CAPITOLO UNDICI

I due enormi corvi, Huginn e Muninn, arrivarono sul cielo di Londra. Anche se somigliavano a uccelli, quelle creature erano antiche quasi quanto la razza degli homines e non erano né vive né morte, ma qualcosa nel mezzo. Praticamente immortali, possedevano il potere del linguaggio degli uomini ed erano stati creati dalla dea dai tre volti, Ecate, come dono per Odino, l’Antico Signore di Asgard.

Ma ormai Ecate non c’era più – per la prima volta da generazioni, un Antico Signore era stato ucciso – e il suo Regno d’Ombra era andato distrutto, insieme ai due regni adiacenti, Asgard e Niflheim.

E la colpa era di John Dee.

Molti Antichi Signori avevano reclamato la sua morte, ma nei giorni successivi alla distruzione dell’Yggdrasill e dei tre regni, i suoi potenti padroni lo avevano protetto. Tuttavia, dopo il disastro di Parigi e la fuga dell’Alchimista e dei gemelli dall’Inghilterra, quella protezione gli era stata revocata. Una volta dichiarato utlaga, Dee era diventato una preda per tutti.

Odino aveva giurato di compiere una terribile vendetta sul dottore, reo della morte di Ecate, la donna che un tempo aveva amato. L’Antico Signore con un solo occhio sapeva che Hel, la sua acerrima rivale, era sfuggita alla distruzione di Niflheim, il suo Regno d’Ombra, e che si era messa sulle tracce di Dee; tuttavia era deciso a trovarlo e a sbarazzarsene per primo. Perciò aveva mandato i suoi messaggeri nel Regno d’Ombra degli homines.

Gli uccelli perlustrarono la città con occhi che vedevano ben oltre il mondo fisico, attenti a individuare qualsiasi attività insolita. Notarono e riferirono all’Antico Signore la presenza di miriadi di creature che si muovevano per le strade trafficate. Volteggiando sulle macerie fumanti di uno sfasciacarrozze, sfruttando un vento intriso di benzina, avvertirono le tracce sottili di poteri antichi e straordinari. Sorvolando la pianura di Salisbury, si attardarono sopra l’antico sito di Stonehenge, dove l’aria era satura del profumo di arance e vaniglia e il terreno era una pozza di fango per il passaggio di migliaia di zoccoli e artigli.

Poi tornarono verso la capitale inglese, dove rimasero a fluttuare pigramente sulle correnti, quasi troppo in alto per essere visti, disegnando ampi cerchi nell’aria, in attesa, in attesa, in attesa…

E poiché non conoscevano il significato del tempo, la loro pazienza era infinita.