CAPITOLO TRE
— Ora telefonate subito ai vostri genitori! — Zia Agnes scoccò a Sophie un’occhiataccia miope e poi si rivolse a Josh, che era più vicino. — Sono molto preoccupati per voi. Mi chiamano tutti i giorni, due o tre volte al giorno. Proprio stamattina mi hanno detto che, se entro oggi non foste tornati a casa, avrebbero chiamato la polizia e denunciato la vostra scomparsa, dicendo che siete stati rapiti.
— Non siamo stati rapiti! Abbiamo parlato con mamma e papà un paio di giorni fa — disse Josh, cercando disperatamente di ricordare quando era successo di preciso. Venerdì forse? O sabato? Lanciò un’occhiata di sbieco alla sorella, ma lei stava ancora fissando la donna vestita di nero che somigliava a Scathach in modo così stupefacente. Si voltò verso la zia. Sapeva di avere ricevuto una e-mail dai suoi genitori… sabato forse? Quando erano tutti a Parigi? Ora che era tornato a San Francisco, gli ultimi giorni cominciavano a confondersi. — Siamo appena tornati — disse infine, scegliendo la verità. Diede alla zia due rapidi baci sulle guance. — Tu come sei stata in questi giorni? Ci sei mancata.
— Potevate telefonare! — replicò zia Agnes. — Dovevate telefonare! — Occhi grigio ardesia ingigantiti dalle lenti spesse puntavano i gemelli con un’espressione furibonda. — Preoccupata da morire, ecco come sono stata. Ho telefonato alla libreria una dozzina di volte per cercarti, e tu non rispondevi mai al cellulare. A che ti serve un cellulare, se non rispondi?
— Per la maggior parte del tempo non c’era campo — replicò Josh, attenendosi alla verità. — E poi ho perso il cellulare — aggiunse, e anche questo era vero. Il telefono era scomparso insieme alla maggior parte dei suoi averi quando Dee aveva distrutto l’Yggdrasill.
L’anziana donna scosse la testa, sdegnata. — È il terzo, quest’anno.
— Il secondo — replicò Josh.
Zia Agnes si voltò e salì lentamente le scale. Rifiutò l’aiuto del nipote. — Lasciami stare; non sono così derelitta… — Poi tese la mano e si aggrappò al suo braccio. — Ma sì, aiutami, giovanotto. — Quando raggiunsero la porta, si voltò a guardare la nipote. — Sophie, vieni?
— Tra un minuto, zia. — Sophie guardò il fratello, poi ammiccò verso la porta aperta. — Arrivo tra un minuto, Josh. Perché non accompagni la zia dentro e non le preparai una tazza di tè?
Josh stava per scuotere la testa, ma zia Agnes gli conficcò le dita nel braccio con una forza insospettata. — E mentre il bollitore è sul fuoco, puoi telefonare ai tuoi genitori. — L’anziana donna fece un cenno col capo a Sophie. — Non metterci troppo.
La ragazza scosse la testa. — Non ti preoccupare. — Non appena Josh e zia Agnes scomparvero in casa, Sophie si voltò verso la sconosciuta. — Chi sei?
— Aoife — rispose la donna, pronunciando il nome “I-fa”. Si chinò e passò le mani guantate di nero sulla gomma forata della limousine, quindi parlò in una lingua che Sophie riconobbe come giapponese.
L’uomo che Josh aveva incontrato in casa si tolse la giacca, la lanciò sul sedile anteriore e aprì il cofano per tirare fuori il cric. Lo sistemò sotto la macchina, la sollevò con facilità e iniziò a cambiare la ruota.
Aoife si spazzolò le mani, incrociò le braccia al petto e piegò un po’ la testa per guardare Sophie. — Non ce n’era bisogno. — Parlava con una lieve cadenza straniera.
— Abbiamo pensato che voleste rapire nostra zia — replicò Sophie, con calma. Il nome della donna aveva fatto scattare subito una dozzina di immagini nella sua mente, ma non riusciva a distinguere bene i ricordi di Scathach da quelli di Aoife. — Volevamo fermarvi.
Aoife sorrise senza mostrare i denti. — Se avessi voluto rapire vostra zia, sarei capitata qui in pieno giorno?
— Non lo so. Lo avresti fatto?
La donna si tirò su gli occhiali, coprendo gli occhi verdi, e rifletté per un attimo. — Forse sì. Forse no. Ma se avessi voluto vostra zia, me la sarei presa — aggiunse con un sorriso, mettendo in mostra i denti da vampiro.
— Tu sei Aoife delle Ombre — disse Sophie.
— Sono la sorella di Scathach. Siamo gemelle. Io sono la maggiore.
Sophie fece un passo indietro, mentre i ricordi della Strega trovavano finalmente il loro posto. — Scathach mi ha parlato della sua famiglia, ma non mi aveva confidato di avere una sorella — disse, non volendo rivelare alla donna quanto sapeva di lei.
— Non mi sorprende. Abbiamo avuto un diverbio.
— Un diverbio? — ripeté Sophie, anche se sapeva già che avevano litigato per un uomo, e ne conosceva anche il nome.
— Per via di un uomo — continuò Aoife, con una lieve traccia di tristezza nella voce. — Non ci parliamo più da molto tempo. — Controllò la strada in entrambe le direzioni, poi alzò le spalle. — Mi ha ripudiata. E io ho ripudiato lei. Ma non ho mai smesso di tenerla d’occhio. — Aoife sorrise di nuovo. — Sono sicura che tu mi capisci.
Sophie annuì. Anche se Josh era più grande e più forte, lei lo considerava ancora come il suo fratellino. — Lui è il mio gemello.
— Non lo sapevo… — Aoife chinò un poco la testa, guardando la ragazza da oltre il bordo degli occhiali scuri. Poi annuì. — E siete stati entrambi risvegliati…
— Cosa ti ha portato qui? — domandò Sophie.
— Ho percepito che Scathach… se ne andava.
— In che senso?
— L’ho sentita svanire, lasciare questo particolare Regno d’Ombra. Siamo collegate da legami simili a quelli che esistono fra te e tuo fratello. Ho sempre saputo quando lei soffriva, quando era ferita, affamata o spaventata…
Sophie si ritrovò ad annuire. Anche lei aveva percepito il dolore del fratello, certe volte: quando si era rotto le costole giocando a football, aveva provato una fitta improvvisa sul fianco, e quando era quasi affogato alle Hawaii si era svegliata senza fiato, con la sensazione di soffocare. Quando lei si era slogata una spalla a taekwondo, anche a Josh si era gonfiata la spalla e gli era spuntato un livido identico al suo.
Aoife abbaiò una domanda rapidissima in giapponese, e l’autista rispose con un monosillabo. Poi la donna si voltò verso Sophie. — Possiamo starcene qui a parlare in strada, oppure puoi invitarmi a entrare e possiamo parlare con comodo — disse, mostrando i canini in un lampo di sorriso.
Un campanello d’allarme risuonò nella testa di Sophie. Sapeva che i vampiri possono varcare una soglia solo se invitati, e capì subito di non avere nessuna intenzione di voler invitare Aoife in casa della zia. C’era qualcosa in lei…
Lentamente, Sophie permise al resto dei ricordi che affollavano i margini della sua mente di affiorare in superficie. E fu uno shock. All’improvviso seppe tutto ciò che la Strega di Endor sapeva sul conto di Aoife delle Ombre. Le immagini e i ricordi erano terrorizzanti.
Con gli occhi sgranati dal terrore, Sophie fece un passo indietro per allontanarsi da quella creatura, accorgendosi all’ultimo secondo di avere l’autista dietro di sé. Fece per schiacciare il tatuaggio che aveva sul polso, ma l’uomo glielo impedì afferrandola per le braccia e spalancandole. Aoife fece un passo avanti, prese i polsi di Sophie e li piegò per scoprire il disegno che Saint-Germain le aveva impresso sulla carne.
La ragazza cercò di divincolarsi, ma l’autista la stringeva così forte da farle formicolare le dita delle mani. — Lasciami andare! Josh ti…
— Il tuo gemello non ha poteri. — Aoife si sfilò un guanto di pelle e prese una mano di Sophie tra le sue dita fredde. Un fumo grigio sporco si levò dalla carnagione pallida della vampira. Passò un dito sull’elaborato bracciale celtico che avvolgeva il polso della ragazza, e si fermò sul cerchio dorato con il centro rosso. — Ah, il marchio del Fuoco! — esclamò. — Avevi intenzione di bruciarmi?
— Lasciami andare! — Sophie cercò di allontanare con un calcio l’uomo che la bloccava, ma lui rinsaldò la presa. La ragazza cominciò a spaventarsi. Perfino la Strega di Endor era cauta, quando si trattava di Aoife delle Ombre.
La vampira le torse dolorosamente il polso e si piegò a esaminare il tatuaggio. — È opera di un maestro. Chi ti ha fatto questo… dono? — Aoife pronunciò l’ultima parola piegando la bocca in una smorfia disgustata.
Sophie strinse le labbra. Non aveva nessuna intenzione di risponderle.
Gli occhiali di Aoife scivolarono di nuovo sulla punta del naso, rivelando gli occhi verdi come schegge di vetro. — Maui… Prometeo… Xolotl… Pele… Agni… — La vampira scosse la testa. — No, nessuno di loro. Sei appena tornata da Parigi, perciò dev’essere qualcuno di quelle parti… — La sua voce si spense. Guardò l’autista vestito di nero, oltre la spalla di Sophie. — C’è un Maestro del Fuoco nella capitale francese?
— Il tuo vecchio avversario, il Conte, abita lì.
— Saint-Germain! — esclamò Aoife. Poi vide che Sophie sgranava gli occhi e le rivolse un sorriso crudele. — Saint-Germain il bugiardo. Saint-Germain il ladro. Avrei dovuto ucciderlo quando ne ho avuto l’occasione. — La vampira guardò l’autista. — Prendila. Continueremo questa conversazione in privato.
Sophie aprì la bocca per gridare, ma Aoife le schiacciò il dito indice sull’attaccatura del naso. L’aura grigia colò dalle dita della vampira; il fumo avvolse la testa della ragazza, penetrandole nelle narici e nella bocca.
Sophie cercò di attivare la propria aura, ma ci riuscì solo per un brevissimo istante. Un attimo dopo era svenuta.