CAPITOLO DIECI

Nella confusione serale di Covent Garden, a Londra, nessuno dei turisti che affollavano la piazza fece caso alla donna alta e snella che si era sistemata tra due delle colonne del pub Punch & Judy. Aveva una cascata di capelli nerissimi. Dopo aver disteso sul selciato un morbido riquadro di pelle dipinto con delle spirali rosse, la donna sfilò da una custodia un flauto di legno intagliato, se lo portò alle labbra e cominciò a suonare, a occhi chiusi.

La melodia era straordinaria.

Amplificata dalle colonne di pietra, quella musica eterea e ammaliatrice si diffuse per tutta la piazza, inondando il selciato, inducendo la gente a fermarsi. Nel giro di pochi minuti, intorno alla donna si era formato un capannello.

In piedi, perfettamente immobile, lei continuava a suonare. Era una melodia che nessuno degli ascoltatori conosceva, sebbene molti la trovassero familiare e si scoprissero a seguirne il ritmo con i piedi o con le dita. Alcuni si commossero perfino.

Poi, finalmente, quella musica antica e senza parole si concluse, con un’unica nota acuta che suonò come uno stormo di uccelli lontani. Ci fu un lungo attimo di silenzio, poi la musicista aprì gli occhi e si inchinò. Il pubblico applaudì con entusiasmo e cominciò quasi subito a disperdersi verso Apple Market. Alcuni lasciarono un’offerta – sterline, dollari, euro – sul riquadro di pelle, e due persone chiesero alla donna di comprare un CD con la sua musica, ma lei scosse la testa e spiegò che ogni esibizione era unica e irripetibile. Li ringraziò per l’interesse con una voce morbida e quieta, che aveva solo un lievissimo accento della costa orientale degli Stati Uniti.

Alla fine rimase un solo ascoltatore: un uomo più anziano, che osservava attento mentre la donna puliva il flauto e lo infilava in una custodia di pelle fatta a mano. L’uomo aspettò finché lei non si fu chinata a raccogliere il riquadro rosso con le offerte, quindi si fece avanti e lasciò cadere una banconota da cinquanta sterline. La donna la raccolse e lo guardò, ma l’uomo aveva la testa in controluce: il volto era in ombra.

— Ne avrai altre cinquanta, se mi concedi qualche minuto del tuo tempo.

La donna raddrizzò la schiena. — Senti senti… Una voce del mio passato. — Era più alta dell’uomo, e mentre il suo volto elegante e delicato rimase impassibile, i suoi occhi grigio ardesia scintillarono divertiti. — Dottor John Dee — mormorò con un accento che non si udiva in Inghilterra dall’epoca della regina Elisabetta.

— Miss Virginia Dare — replicò Dee, passando facilmente allo stesso accento. Poi spostò la testa, e la luce della sera inondò il suo viso. — Lieto di rivederti.

— Non posso dire altrettanto. — La donna si guardò rapidamente intorno, con le narici dilatate. Fece scattare rapidamente la lingua, come un serpente che saggi l’aria. — Non so se è il caso di farsi vedere in giro con te. Hai ricevuto il marchio della morte, dottore. Gli stessi mercenari che fino a ieri davano la caccia all’Alchimista ora stanno cercando te. — Non c’era niente di amichevole nel sorriso che le incurvò le labbra. — Come fai a sapere che non ti ucciderò per soldi?

— Be’, per due ragioni. Primo, so che i miei padroni mi vogliono vivo — replicò Dee, con un sorriso disinvolto. — Secondo, gli Oscuri Padroni hanno poco da offrirti che tu non abbia già. Sei già immortale, e non hai padroni.

— C’è una taglia molto grossa sulla sua testa — osservò Virginia Dare, ficcandosi il denaro nelle tasche del lungo soprabito di jeans. Infilò il riquadro di pelle in un’altra tasca e si sistemò il flauto su una spalla, come un fucile.

— Io posso darti di più — ribatté il Mago, in tono sicuro. — Molto di più.

— John, sei sempre stato un terribile sbruffone! — esclamò la donna, quasi con affetto.

— Ma non ti ho mai mentito.

Virginia sembrò sorpresa. Attese un attimo prima di rispondere. — È vero — ammise infine.

— Non sei nemmeno un po’ curiosa?

— John, sai benissimo che sono sempre curiosa.

Dee sorrise. — Cosa desideri di più al mondo?

Un’espressione smarrita attraversò il viso di Virginia Dare, e i suoi occhi si rannuvolarono. — È qualcosa che nemmeno tu puoi darmi.

Il Mago si inchinò appena. Conosceva Virginia Dare da oltre quattrocento anni. C’era stato un tempo in cui avevano preso in sera considerazione il matrimonio, ma perfino lui doveva ammettere di conoscere ben poco sul conto della misteriosa immortale.

— Puoi offrirmi un Regno d’Ombra?

— Penso di poterti offrire di meglio. Potrei essere in grado di offrirti il mondo.

— Quale mondo?

— Questo.

Virginia Dare lo prese a braccetto e lo guidò verso un caffè sul lato opposto della piazza. — Offrimi una tazza di tè, e parliamone. Ho sempre avuto un debole per questo mondo.

Ma Dee si bloccò. Il suo sguardo saettò a sinistra.

Virginia si voltò lentamente, con le narici di nuovo dilatate. Un trio di giovani con la testa rasata era entrato nella piazza. Indossavano una sorta di divisa fatta di magliette sporche e scolorite, jeans e scarponi pesanti. Le braccia e le spalle erano coperte di tatuaggi, e uno, il più basso, ne aveva uno particolarmente intricato che partiva dalla gola e arrivava in cima alla testa: una spirale rossa e nera.

— Cucubuth — mormorò il Mago. — Forse possiamo svignarcela senza farci notare… — Dee si fermò quando uno dei tre si voltò a guardarli. — O forse no — aggiunse con un sospiro.

Virginia Dare fece un passo indietro, e poi un altro, lasciandolo lì in piedi da solo. — Non contare su di me, dottore.

— Vedo che non sei cambiata.

— È così che sono sopravvissuta tutti questi anni. Non mi faccio mai coinvolgere. Non mi schiero mai.

— Forse dovresti.

I segreti di Nicholas Flamel l'immortale - 4. Il Negromante
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