CAPITOLO CINQUANTADUE
Sophie Newman capì che qualcosa non andava nell’istante stesso in cui si svegliò nella camera angusta. Avvertiva un vago sfarfallio alla bocca dello stomaco e un dolore sordo sulla nuca, e percepiva quasi con sofferenza i battiti del cuore. Stringendosi forte le braccia intorno al petto, cercò di controllare il respiro impazzito. Cosa le stava succedendo? Era un attacco di panico? Non ne aveva mai avuto uno, ma alla sua amica Elle a New York capitavano in continuazione. Le girava la testa e aveva un po’ di nausea, e quando strisciò fuori dal letto e si alzò in piedi, fu travolta da un’ondata di vertigini.
Uscì in corridoio, si fermò e si mise in ascolto. Il cottage era silenzioso, e sembrava vuoto. Accarezzando il muro con la mano sinistra, la ragazza percorse tutto il corridoio ed entrò in cucina. Fuori, la notte aveva iniziato a impallidire nell’alba. Perenelle le aveva detto che Prometeo aveva sincronizzato il suo Regno d’Ombra con il tempo terrestre , perciò il giorno e la notte si susseguivano regolarmente.
Il teschio di cristallo era al centro del tavolo della cucina.
La sera prima, Sophie aveva visto i Flamel posarvi le mani sopra e lasciare che le proprie aure vi filtrassero dentro. Il cristallo aveva emesso un bagliore cupo; un accenno di ghiaccio e una lievissima traccia di verde chiaro si erano accesi nelle suo profondità, ma non era successo altro, e lo sforzo aveva sfinito Nicholas.
Sophie lo superò di corsa. Non vide il cristallo pulsare del colore dell’argento e le orbite scurirsi, riempiendosi di ombra. La luce svanì non appena si allontanò dal tavolo e si avvicinò al divano dove Josh aveva trascorso la notte.
Era vuoto.
— Josh? — chiamò la ragazza, la voce poco più di un sussurro. Forse era in bagno, o magari era andato nella casa principale a cercare del cibo. Eppure, nell’istante stesso in cui formulava quelle ipotesi, Sophie seppe che non erano vere. Quando era tornato dalla sua seduta con Prometeo, Josh era cereo in viso e zoppicava dalla stanchezza; si era addormentato profondamente non appena steso sul divano. — Josh? — chiamò di nuovo Sophie. — Josh?
Lo sfarfallio nel suo stomaco peggiorò, come una brutta indigestione. Il cuore le batteva così in fretta da lasciarla quasi senza fiato.
— Josh! — Stavolta fu un grido. — Dove sei? — Se era uno scherzo, non era divertente, si disse. — Josh Newman, vieni subito qui! — Udì qualcosa che si muoveva sulla porta e la maniglia girò. Sophie si voltò a guardare con le mani sui fianchi. — Dove accidenti sei sta…?
La porta si spalancò. Aoife entrò nella stanza, seguita da Niten. Il giapponese impugnava due spade, una molto più lunga dell’altra, mentre la vampira brandiva un brutto coltello a lama lunga.
— Josh è scomparso — disse Sophie, senza fiato.
I due si divisero senza dire una parola, Niten a destra, Aoife a sinistra. Il cottage degli ospiti era molto piccolo, e nel giro di pochi attimi erano già di ritorno.
— Non ci sono segni di lotta — annunciò Niten, con calma. — Sembra che sia semplicemente uscito. — Si voltò e scomparve di nuovo nella notte, lasciando Sophie sola con Aoife.
— Se n’è andato — mormorò la ragazza. — Se n’è andato. — Non riusciva a dire altro, assalita da ondate di panico.
Aoife ripose il coltello nel fodero che portava legato sulla gamba. — Cos’è successo?
Sophie scosse la testa. — Quando mi sono svegliata, mi sono sentita… — Si schiacciò le mani sullo stomaco, come per cercare la parola giusta.
— Vuota — suggerì Aoife.
— Sì — confermò la ragazza, d’un tratto capace di identificare la sensazione. — Mi sono sentita vuota. Non avevo mai provato niente del genere.
Aoife annuì. Il volto pallido era impassibile.
Niten aprì la porta e parlò rapidamente in giapponese alla guerriera, quindi si voltò e corse via.
— Che c’è? Che sta succedendo? — Sophie era di nuovo senza fiato per il terrore. — Cos’è successo a mio fratello? Scintille di energia statica le scorrevano lungo i capelli, e riccioli della sua aura d’argento si levavano dalla pelle.
Cominciò a tremare, e Aoife la prese tra le braccia, stringendola forte. Quando parlò, la sua voce riecheggiò nella testa della ragazza, e anche se usò il gaelico della sua giovinezza, Sophie comprese ogni parola. — Respira profondamente, calmati …devi riprendere il controllo, su. Per il tuo bene. E per il bene di Josh.
Sophie scosse la testa. — Non ci riesco. Tu non sai cosa si prova…
— Sì — la corresse Aoife, con un sussurro feroce. — Sì che lo so.
E quando Sophie alzò lo sguardo, vide che gli occhi verdi della guerriera scintillavano di lacrime.
— Ho perso la mia gemella. So esattamente quello che stai provando.
Sophie annuì. Trasse un respiro profondo e tremante. — Cosa ti ha detto Niten?
— Ha detto che la macchina è scomparsa.
Prima che Sophie potesse chiedere altro, la porta si aprì e Perenelle entrò nel cottage, seguita da Nicholas e Prometeo. La stanza sembrò ancora più piccola. Niten giunse per ultimo, ma rimase sulla soglia, a scrutare nella notte.
— Se n’è andato? — chiese l’Alchimista.
— È scomparso — confermò Aoife.
— Lo ha preso qualcuno? — domandò Perenelle.
— Niente può entrare in questo Regno d’Ombra a mia insaputa — rispose Prometeo.
La Fattucchiera si avvicinò a Sophie e spalancò le braccia, ma la ragazza non accennò a raggiungerla. Perenelle fece un passo indietro e abbandonò le braccia lungo i fianchi. — Perciò se n’è andato di sua spontanea volontà?
— Non ci sono segni di lotta — disse Niten dalla soglia. — E c’è una sola serie di impronte che attraversa la valle e si dirige alla macchina.
— Ma la macchina era ferma — osservò Nicholas. — Aveva la batteria scarica.
Prometeo incrociò le braccia sul petto massiccio. — Sì, ma il ragazzo ha imparato la Magia del Fuoco. La sua aura è carica di energia grezza. Non avrà avuto problemi ad accendere il motore.
— Dov’è andato? — chiese Sophie. — Non capisco. Non può essere partito così, senza dirmi niente. — Guardò Prometeo. — Forse qualcosa l’ha preso? Quegli uomini di fango?
L’Antico Signore scosse la testa. — La Prima Gente non si avvicina mai agli edifici. Sono d’accordo con Perenelle: Josh se n’è andato di sua spontanea volontà.
— Ma dove? — insistette Sophie. — A casa? — Scosse la testa. Mai in tutta la sua vita si era sentita così confusa o smarrita. — Non può avermi abbandonata.
— La domanda giusta è perché l’ha fatto — intervenne Aoife.
Ma Perenelle scosse la testa. — No, la vera domanda è: chi l’ha chiamato? Mi chiedo… — La Fattucchiera si voltò e andò al tavolo della cucina. Si sedette, posò le mani ai lati del teschio di cristallo, ma senza toccarlo, e guardò Sophie. Piegò le labbra in un sorriso sottile, quasi amareggiato. — Forse adesso ci presterai la tua aura.
— Perché? — bisbigliò Sophie, frastornata.
— Per provare a vedere tuo fratello. E capire se è andato via di sua spontanea volontà o se è stato rapito.
Aoife posò una mano sulla spalla della ragazza. — Se possiedi i ricordi di mia nonna, sai quanto è pericoloso, Sophie. — Abbassò la voce. — Mentre guardi all’interno del teschio, il teschio guarda dentro di te. Chi fissa troppo a lungo il suo abisso di cristallo rischia di perdere il senno. Non devi farlo.
— Sì invece — replicò Sophie. — Tu stessa hai detto che avresti fatto qualunque cosa per recuperare Scathach…
Aoife annuì.
— Io farò lo stesso per Josh.
La guerriera scostò una sedia dal tavolo. — Questo lo capisco. Siediti. Io veglierò su di te. — Per un attimo i lineamenti duri del suo viso si addolcirono, e fu il ritratto di sua sorella.
— Go raibh maith agat — bisbigliò Sophie in gaelico, una lingua che non aveva mai studiato. — Grazie.
— Scathach avrebbe fatto la stessa cosa — mormorò Aoife, annuendo.
— Posa le mani sul teschio di cristallo, Sophie — ordinò Perenelle.