CAPITOLO SEI
— Ci sono stati giorni peggiori! — esclamò il dottor Dee, anche se non riusciva a ricordare quando.
Dopo il disastro di Stonehenge e la fuga dei gemelli attraverso la porta di energia, il Mago aveva trascorso il resto della notte e l’inizio del giorno seguente tra le macerie del fienile che, fino a poche ore prima, era stato il nascondiglio di Flamel e dei gemelli. Gli elicotteri ronzavano in cielo e le sirene della polizia e delle ambulanze strillavano sulla vicina A344.
Quando tutte le attività investigative erano finalmente cessate, nel primo pomeriggio, Dee aveva abbandonato il fienile e si era diretto verso Londra, a piedi, tenendosi sulle strade secondarie. Sotto il cappotto, avvolta in uno straccio, custodiva la spada di pietra che un tempo era stata due spade, Clarent ed Excalibur. Fremeva e palpitava contro la sua pelle come un cuore pulsante.
Il traffico era quasi inesistente in quelle strette vie di campagna, e Dee aveva appena cominciato a riflettere sull’opportunità di rubare una macchina nella cittadina più vicina, quando un anziano parroco a bordo di una Morris Minor altrettanto attempata si fermò e gli offrì un passaggio.
— Ha avuto fortuna che passassi da queste parti — disse il vecchio, con un gracchiante accento gallese. — Ormai sono in pochi a usare queste strade, con l’autostrada così vicina.
— Ho avuto un guasto alla macchina, e devo tornare a Londra per una riunione — replicò Dee, imitando l’accento del suo interlocutore. — Mi sono perso.
L’uomo dai capelli bianchi annuì.— Posso accompagnarla io. Mi fa piacere un po’ di compagnia. Ho ascoltato la radio, e tutte queste ciance sull’allarme sicurezza mi hanno un po’ innervosito.
— Cos’è successo? — chiese Dee, mantenendo un tono disinvolto. — In effetti, mi era sembrato che ci fosse un sacco di polizia in giro.
— Ma dov’è stato nelle ultime dodici ore? — domandò il parroco, mostrando la dentiera in un sorriso.
— Ero impegnato. Ho incontrato dei vecchi amici, e avevamo un sacco di cose di cui parlare.
— Allora si è perso tutto il caos…
Dee rimase impassibile.
— Una grande operazione di sicurezza ha chiuso il centro della capitale, ieri. La BBC sosteneva che la stessa cellula terroristica che ha agito a Parigi si trovava a Londra. — Aggrappandosi forte all’ampio volante, il parroco lanciò un’occhiata al suo passeggero. — Almeno avrà saputo quello che è successo a Parigi, no?
— L’ho letto sui giornali — mormorò il Mago, scuotendo inconsapevolmente la testa. Machiavelli controllava Parigi: come aveva potuto permettere che Flamel e i gemelli sfuggissero alle maglie della sua rete?
— Sono tempi pericolosi.
— Ha ragione, sì — concordò Dee. — Ma non crederà a tutto quello che dicono i giornali?
C’erano dei posti di blocco sulle strade principali che conducevano a Londra, ma la polizia lanciò a stento un’occhiata a quella vecchia carretta con due anziani a bordo, e gli fece subito cenno di procedere.
Il parroco lasciò Dee a Mayfair, nel cuore della capitale inglese, e il dottore raggiunse a piedi la stazione di Green Park della metropolitana. Prese la Jubilee Line fino al cuore di Canary Wharf, dove la Enoch Enterprises aveva il suo quartier generale nel Regno Unito. Stava correndo un rischio calcolato. L’Oscuro Signore suo padrone forse stava facendo controllare l’edificio, ma Dee sperava che tutti lo pensassero in fuga, non ritenendolo tanto sciocco da tornare lì.
Passando inosservato per il parcheggio sotterraneo, salì nel suo ufficio in cima al palazzo, dove lavò via lo sporco e il sudiciume delle ultime ore con una lunga doccia nel suo bagno privato. L’acqua calda alleviò il dolore della spalla destra.
Josh aveva colpito duro con Clarent, durante la battaglia del fienile, e anche se Dee era riuscito a farsi scudo con la propria aura, la forza dell’impatto lo aveva gettato a terra. Sulle prime aveva pensato che fosse slogata, se non proprio rotta, e solo più tardi si era reso conto che per fortuna c’era soltanto un brutto livido. Un osso rotto non sarebbe stato grave: il suo metabolismo potenziato avrebbe riparato rapidamente il danno, o ci avrebbe pensato lui stesso, attingendo alla propria aura, ma così avrebbe attirato l’attenzione degli Oscuri Signori e dei loro tirapiedi.
Il Mago si cambiò d’abito, optando per un anonimo completo blu scuro, una camicia dello stesso colore e una cravatta con un motivo poco appariscente di fleur-de-lis dorati del St. John’s College di Cambridge. Mentre il bollitore scaldava l’acqua per il tè, Dee svuotò la cassaforte, ficcandosi mazzette di sterline, euro e dollari in un’apposita cintura che indossava in vita, nascosta sotto la camicia. Sul fondo della cassaforte c’erano vari passaporti con diverse identità. Dee se li infilò nelle tasche della giacca; conservava quei passaporti da anni e non aveva intenzione di abbandonarli.
Il bollitore fischiò e il Mago si preparò una tazza di Earl Gray. Sorseggiando il tè aromatizzato al bergamotto, si voltò finalmente a guardare l’involto di stracci sulla scrivania. Un raro sorriso gli incurvò le labbra. Forse aveva perso la battaglia, ma di certo si era aggiudicato il premio migliore.
Clarent ed Excalibur. Insieme. Il giorno prima, mentre le stringeva entrambe tra le mani, le due si erano fuse per creare un’unica spada di pietra.
Perfino da quella distanza riusciva a percepire le onde lunghe e lente del potere irradiato dall’arma. Se abbassava la guardia, udiva le deboli tracce di pensieri sussurrati in innumerevoli lingue, che riconosceva solo in parte.
All’improvviso si rese conto – quasi con stupore – che finalmente, dopo secoli di ricerche, era in possesso di tutte e quattro le antiche Spade di Potere. Due – Durendal e Joyeuse – erano nascoste nel suo appartamento di San Francisco, e le altre due erano sulla scrivania, di fronte a lui… o doveva considerarle come una sola? E cosa sarebbe successo, si chiese, se avesse messo in contatto quella spada con le altre due spade di pietra? E perché quelle non si erano mai fuse? Le conservava insieme da secoli.
Il dottore finì il suo tè senza fretta, rilassandosi e innalzando delle barriere protettive prima di avvicinarsi all’involto e aprirlo. Alcuni maghi usavano una combinazione di parole – incantesimi e fatture – per proteggere i propri pensieri, ma Dee usava il più antico di tutti i suoni magici: la musica. Fissando la scrivania, cominciò a canticchiare una canzone: Greensleeves, la preferita della regina Elisabetta I. La sovrana credeva che suo padre, Enrico VIII, l’avesse composta per Anna Bolena, sua madre. Dee sapeva che non era vero, ma non aveva mai avuto il cuore di dirglielo. Tuttavia la semplice melodia e il ritmo antico creavano un incantesimo protettivo perfetto. Mormorando le parole ad alta voce, il Mago si avvicinò alla scrivania.
— Ahimè, amor mio, voi mi fate torto, rifiutandomi con scortesia…
Fu con dita decisamente tremanti che scostò con cura i lembi dello straccio sudicio che aveva trovato nel fienile, scoprendo l’oggetto che nascondeva.
— Mentr’io vi ho amata sì tanto a lungo, beandomi della vostra compagnia…
Sul lucido marmo nero della scrivania, giaceva uno degli oggetti più antichi del pianeta. Sembrava una semplice spada di pietra, ma era molto, molto di più. Si diceva che quelle due armi gemelle fuse insieme risalissero a un’epoca precedente all’Antica Razza e perfino agli Arconti, che appartenessero al mitico Tempo Prima del Tempo. Come tutti sapevano, Artù aveva impugnato Excalibur, e Mordred, suo figlio, lo aveva ucciso con Clarent, ma il Re e il Codardo erano solo due dei moltissimi eroi e furfanti che avevano brandito quelle lame nel corso delle generazioni. Le due spade erano state presenti, l’una o l’altra oppure entrambe, a ogni grande evento che aveva segnato la storia della Terra.
— Greensleeves era la mia gioia, Greensleeves era la mia letizia, Greensleeves era il mio cuore d’oro…
Non riusciva a credere di avere finalmente trovato la compagna di Excalibur. Mezzo millennio prima, quando Enrico VIII era sul trono d’Inghilterra, Dee aveva iniziato la ricerca della leggendaria Spada di Fuoco.
— Ero pronto a esaudire ogni tuo desiderio…
Con un respiro profondo, il Mago sollevò la spada. Anche se era poco più lunga di mezzo metro, era piuttosto pesante; la lama e l’elsa spoglia sembravano ricavate da un unico pezzo di granito scintillante. Nell’attimo in cui le sue dita sfiorarono la pietra calda, il potere della spada lo inondò…
Voci si levarono furiose.
Urla di sgomento.
Grida di dolore.
Dee rabbrividì mentre quei suoni gli riempivano la testa, minacciando di sopraffarlo. Il suo canto esitò. — Ho messo in gioco la mia vita e… e la mia terra, per il vostro amore… e la vostra benevolenza…
La spada era potente, incredibilmente potente, avvolta nel mistero e nella leggenda. Il giorno prima, quando Gilgamesh l’aveva vista, aveva usato le parole dell’antica profezia – i due che sono uno, l’uno che è tutto – per descriverla. Dee aveva sempre pensato che la profezia si riferisse ai gemelli, ma ormai non ne era più così sicuro.
— Greensleeves, ora addio, adieu…
In effetti, non era più sicuro di nulla. Negli ultimi giorni, la sua intera vita e il suo intero mondo erano cambiati. Ed era tutto per colpa di Flamel e dei gemelli; gli avevano fatto fare la figura dello sciocco e lo avevano messo in un terribile pericolo. Sfiorò con le tozze dita tutta la lunghezza della pietra, calda come carne viva.
Segreti sussurrati…
Vaghe promesse…
Cenni di antichi saperi, di antiche dottrine…
Dee allontanò la mano di scatto e le voci nella sua mente si spensero. Le sue labbra sottili si piegarono in un sorriso crudele: quella spada poteva rivelarsi la sua salvezza. Gli Oscuri Signori avrebbero pagato molto bene per un’arma come quella. Forse avrebbe perfino potuto barattarla per la sua vita immortale.
Un ronzio e una vibrazione improvvisi lo fecero trasalire. Era il telefono. Allontanandosi dalla spada appoggiata sul tavolo, Dee si sfilò il cellulare di tasca e controllò lo schermo imbrattato di impronte. Si aspettava di vedere il numero infinito del suo padrone, ma lesse soltanto la scritta NUMERO RISERVATO. Per un brevissimo istante fu tentato di non rispondere, ma poi la curiosità – da sempre la sua forza e la sua debolezza più grande – ebbe la meglio. Pigiò il tasto verde.
— Riconosci la mia voce?
Il dottor Dee batté le palpebre, sorpreso. La voce all’altro capo del telefono apparteneva a Niccolò Machiavelli, che doveva trovarsi a San Francisco. — Sì — rispose, cauto.
— Questa dovrebbe essere una linea sicura, ma sai qual è il mio motto: non fidarsi di nessuno.
— Un buon motto.
— Dunque sei ancora vivo.
— Per miracolo. — Dee corse al monitor della sicurezza e lo accese, saltando rapidamente da un canale all’altro. La sua mente sospettosa si chiedeva se non fosse una trappola: Machiavelli aveva forse ricevuto l’ordine di parlargli, di distrarlo, mentre l’edificio veniva circondato? Ma gli uffici e i corridoi erano vuoti e il parcheggio deserto. — Perché mi stai chiamando? — domandò il Mago.
— Per metterti in guardia.
— Per mettermi in guardia! — Nonostante secoli di pratica, Dee era ancora incapace di mascherare la sorpresa nel tono della voce.
— Pochi minuti fa, dei messaggeri di Xibalba hanno raggiunto tutti i Regni d’Ombra. Sai che cosa significa?
Dee annuì, quasi senza rendersene conto. — Xibalba?
All’altro capo del mondo, una nota di impazienza si insinuò nella voce di Machiavelli. —Sì, l’Incrocio, il Luogo del Terrore. È uno degli antichi Regni d’Ombra.
— Lo conosco — ribatté Dee. — La Morrigan mi ci ha portato durante l’ultimo Grande Conclave.
— Ci sei stato? — Machiavelli sembrava colpito.
— Sì.
Xibalba era territorio neutrale, usato quando gli Antichi e gli Oscuri Signori dei vari regni avevano bisogno di incontrarsi. Dee era uno dei pochissimi esseri umani ad averci mai messo piede; aveva perfino scelto l’odore caratteristico della sua aura ispirandosi al suo tanfo sulfureo. Se gli Oscuri Signori stavano inviando messaggeri attraverso Xibalba, significava che volevano assicurarsi che ogni singolo Regno d’Ombra, per quanto remoto, fosse a conoscenza dei loro ordini.
— Sono stato giudicato? — chiese il Mago. All’indomani del suo fallimento, non dubitava che la sentenza fosse stata emessa e che i suoi padroni si stessero assicurando che non potesse nascondersi nemmeno nel Regno d’Ombra più remoto. Era bloccato sulla Terra. Allontanandosi dal monitor, si guardò in uno specchio: capì di stare guardando un uomo morto.
— Giudicato e trovato colpevole.
Dee annuì, in silenzio. Aveva dedicato la vita al servizio degli Oscuri Signori, e ora lo avevano condannato a morte.
— Mi hai sentito? — sbottò Machiavelli.
— Ti ho sentito — rispose Dee. Si sentì sopraffare da un’ondata di stanchezza e dovette appoggiarsi al muro.
La linea transatlantica crepitò. — Tutte le creature della Nuova Generazione e tutti gli umani immortali che hai chiamato a Londra per dare la caccia a Nicholas Flamel e ai gemelli ti si rivolteranno contro… soprattutto quando scopriranno che la taglia su di te è il doppio di quella che tu avevi offerto per l’Alchimista.
— Devo sentirmi lusingato?
— C’è una sola differenza. — La linea crepitò di nuovo. La voce di Machiavelli andava e veniva. — I nostri padroni vogliono Flamel “vivo o morto”; nel tuo caso, ti vogliono vivo. Sono stati molto chiari al riguardo: chiunque dovesse ucciderti patirebbe una sorte agghiacciante.
Dee rabbrividì.
Sapeva che i suoi padroni lo volevano vivo per poterlo privare dell’immortalità, osservarlo invecchiare, e poi renderlo di nuovo immortale.
La sua maledizione sarebbe stata trascorrere un’eternità di sofferenza come un umano vecchissimo. — Come lo sai? — domandò.
La voce di Machiavelli si abbassò in un sussurro. — Il mio compagno americano è stato contattato dal suo padrone.
— E perché me lo stai dicendo?
— Perché, come te, anch’io ho fallito il compito che mi era stato assegnato — confessò Machiavelli, in tono urgente. — Perenelle è fuggita dall’isola. E io sono intrappolato su Alcatraz.
Dee non riuscì a trattenere un largo sorriso, ma si morse l’interno della guancia per impedirsi di parlare.
— Potremmo ritrovarci ad avere bisogno l’uno dell’altro, dottore — continuò l’italiano.
— Il nemico del mio nemico è mio amico — replicò Dee, citando l’antico detto.
— Esatto. Dottore, per te è giunta l’ora di scappare, di nascondersi. I tuoi padroni ti hanno dichiarato utlaga.
La comunicazione si interruppe all’improvviso.
Dee si infilò lentamente il telefono in tasca e si guardò un’ultima volta allo specchio. Era un utlaga, una testa di lupo, un fuorilegge. Poi scoppiò a ridere forte: l’ultima creatura che gli Antichi Signori avevano dichiarato utlaga era Marte Ultore.