Il sonno ha funzionato, si disse Bondarenko. Tredici ore e non si era svegliato neppure per alleviare la vescica, quindi ne aveva avuto veramente bisogno. Lì per lì decise che il colonnello Alijev poteva giustamente essere nella lista di chi aspettava le stelle da generale. Arrivò all'incontro serale con il suo staff sentendosi in gran forma, fino a quando non vide le espressioni sui loro volti.
«Ebbene?» chiese mentre si sedeva.
«Niente di nuovo da riferire», disse il colonnello Tolkunov per lo staff dello spionaggio.
«Le nostre fotografie aeree mostrano poco, ma sappiamo che ci sono e continuano a non usare le radio. Probabilmente hanno interrato un sacco di bienne telefoniche. Sono stati notati uomini sparsi sulle colline a sud, che osservano con binocoli. E' tutto. Ma sono pronti e potrebbe iniziare da un momento all'altro... ah, sì, ho appena ricevuto questo da Mosca», disse il G-2. «Il Servizio di Sicurezza Federale ha arrestato un assassino su commissione, un certo Suvorov sospettato di cospirare per assassinare il presidente Grusvoij.»
«Cosa?» chiese Alijev.
«E' solo un dispaccio di una riga, senza ulteriori spiegazioni. Potrebbe voler dire molte cose, nessuna di esse positiva», comunicò loro l'ufficiale dello spionaggio.
«Ma neppure nulla di definito.»
«Un tentativo di rendere instabile la nostra leadership politica? un atto di guerra», sostenne Bondarenko.
Decise che avrebbe chiamato lui stesso Sergej Golovko per parlare della faccenda!
«Operazioni?» chiese al successivo.
«La 265a Fucilieri motorizzati è pronta. Tutti i nostri radar da difesa aerea sono attivi e operativi. Abbiamo una pattuglia aerea di intercettazione di velivoli da combattimento, nell'arco di venti chilometri dal confine. Le difese al confine sono tutte allertate e la formazione delle riserve...»
«C'è già un nome che li identifichi?» chiese il generale in comando.
«Boyar», rispose il colonnello Alijev.
«Abbiamo tre compagnie di fanteria motorizzate schierate, pronte a evacuare le truppe sul confine se fosse necessario, il resto è fuori dai depositi e si stanno dirigendo su a nord del Never. Si sono esercitati con l'artiglieria tutto il giorno.»
«E...?»
«E per essere dei riservisti si sono comportati in maniera accettabile», rispose Alijev. Bondarenko non chiese cosa significava, in parte perché lo temeva.
«C'è altro che possiamo fare? Voglio idee, compagni», disse il generale Bondarenko. Ma vide solo segnali negativi.
«Molto bene. Andrò a cena. Se succede qualcosa, voglio saperlo, qualsiasi cosa, compagni.» Il discorso fece annuire tutti i presenti e il generale tornò ai suoi quartieri. Lì si mise al telefono.
«Saluti, generale», disse Golovko. A Mosca era ancora pomeriggio.
«Come vanno le cose lì?»
«Tese, compagno presidente. Cosa mi puoi dire di questo attentato a Grusvoij?»
«Abbiamo arrestato un tipo di nome Suvorov oggi. Lo stiamo interrogando, insieme a un altro. Riteniamo che fosse un agente del Ministero cinese della Sicurezza dello Stato e riteniamo anche che stesse cospirando per uccidere Eduard Petrovic.»
«Quindi, oltre a preparare un'invasione, vogliono anche paralizzare la nostra leadership politica?»
«Così sembrerebbe», confermò gravemente Golovko.
«Perché non siamo stati informati meglio?» chiese il capo del settore dell'Estremo Oriente.
«Non vi hanno informati?» Il presidente sembrava sinceramente sorpreso.
«No!» Bondarenko urlò quasi.
«E' stato un errore. Mi dispiace, Gennadij Iosifovic. Ora dimmi: siete pronti?»
«Tutte le nostre forze sono nello stato di massima allerta, ma la correlazione delle forze è a nostro sfavore.»
«Potete fermarli?»
«Se mi date più forze, probabilmente sì. Altrimenti temo di no. Che tipo di aiuto posso attendermi?»
«Al momento abbiamo tre divisioni di fucilieri motorizzate sui treni, che stanno attraversando gli Urali. Ci sono anche forze aeree aggiuntive in arrivo e gli americani stanno arrivando. Qual è il tuo piano?»
«Non tenterò di fermarli al confine. Quello mi costerebbe semplicemente tutte le mie truppe per ottenere poco in cambio. Lascerò entrare i cinesi e li lascerò marciare verso nord. Li disturberò il più possibile e poi quando saranno ampiamente dentro i nostri confini, ucciderò il corpo del serpente e guarderò la testa morire. Se, naturalmente, mi darete il sostegno di cui necessito.»
«Ci stiamo lavorando. Gli americani ci stanno aiutando molto. Una delle loro divisioni di carri armati sta giungendo in Polonia, via treno. Li manderemo immediatamente lì dove vi trovate voi.»
«Quali unità?»
«La loro 1a Corazzata, guidata da un tipo, un negro che si chiama Diggs.»
«Marion Diggs? Lo conosco.»
«Ah sì?»
«Sì, comandava il loro Centro Nazionale di Addestramento e anche la forza che schierarono nel regno saudita l'anno scorso. E' fantastico. Quando arriverà?»
«Cinque giorni, direi. Per allora avrete già tre divisioni russe. Basterà, Gennadij?»
«Non lo so», rispose Bondarenko. «Non abbiamo ancora preso le misure dei cinesi. E' la loro forza aerea che mi preoccupa maggiormente. Se attaccano i nostri punti di smistamento a Chita, potrebbe risultarci molto difficile schierare i rinforzi.»
Bondarenko fece una pausa. «Siamo tutti pronti a muovere le forze lateralmente, da ovest verso est, ma per fermarli abbiamo bisogno di muoverli a nord-est dai loro punti di scarico. Sarà essenzialmente una gara vedere chi riuscirà ad andare a nord più rapidamente. I cinesi useranno anche la fanteria per proteggere il fianco occidentale della loro avanzata. Ho addestrato duramente i miei uomini. Stanno migliorando, ma ho bisogno di più tempo e di più uomini. C'è qualche modo per rallentarli politicamente?»
«Hanno ignorato tutti gli approcci politici. Fingono che non sia successo nulla di sconveniente. Anche gli americani hanno tentato di avvicinarli, sperando di scoraggiarli, ma invano.»
«Quindi diventa una prova di armi?»
«Probabilmente», concordò Golovko.
«Sei il nostro uomo migliore, Gennadij Iosifovic. Crediamo in te e avrai tutto il sostegno che riusciremo a riunire.»
«Molto bene», replicò il generale, chiedendosi se sarebbe bastato.
«Ti farò sapere di eventuali sviluppi qui.» Il generale Bondarenko sapeva che un vero generale, tipo quelli dei film, a questo punto avrebbe mangiato le razioni che mangiavano anche i suoi uomini, ma invece mangiò il miglior cibo disponibile perché aveva bisogno della propria forza e la falsa modestia non avrebbe fatto colpo per niente sui suoi uomini. Si astenne dal bere alcol, cosa che probabilmente i suoi sergenti e soldati non facevano. Il soldato russo ama la vodka e i riservisti si erano quasi sicuramente portati le bottiglie da casa per alleviare le fredde notti, quella era la scusa ufficiale. Avrebbe potuto emettere un ordine per proibirla, ma non aveva senso stendere un ordine che i suoi uomini avrebbero ignorato. Serviva solo a indebolire la disciplina e la disciplina era una cosa di cui aveva assolutamente bisogno. Doveva provenire dai suoi uomini. La grande sconosciuta, pensò Bondarenko. Quando Hitler aveva colpito la Russia nel 1941, be', era parte della mitologia russa come gli uomini comuni della terra si fossero sollevati con feroce determinazione. Dal primo giorno di guerra, il coraggio del soldato russo aveva fatto esitare i tedeschi. Le capacità dei russi sul campo di battaglia potevano fare acqua da tutte le parti, ma il coraggio non mancò mai. Per Bondarenko servivano sia l'abilità sia il coraggio: un uomo capace non aveva bisogno di essere così audace, perché la capacità avrebbe sconfitto ciò che l'audacia avrebbe solo sfidato.
Addestramento. Era sempre questione di addestramento. Desiderava ardentemente addestrare il soldato russo come gli americani facevano con i loro. Dopo tutto, addestrarli a pensare, incoraggiarli a pensare.
Un soldato tedesco pensante aveva quasi distrutto l'Unione Sovietica, ci erano andati così vicini che nessuno l'aveva mai ammesso neppure nei film ed era abbastanza dura apprenderlo nelle accademie dello Stato maggiore. Per tre volte ci erano andati diabolicamente vicini, ma per qualche ragione, gli dei della guerra erano stati dalla parte della Madre Russia in tutte e tre le occasioni. Cosa avrebbero fatto ora quegli dei? Quella era la domanda: i suoi uomini sarebbero stati all'altezza del compito? Sarebbe stato il suo nome a essere ricordato, in bene o in male, non quelli dei soldati semplici che imbracciavano i fucili AK-74, che guidavano i carri armati e i mezzi di trasporto della fanteria. Gennadij Iosifovic Bondarenko, generale dell'esercito russo, comandante in capo per l'Estremo Oriente, eroe o stupido? Cosa sarebbe stato? Gli strateghi futuri avrebbero studiato le sue azioni e schioccato la lingua ammirando le sue brillanti manovre, o avrebbero scosso la testa per la sua stupidità? Sarebbe stato meglio tornare a essere un colonnello di nuovo, più vicino agli uomini del suo reggimento, persino imbracciando lui stesso un fucile come aveva fatto a Dushanbe tutti quegli anni, per partecipare in prima persona alla battaglia e ricevere il fuoco dei nemici che poteva vedere coi propri occhi. Quello gli tornava in mente, la battaglia contro gli afgani, difendendo l'accampamento mal localizzato nella neve e nell'oscurità. Quel giorno si era guadagnato le medaglie, ma quelle appartenevano sempre al passato. La gente lo rispettava per quelle, anche i suoi colleghi soldati, i bei nastri e le stelle di metallo e le medaglie che pendevano da quelle, ma cosa significavano veramente? Avrebbe trovato il coraggio di cui avrebbe avuto bisogno per essere un comandante? Era certo, qui e ora, che quel tipo di coraggio era più difficile da trovare rispetto a quello che sgorgava istintivo quando bisognava sopravvivere, quello che si vedeva sui visi degli uomini armati che volevano portarti via la vita. Era così facile guardare con fiducia al futuro indeterminato, sapere cosa bisognava fare, fare proposte e insistere in una tranquilla stanza per riunioni. Ma oggi era nei suoi quartieri, al comando di un esercito largamente di carta al quale capitava di dover affrontare un esercito vero composto di uomini e acciaio e se non fosse riuscito ad affrontarlo, il suo nome sarebbe stato maledetto per sempre. Gli storici avrebbero esaminato il suo personaggio e la sua storia e, diciamo, sì, era un colonnello coraggioso, persino un teorico adeguato, ma quando si arrivava a una vera lotta, non si sarebbe rivelato all'altezza del compito. E se avesse fallito degli uomini sarebbero morti e la nazione che aveva giurato di difendere trent'anni prima avrebbe sofferto, non per mano sua, ma per una sua responsabilità. Così il generale Bondarenko guardò il piatto della cena e non la mangiò, giocherellò con il cibo con la forchetta e bramò solo un bicchiere di vodka, che il suo carattere gli negava.