anche noi abbiamo qualcosa da fare.
La Fattucchiera si sedette di fronte a Nicholas, al tavolo della cucina. Aoife si era sistemata sulla terza sedia, di fronte a Sophie. Niten era sul divano su cui la ragazza aveva dormito; Lento e metodico, stava passando un panno per tutta la lunghezza della sua katana.
Al centro del tavolo c’era una scatola di legno intagliato. Sophie la guardò attentamente; percepiva una traccia di spezie esotiche nell’aria, e riconobbe un aroma: gelsomino, il profumo preferito di zia Agnes. Mentre esaminava la scatola, si rese conto di avere già visto la tripla spirale incisa sui lati e sul coperchio. Ebbe l’improvvisa visione di Sofonia che notava lo stesso disegno sulle pareti di vetro della Città Senza Nome.
Sophie osservò Nicholas sollevare con cautela il coperchio, infilare una mano nella scatola e tirare fuori un oggetto avvolto in un sacchetto di erba e vimini finemente intrecciati.
L’una dopo l’altra, le aure di tutti i presenti si accesero, lanciando lapilli di luce per la stanza: verdi e bianchi, d’argento e grigi, e blu scuro da Niten.
I capelli di Perenelle si sollevarono un poco sulle spalle, percorsi da scintille di elettricità. La Fattucchiera raccolse la scatola e il coperchio e li appoggiò a terra, mentre l’Alchimista posava l’oggetto chiuso nel sacchetto al centro del tavolo. Nicholas cominciò a tirare i cordoncini d’erba intrecciati, e rivoli di energia crepitante fluirono sulle sue dita.
— Forse avrai già visto questo oggetto — disse Perenelle ad Aoife, e poi guardò Sophie. — Anche tu. Be’, non tu, ma la Strega. In effetti, forse tu lo conosci meglio di tutti noi.
Nicholas sciolse i nodi. Il rivestimento si staccò, rivelando un bellissimo e intricato teschio di cristallo che era quasi – ma non del tutto – umano. Quando l’Alchimista vi posò la mano sopra, una lenta ondata di luce verde menta pulsò all’interno del cristallo traslucido. Perenelle posò una mano sopra quella del marito, e il teschio cominciò a emettere un bagliore.
— Ora tu — disse Nicholas, rivolto ad Aoife.
Lei lo guardò con un’espressione di disgusto dipinta in viso. — Non ho intenzione di toccare quella cosa abominevole — disse con voce roca.
— Come vuoi. — L’Alchimista si rivolse a Sophie. — Ci serve la forza della tua aura…
Stordita dallo shock, la ragazza ebbe la sensazione che qualcuno avesse risucchiato via l’aria dalla stanza. Aveva già visto quel teschio…
Sofonia era di nuovo nella Città Senza Nome. Cercava di proteggere Prometeo dalle orde di mostri che si stavano radunando fuori. Neanche all’interno della biblioteca i pericoli erano pochi: tutt’intorno a lei, quella gente di argilla animata si accalcava, minacciando di schiacciarla.
Stava trascinando nelle profondità dell’edificio il fratello svenuto. Fuori era calata la notte, e creature invisibili vagavano per le vie deserte, con gli artigli che ticchettavano, la carne che strisciava e raschiava ruvida sulla pietra. Sofonia riusciva a percepirne l’odore rancido: puzzavano come coccodrilli.
Scoprì una stanza nel cuore della biblioteca. Le porte insolitamente alte erano chiuse, ma una parte del vetro vicino al pavimento mancava. In epoche passate, un terremoto doveva avere scosso la città, e una sezione del pavimento aveva ceduto; i blocchi di vetro delle pareti si erano spostati, distanziandosi e creando un ampio varco.
Sofonia strisciò nell’apertura e trascinò dentro il fratello, un attimo prima che i mostri li raggiungessero. Li sentiva mordere e sibilare, udiva il suono dell’argilla che si infrangeva.
All’improvviso la stanza si illuminò di un tenue bagliore lattiginoso. Le pareti erano spoglie – anche se un tempo probabilmente ospitavano innumerevoli libri – e l’unica cosa rimasta al centro della stanza era un teschio di cristallo sopra una base di metallo levigato.
Sofonia vide scintillare una luce all’interno del teschio, che cominciò a pulsare, e scoprì che stava battendo al ritmo del suo cuore.
E poi il teschio le parlò…
E le sue rivelazioni furono terrificanti.
Sophie sapeva cos’era il teschio, conosceva le sue origini e i suoi poteri.
Era tecnologia degli Arconti, che avevano creato i teschi basandosi su un sapere ancora più antico. La Strega aveva trascorso secoli alla ricerca di manufatti proprio come quello e, quando li aveva trovati, li aveva annientati. Aveva cancellato millenni infiniti di conoscenza, incendiando vasti depositi di libri di metallo; fondendo gli oggetti e i manufatti antichi che avevano l’aspetto di spade, lance e coltelli; infrangendo sfere di cristallo e riducendo gioielli favolosi in polvere. Aveva investito grosse fortune nella ricerca dei teschi degli Arconti. Erano infrangibili e impenetrabili a ogni tipo di lama o strumento, ma alla fine aveva scoperto di poterli distruggere gettandoli nella bocca di un vulcano attivo, dove venivano inghiottiti dalla lava fusa. Dopo avere eliminato ogni oggetto magico che era riuscita a trovare, la Strega si era apprestata a uccidere i cantastorie che tenevano in vita i ricordi degli Arconti e dei loro predecessori, i Signori della Terra.
Ma tutto questo era accaduto più tardi.
Molto più tardi.
Dopo la caduta di Danu Talis. Dopo che aveva compreso quanto i teschi fossero pericolosi.
— Sophie? — Perenelle si sporse in avanti, con gli occhi fissi sul volto della ragazza. — Ci serve la tua aura. Posa una mano sul teschio.
Sophie scosse la testa, con un movimento breve, quasi impercettibile.
La Fattucchiera strizzò gli occhi, sorpresa. — Sai… o meglio, la Strega sa qualcosa sul teschio di cristallo?
Sophie guardò Perenelle, e poi lentamente scosse la testa. L’istinto – o era il sapere della Strega? – la indusse a mentire: — No.
In quello stesso istante, si udì uno piccolo scoppio e la lampadina esplose, facendo piombare la stanza al buio… tranne per il bagliore del teschio.