«Si stanno preparando per la notte?» chiese Aleksandrov.
«Sembra proprio di sì, compagno capitano», rispose Buikov. Teneva il binocolo puntato sui cinesi. I due veicoli di comando e ricognizione erano uno accanto all'altro, il che accadeva solo quando il nemico si fermava per la notte. A entrambi gli uomini pareva strano che i cinesi limitassero le loro attività al giorno, ma quello era un vantaggio per gli osservatori russi, e anche i soldati dovevano dormire. Più degli altri, avrebbero detto i due militari. La tensione derivante dalla necessità di seguire il nemico del proprio paese, e di doverlo fare all'interno dei propri confini, era evidente in entrambi. Gli ordini ricevuti dai cinesi erano accurati ma prevedibili. I due cingolati di comando rimanevano uno accanto all'altro. Gli altri erano sparsi qua e là, soprattutto sul davanti, ma uno si trovava a distanza di trecento metri per proteggere la retroguardia. L'equipaggio di ogni cingolato restava unito. Ogni squadra accendeva una piccola stufa a benzina per cuocere il riso... probabilmente era riso, pensavano i russi. Poi si godevano quattro o cinque ore di sonno prima di svegliarsi, preparare la colazione e riprendere la marcia prima dell'alba. Se non fossero stati nemici, la loro obbedienza a istruzioni così rigide avrebbe suscitato una certa ammirazione. Invece, Buikov si ritrovò a domandarsi se non potesse avere due o tre BRM con cui cogliere di sorpresa gli invasori e ucciderli sui loro cingolati mediante i cannoni a tiro rapido da 30 millimetri.
Ma Aleksandrov non gliel'avrebbe mai permesso. Potevi stare certo che gli ufficiali negassero ai sergenti l'autorizzazione di fare quello che volevano. Il capitano e il sergente tornarono al cingolato dirigendosi verso nord, lasciando tre esploratori a osservare gli «ospiti», come aveva iniziato a chiamarli Aleksandrov.
«Allora, sergente, come sta?» chiese l'ufficiale con voce tranquilla.
«Un po' di riposo non mi farebbe male.» Buikov si guardò indietro. Ora, tra lui e i musi gialli, vi erano non solo gli alberi ma anche una cresta. Accese una sigaretta ed emise un lungo sospiro rilassato.
«Questa missione si sta rivelando più difficile del previsto.»
«Davvero?»
«Sì, compagno capitano. Ho sempre creduto che potessimo uccidere i nemici. Fargli da balia è snervante.»
«Vero, Boris Evgenijevich, ma ricordi che, se facciamo bene il nostro lavoro, gli uomini della divisione riusciranno poi a ucciderne più di uno o due. Noi siamo i loro occhi, non i loro denti.»
«Ha ragione, compagno capitano, ma è come girare un film sul lupo anziché sparargli.»
«Chi produce bei film sugli animali vince premi prestigiosi, sergente.»
La caratteristica bizzarra del capitano, pensò Buikov, era il fatto che cercava sempre di farti ragionare. Era affettuoso, come se volesse essere un maestro anziché un ufficiale.
«Che cosa c'è per cena?»
«Carne di manzo e pane nero, compagno capitano. Anche un po' di burro. Ma niente vodka», aggiunse il sergente in tono acido.
«Quando tutto questo sarà finito, le permetterò di prendersi una bella sbronza, Boris Evgenijevich», promise Aleksandrov.
«Se sopravviveremo, brinderò alla sua salute.»
Il cingolato era ancora dove l'avevano lasciato, e l'equipaggio aveva steso le reti mimetiche. Il pregio di questo ufficiale, pensò Buikov, sta nel fatto che ha convinto gli uomini a fare il loro dovere senza lamentarsi troppo. Lo stesso tipo di solidarietà cameratesca di cui parlava mio nonno quando raccontava le sue interminabili storie sull'uccisione dei tedeschi sulla strada verso Vienna, proprio come nei film. Il pane nero era in scatola ma saporito, e la carne, cucinata sul piccolo fornello a benzina, non era poi così male. Quando ebbero finito, arrivò il sergente Grechko. Era il comandante del BRM ##3 dell'unità e portava con sé...
«E' quello che credo io?» chiese Buikov.
«Yurij Andrejevich, tu sì che sei un vero amico!» Era una bottiglia di vodka da mezzo litro, dell'economica marca «BODKA», con una chiusura di carta stagnola che non poteva essere risigillata.
«Di chi è stata l'idea?» volle sapere il capitano.
«Compagno capitano, è una notte fredda, e noi siamo soldati russi e abbiamo bisogno di qualcosa che ci aiuti a rilassarci», disse Grechko.
«E' l'unica bottiglia della compagnia, e credo che un sorso a testa non possa farci male», aggiunse il sergente.
«Oh, d'accordo.» Aleksandrov allungò la tazza di metallo e ricevette sessanta grammi scarsi di bevanda. Attese che gli altri uomini prendessero la loro parte e vide che la bottiglia era vuota. Bevvero tutti insieme, e di certo non era niente male essere soldati russi nel bosco, che facevano il loro dovere per la madrepatria.
«Domani dovremo fare rifornimento di carburante», disse Grechko. «Ci sarà un'autocisterna ad aspettarci, quaranta chilometri a nord, alla segheria bruciata. Ci andremo uno alla volta, sperando che i nostri ospiti cinesi non diventino troppo ambiziosi nell'avanzamento.»
«Quello deve essere il capitano Aleksandrov», disse il maggiore Tucker. «Millequattrocento metri di distanza dal cinese più vicino. Non è molto», osservò l'americano.
«E' un soldato in gamba», disse Alijev.
«Ha appena fatto rapporto. I cinesi seguono le istruzioni con sorprendente precisione. E il corpo principale?»
«Una quarantina di chilometri più indietro. Anche loro si stanno preparando per la notte, ma accendono fuochi di bivacco, come se volessero dirci dove si trovano.»
Tucker maneggiò il mouse per mostrargli gli accampamenti. Ora lo schermo era verde su verde. I veicoli corazzati cinesi apparivano come macchie luminose, soprattutto in corrispondenza dei motori, che brillavano per via del calore residuo.
«E' stupefacente», disse Alijev con sincera ammirazione.
«Alla fine degli anni Settanta abbiamo capito che potevamo agire di notte, quando tutti gli altri erano costretti a interrompere le operazioni. Ci è voluto un po' di tempo per sviluppare la tecnologia, ma grazie a Dio funziona, colonnello. Tutto quello che ci serve ora è qualche J-SOW.»
«Come?»
«Vedrà, colonnello. Vedrà», promise Tucker. L'aspetto migliore era che questa «ripresa» proveniva da Grace Kelly, e quest'ultimo aveva un apparecchio laser di localizzazione inserito nella fusoliera e viaggiava a quota 18.900 metri guardando verso il basso con le sue telecamere a immagini termiche. Sotto la guida di Tucker, l'UAV continuava a dirigersi verso sud, passando in rassegna le unità cinesi che avanzavano in Siberia. Ora vi erano sedici ponti a nastro sul fiume Amur e alcuni più a nord, ma i punti davvero vulnerabili si trovavano intorno a Harbin, molto più a sud, all'interno del territorio cinese. Si vedevano molti ponti ferroviari tra quella zona e Beiil capolinea della fondamentale linea ferroviaria che portava verso l'Esercito di liberazione del popolo. Grace Kelly avvistò numerosi convogli, soprattutto con motori diesel, ma anche con qualche vecchio motore a carbone che era stato recuperato al fine di continuare il trasporto di armi e rifornimenti in direzione nord. L'elemento più interessante era la nuova rotatoria in cui i vagoni cisterna scaricavano qualcosa, forse gasolio, in quello che sembrava un oleodotto che i genieri del PLAA cercavano in tutti i modi di allungare verso nord. Avevano copiato quell'idea dall'America. Gli eserciti britannico e statunitense avevano fatto lo stesso tra la Normandia e il fronte orientale nel 1944, e quello, si rese conto Tucker, era un bersaglio degno di nota. Il gasolio non era solo l'alimento di un esercito da campo. Era l'aria che respirava. Là intorno vi erano numerosi uomini inattivi. Forse manovali chiamati per riparare le rotaie danneggiate, e i principali punti di collegamento erano controllati da batterie SAM e FLAK. Quindi i musi gialli sapevano che i ponti erano importanti e facevano del loro meglio per proteggerli. Per quanto possa servire, pensò Tucker. Accese la radio satellitare per parlare con gli uomini di zigansk, dove era in fase di preparazione l'elenco dei bersagli del generale Wallace. Com'era evidente, gli idioti delle squadre di terra non sapevano come affrontare l'Esercito di liberazione del popolo, ma per il maggiore Tucker si trattava solo di una serie di obiettivi. Per gli obiettivi a punto gli servivano i J-DAM, mentre per quelli ad area aveva bisogno di qualche J-SOW. I musi gialli stavano per ricevere un duro colpo. Sarebbe bastato sferrarlo con la giusta forza.
Le unità di terra russe non avevano idea di che cosa fosse la FedEx e non immaginavano che una società privata e non governativa possedesse mezzi enormi quanto gli aerei da carico Boeing 747F. Dal canto loro, gli equipaggi, addestrati perlopiù dalla marina o dall'aeronautica, non avrebbero mai creduto di vedere la Siberia se non attraverso i finestrini di un bombardiere strategico B-52H. Le piste di atterraggio erano molto accidentate, più malridotte di quelle di molti aeroporti americani, ma ad aspettarli vi era un esercito di persone e, quando il portello oscillante sul muso si sollevava, le squadre di terra cominciavano a maneggiare gli elevatori a forca per prelevare i carichi pallettizzati. Gli equipaggi non scendevano dagli aerei. Arrivavano le cisterne dei rifornimenti, che collegavano le manichette da dieci centimetri agli ugelli corrispondenti e iniziavano a riempire i capaci serbatoi cosicché il velivolo potesse ripartire il prima possibile lasciando libera la rampa. Ogni 747F aveva una zona notte per i piloti di riserva.
Quelli che avevano dormito in attesa di affrontare il volo di ritorno non ricevevano nemmeno qualcosa da bere e dovevano accontentarsi dei pasti confezionati distribuiti a Elmendorf durante il viaggio di andata. In tutto, ci vollero cinquantasette minuti per scaricare tutte quelle centinaia di tonnellate di bombe, che erano appena sufficienti per dieci degli F-15E parcheggiati all'estremità più lontana della rampa, ma quello era il punto verso cui si dirigevano gli elevatori.