42. TRA LE BETULLE

In macchina, incontro al tramonto, a ovest della capitale russa. Il traffico era diventato più caotico a Mosca dall'ultima missione seria qui, e si poteva usare la corsia centrale nei viali più larghi. Ding faceva da navigatore con la cartina in mano e in breve si lasciarono alle spalle le varie circonvallazioni intorno alla città per inoltrarsi sulle colline circostanti. Passarono davanti a un monumento di guerra che non avevano mai notato prima, tre enormi...

«Ma che diavolo è?» chiese Ding.

«Questo è il punto più avanzato che hanno raggiunto i tedeschi nel 1941», spiegò John, «e qui è dove li hanno fermati.»

«Come li chiami quei cosi?»

«Quei cosi» erano delle immense travi a doppia T, saldate insieme a 90 gradi in modo che sembravano degli enormi martinetti.

«Cavalli di Frisia, ma noi li chiamavamo horned scullies. Difficile passarci sopra con un carro armato», disse Clark al suo collega più giovane.

«Prendono sul serio la storia da queste parti, eh?»

«Anche tu lo faresti se riuscissi a fermare qualcuno che volesse cancellare il tuo paese dalle cartine geografiche, figliolo. A quei tempi i tedeschi facevano le cose sul serio. Quella sì che è stata una brutta guerra.»

«Già. La prima sulla destra, signor Clark.»

Dieci minuti dopo erano in mezzo a un bosco di betulle, un altro tipico elemento della civiltà russa come la vodka e il borscht83. Di lì a poco si imbatterono in una postazione di guardia. Il soldato in uniforme imbracciava un AK-74 e non aveva un aspetto particolarmente socievole Probabilmente saranno stati istruiti dopo le minacce a Golovko e agli altri, pensò John. Ma aveva ricevuto anche ordini su chi poteva passare e bastò loro mostrare il passaporto per avere via libera, dopo che la stessa guardia si era prodigata in indicazioni su quale strada prendere.

«Le case non sono male», osservò Chavez.

«Sono stati i prigionieri tedeschi a costruirle», disse John.

«Ivan non ama particolarmente i tedeschi, ma ammira la loro capacità costruttiva. Queste case sono state costruite per i membri del Politburo, soprattutto nel dopoguerra. Ecco, ci siamo.»

La casa era in legno, e sembrava un incrocio tra una residenza di campagna tedesca e una fattoria dell'Indiana, pensò Clark. C'erano guardie armate dappertutto. Erano state fatte venire dalla prima postazione, immaginò John. Uno di loro salutò, gli altri due rimasero un passo indietro, pronti a coprire il primo, nel caso di imprevisti.

«Lei è Klerk Ivan Sergejevich?»

«Da», rispose John. «Lui è Chavez Domingo Stepanovich.»

«Passate pure, vi stanno aspettando», disse la guardia. La serata era limpida. Il sole era tramontato e le prime stelle già brillavano in cielo. Si era levata anche una leggera brezza da ponente, ma per Clark quel luogo era infestato dagli spettri della guerra. Panzergrenadier di Hans von Kluge con la feldgrau della Wehrmacht. Qui, il fronte della Seconda guerra mondiale era stato teatro di uno strano conflitto, simile agli incontri di lotta che si vedono in televisione: non si fronteggiavano buoni e cattivi, ma cattivi e più cattivi, e il punteggio finale era stato sei a cinque, piglia e porta a casa. Ma probabilmente il loro ospite avrebbe dato un'interpretazione della storia un po' divergente e Clark non aveva alcuna intenzione di sollevare l'argomento.

Golovko li stava aspettando sotto il portico coperto davanti a casa, vestito in modo informale: camicia decente, ma senza cravatta. Non era alto, a metà via tra Chavez e lui, ma gli occhi tradivano un guizzo d'intelligenza, oltre a molto interesse. Era curioso di conoscere il motivo della visita.

«Ivan Sergejevich», lo salutò Golovko. Si scambiarono strette di mano e gli ospiti vennero fatti accomodare dentro. La signora Golovko, fisico, apparentemente non era in casa. Golovko versò innanzitutto la vodka e li invitò a sedersi.

«Mi dicevi di avere un messaggio per me.» La lingua usata, si avvide John, sarebbe stata l'inglese.

«Ecco qua», disse Clark consegnando il malloppo.

«Spasiba.» Sergej Nicolay sprofondò nella sua poltrona e si mise a leggere. Sarebbe stato, pensò John, un ottimo giocatore di poker. I tratti del viso non mutarono di un millimetro dopo le prime due pagine. Poi sollevò gli occhi.

«Chi ha deciso che dovevo essere informato di questo?» chiese.

«Il presidente», rispose Clark.

«Il vostro Ryan è un compagno e un uomo d'onore, Vania.» Golovko fece una pausa. «Vedo che avete potenziato la vostra struttura a Langley sia dal punto di vista umano che tecnologico.»

«E' una buona ipotesi, ma non so nulla di questa fonte, presidente Golovko», rispose Clark. «Come direste voi, questa è roba che scotta.»

«Dalla prima all'ultima riga», concordò John, mentre lo osservava girare i fogli.

«Quel figlio di puttana!» si lasciò sfuggire Golovko. Era il primo momento in cui si lasciava andare.

«Già, è più o meno quello che ho detto anch'io», intervenne Chavez.

«Sono ben informati. La cosa non mi sorprende. So per certo che hanno una forte presenza qui in Russia», osservò Golovko, la voce che tradiva una nota di rabbia.

«Ma qui... qui stanno discutendo la possibilità di un'aggressione in pieno stile.»

Clark annuì. «Già, sembra che le cose stiano proprio così».

«Sono informazioni attendibili?» chiese Golovko.

«Presidente, io faccio solo il postino», gli rispose Clark.

«Non posso garantire nulla.»

«Ryan è un compagno troppo intelligente per fare l'agente provocatore. Questa è follia pura.»

E Golovko stava raccontando ai suoi ospiti che la rete di informatori all'interno del Politburo cinese non era buona, il che sorprese non poco John, abituato con la CIA a non beccare così spesso i russi a corto di uomini. Golovko alzò lo sguardo dai fogli.

«Avevamo una fonte, ma ora non più.»

«Non ho mai lavorato da quelle parti, presidente, eccetto molto tempo fa quand'ero in marina.» E per la maggior parte del tempo si trattava di andare in giro per Taipei a ubriacarsi e scopare.

«In qualità di diplomatico, sono stato più volte a Pechino, ma non di recente. Posso dire di non averli mai capiti fino in fondo.»

Golovko finì di leggere il documento e quindi lo appoggiò.

«Posso tenerlo?»

«Certo, signore», rispose Clark.

«Perché Ryan ha deciso di farcelo avere?»

«Faccio solo il fattorino, Sergej Nicolay ma mi pare che la ragione sia abbastanza chiara. L'America non vuole che la Russia ne abbia a soffrire.»

«Troppo buono da parte vostra. Che cosa vuole in cambio il vostro paese?»

«Nulla, che io sappia.»

«Talvolta», osservò Chavez, «ci si comporta solo da buoni vicini.»

«A questo livello di saggezza politica?» chiese Golovko da scettico.

«E perché no? Non c'è alcun interesse dell'America di vedere la Russia paralizzata e derubata. Ma comunque, qual è la consistenza di questi giacimenti minerari?» chiese John.

«Immensa», rispose Golovko. «Non mi sorprende che ne siate informati. I nostri sforzi per tenere la cosa nascosta erano puramente di facciata. I giacimenti petroliferi non hanno eguali, se non forse quelli dell'Arabia Saudita, e le riserve aurifere sono molto buone. Da un punto di vista puramente teorico potrebbero risollevare le sorti della nostra economia, al punto tale da diventare una nazione prospera e un partner alla pari con l'America.»

«Allora capisce perché Jack ci ha fatto venire fin qui. Ne guadagnerà il mondo intero se la Russia prospera.»

«Davvero», confermò Golovko. «La Russia è un grande paese e voi siete un grande popolo. Voi siete dei partner ideali per la Russia.»

Non aggiunse che in questo modo non c'era bisogno che l'America si scomodasse a toglierli dalla peste. Ora avevano tutte le materie prime per cominciare davvero a prosperare, e l'America avrebbe messo a disposizione solo la propria esperienza e i consigli necessari per entrare a pieno titolo nel mondo capitalistico.

«Viene dallo stesso uomo che ha contribuito alla defezione del direttore del KGB?» chiese Golovko.

«Sergej, come diciamo dalle nostre parti, non c'era nulla di personale, gli affari erano affari. Certo, non stravedo per i russi, ma neppure voi vi mettereste a uccidere un cittadino americano solo per il gusto di farlo, no?»

Indignazione: «Certo che no. Sarebbe neculturnij.»

«Lo stesso vale anche per noi, presidente.»

«Senta, amico», aggiunse Chavez «fin da quando ero ragazzo, mi hanno addestrato a uccidere i vostri, quando ero un Eleven-Bravo con un fucile in mano, ma guarda un po' non siamo più nemici adesso, giusto? E se non siamo più nemici, potremmo essere amici. Voi ci avete aiutato con il Giappone e con l'Iran, giusto?»

«Sì, ma perché abbiamo visto che eravamo noi l'obiettivo ultimo di ambedue i conflitti e quindi l'abbiamo fatto nel nostro interesse.»

«E forse siamo noi l'obiettivo finale dei cinesi, quindi questo è nel nostro interesse. Con ogni probabilità non trovano simpatici voi tanto quanto noi.»

Golovko annuì. «Già, una delle cose che ho imparato è la consapevolezza della loro superiorità razziale.»

«E' un modo di vedere le cose molto pericoloso. Il razzismo significa che i tuoi nemici sono solo insetti da schiacciare», concluse Chavez, impressionando Clark per questo mix di accento di Los Angeles e l'analisi da manuale della situazione corrente.

«Neanche Karl Marx diceva che lui era superiore agli altri per il colore della pelle, no?»

«Mao invece sì», corresse Golovko.

«Non mi sorprende affatto», continuò Ding. «Ho letto quando ero alle superiori il suo Libretto Rosso. Lui non voleva essere solo una guida politica. Diamine, voleva essere Dio. Ha lasciato che il suo Io oscurasse il suo cervello, una pecca non insolita tra le persone che hanno manie di espansionismo verso altri paesi, vero?»

«Lenin non era così, Stalin invece sì», osservò Golovko.

«Bene, allora Ivan Emmetovic è un amico della Russia. Come mi devo comportare?»

«Dipende solo da te, amico», gli disse Clark.

«Devo parlare con il mio presidente. Il vostro arriva domani in Polonia, vero?»

«Credo di sì.»

«Devo fare un po' di telefonate. Grazie per essere venuti, amici. Forse una prossima volta sarò in grado di offrirvi una migliore ospitalità.»

«Non ti preoccupare.» Clark si alzò in piedi e gettò il fondo del bicchiere. Altro giro di strette di mano, e se ne andarono così com'erano venuti.

«Cazzo John, e adesso che si fa?» chiese Ding, mentre si allontanavano in macchina.

«Suppongo che tenteranno di riportare i cinesi sulla via della ragione.»

«Come andrà a finire?» Una scrollata di spalle e sopracciglia inarcate.

«Il telegiornale delle undici, Domingo».

Prepararsi per un viaggio non è semplice, anche con un sacco di gente che fa tutto per te. Questo valeva in modo particolare per SURGEON, che non solo si preoccupava della sua mise in pubblico quando era all'estero, ma rappresentava una vera e propria autorità per l'abbigliamento del marito. Jack Ryan era ancora nella Sala Ovale tentando di sbrigare gli ultimi impegni improcrastinabili (che in realtà potevano benissimo aspettare, ma c'erano delle finzioni anche nel governo che dovevano essere onorate), in attesa di uno squillo del telefono.

«Arnie?»

«Sì, Jack?»

«Riferisci all'aereonautica militare di tenere pronto un altro G per Varsavia, nel caso Scott si debba recare a Mosca quello stesso giorno.»

«Ottima idea. Lo possono lasciare a disposizione in qualche base militare.» Van Damm uscì per fare qualche telefonata.

«C'è altro, Ellen?» chiese Ryan alla sua segretaria.

«Ne vuole una?»

«Sì, prima di volare con Cathy verso il tramonto.» A dir la verità andavano verso oriente, ma la signora Sumter capì lo stesso. Passò a Ryan l'ultima sigaretta della giornata.

«Maledizione», Ryan sibilò con la prima boccata. Si doveva aspettare una telefonata da Mosca com'era vero Iddio, dipendeva solo dai loro tempi di assimilazione delle informazioni date, o magari Sergej avrebbe preferito aspettare fino al mattino dopo per far vedere il tutto al presidente Grusvoij. Chissà... A Washington avrebbero classificato come Critic roba del genere e l'avrebbero messa sotto il naso del presidente al massimo nel giro di venti minuti, ma non sapeva come si comportavano i russi. Sicuro come la morte che prima di mettere il piede giù dalla scaletta a Varsavia l'avrebbero chiamato. Ma per ora... Spense la sigaretta, aprì il cassetto per raggiungere lo spray per l'alito e se lo spruzzò in bocca prima di uscire dall'ufficio e dall'edificio: l'ala occidentale non è collegata al corpo principale della Casa Bianca da un corridoio interno per una svista architettonica. A ogni modo, nel giro di sei minuti era nel livello residenziale, mentre dei bagagli si occupavano gli uscieri. Cathy cercava da fare da supervisore ai lavori, controllata a sua volta a vista dagli uomini dei Servizi Segreti, che si comportavano come se qualcuno potesse metterci una bomba dentro. Ma la paranoia era il loro lavoro. Ryan si avvicinò a sua moglie.

«Dovresti parlare con Andrea.»

«E perché?»

«Per certi problemi allo stomaco, lei dice.»

«Capito». Cathy aveva sofferto di nausee quando era incinta di Sally, ma era stato tanto tempo fa e niente di grave.

«Be', lo sai, non c'è molto che si possa fare.»

«Alla faccia del progresso medico», commentò Jack.

«Ma comunque, mi pare che potrebbe giovarle un po' di solidarietà femminile.»

Cathy sorrise. «Già, certo, la solidarietà tra donne. Quindi tu e Pat farete comunella...»

Jack le rispose con un ghigno. «Sì sì, magari mi insegna a tirare meglio con la pistola.» «Fantastico», commentò seccamente SURGEON.

«Che mi metto per la cena di gala?» POTUS chiese a FLOTUS.

«Il completo azzurro.»

«Mi piace», disse Jack, toccandole il braccio. In quel momento comparvero i ragazzi, scortati fino alle camere dagli agenti loro assegnati, mentre Kyle veniva tenuto in braccio da una delle tigri. Lasciare soli i ragazzi non era mai semplice, anche se tutto sommato si erano abituati alla cosa. Ci fu il solito carosello di baci e abbracci, quindi Jack prese per mano la moglie e andarono insieme verso l'ascensore. Arrivati al piano terra, si avviarono a piedi verso l'eliporto, dove li aspettava il Vh-3, con il colonnello Malloy ai comandi. I marine salutarono, come sempre. Il presidente e la First Lady salirono e si allacciarono le cinture, sotto gli occhi guardinghi di un sergente della marina, che quindi riferì al pilota nel sedile davanti. Viaggiare in elicottero piaceva più a Cathy che a suo marito, perché ci saliva almeno un paio di volte al giorno. A Jack la paura iniziale era passata, ma preferiva di gran lunga spostarsi in auto, cosa che non gli era più permessa da mesi. Il Sikorsky si sollevò dolcemente, volteggiò nell'aria e puntò verso Andrews. Ci vollero solo dieci minuti. L'elicottero atterrò non lontano dal VC-25A, la versione militare del Boeing 747; c'erano solo pochi metri alla scaletta, con le solite telecamere assiepate per riprendere l'evento.

«Girati e saluta, tesoro.» Jack consigliò a Cathy in cima alla scaletta.

«Potremmo essere sul telegiornale della sera.»

«Ancora?» brontolò Cathy. Si girò e salutò, non il pubblico, ma le telecamere. Fatto il loro dovere, entrarono nell'aereo e si diressero verso la parte riservata al presidente. Si sedettero, allacciarono le cinture, osservati da un sottufficiale dell'aereonautica, che riferì al pilota che tutto era a posto e poteva avviare i motori e dirigersi verso la fine della pista di rullaggio zero-uno-destra. Quel che veniva dopo era routine, compreso il discorsetto del pilota, seguito dal solito decollo maestoso del Boeing e la salita a trentottomila piedi. Dopodiché, tutti potevano essere comodi, Ryan ne era certo, perché la peggiore delle poltrone montate sull'aereo era comoda quanto le sedute di prima classe degli aerei di linea. Nel complesso gli sembrava un inutile dispendio di denaro dei contribuenti, ma per quanto ne sapesse nessuno di loro si era lamentato. Quel che temeva accadde al largo delle coste del Maine.

«Signor presidente?» chiese una voce femminile.

«Sì, Sorge?»

«Una chiamata per lei sullo STU. Dove la vuole prendere?»

Ryan si alzò. «Di sopra».

Il sergente gli fece un cenno. «Da questa parte, signore.»

«Chi è?»

«Il direttore della CIA.» Era comprensibile, pensò Jack.

«Faccia chiamare anche il segretario Adler qui con me.»

«Sì, signore», disse mentre imboccava la scaletta a chiocciola.

Di sopra Ryan si accomodò in una poltrona lasciata libera da un sottufficiale dell'aviazione che gli passò il telefono.

«Ed?»

«Sì, Jack. Ha chiamato Sergej.»

«E che dice?»

«Secondo lui è una buona idea che tu vada in Polonia. Ci chiede un incontro al vertice, se possibile privato.» Adler si sedette nella poltrona vicino a Ryan in tempo per sentire il commento.

«Scott, ti va un salto a Mosca?»

«Si può fare senza dare nell'occhio?» chiese il segretario di Stato.

«Probabile.»

«Allora sì. Ed, hai messo in campo la proposta NATO?»

«Non sta a me farlo, Scott», gli rispose il capo della CIA.

«Sta bene. Credi che piglieranno la palla al balzo?»

«Tre a uno, sì.»

«Sono d'accordo», intervenne Ryan.

«Piacerà anche a Golovko».

«Eccome, non appena si riprende dallo shock», osservò Adler, con ironia nella voce.

«Okay, Ed, di' a Sergej che siamo d'accordo per un incontro segreto. Il segretario di Stato si reca a Mosca per consultazioni. Fammi sapere come si evolve la situazione.»

«D'accordo.»

«Bene, passo e chiudo.» Ryan ripose la cornetta e si rivolse ad Adler.

«Allora?»

«Se ci stanno, la Cina dovrà rifletterci bene.» La frase venne condita da un abbondante tono di speranza. Il problema, ripensò Ryan mentre si alzava, era che i Klingon non pensavano esattamente come noi.

 

La mossa del Drago
titlepage.xhtml
La_mossa_del_Drago_split_000.html
La_mossa_del_Drago_split_001.html
La_mossa_del_Drago_split_002.html
La_mossa_del_Drago_split_003.html
La_mossa_del_Drago_split_004.html
La_mossa_del_Drago_split_005.html
La_mossa_del_Drago_split_006.html
La_mossa_del_Drago_split_007.html
La_mossa_del_Drago_split_008.html
La_mossa_del_Drago_split_009.html
La_mossa_del_Drago_split_010.html
La_mossa_del_Drago_split_011.html
La_mossa_del_Drago_split_012.html
La_mossa_del_Drago_split_013.html
La_mossa_del_Drago_split_014.html
La_mossa_del_Drago_split_015.html
La_mossa_del_Drago_split_016.html
La_mossa_del_Drago_split_017.html
La_mossa_del_Drago_split_018.html
La_mossa_del_Drago_split_019.html
La_mossa_del_Drago_split_020.html
La_mossa_del_Drago_split_021.html
La_mossa_del_Drago_split_022.html
La_mossa_del_Drago_split_023.html
La_mossa_del_Drago_split_024.html
La_mossa_del_Drago_split_025.html
La_mossa_del_Drago_split_026.html
La_mossa_del_Drago_split_027.html
La_mossa_del_Drago_split_028.html
La_mossa_del_Drago_split_029.html
La_mossa_del_Drago_split_030.html
La_mossa_del_Drago_split_031.html
La_mossa_del_Drago_split_032.html
La_mossa_del_Drago_split_033.html
La_mossa_del_Drago_split_034.html
La_mossa_del_Drago_split_035.html
La_mossa_del_Drago_split_036.html
La_mossa_del_Drago_split_037.html
La_mossa_del_Drago_split_038.html
La_mossa_del_Drago_split_039.html
La_mossa_del_Drago_split_040.html
La_mossa_del_Drago_split_041.html
La_mossa_del_Drago_split_042.html
La_mossa_del_Drago_split_043.html
La_mossa_del_Drago_split_044.html
La_mossa_del_Drago_split_045.html
La_mossa_del_Drago_split_046.html
La_mossa_del_Drago_split_047.html
La_mossa_del_Drago_split_048.html
La_mossa_del_Drago_split_049.html
La_mossa_del_Drago_split_050.html
La_mossa_del_Drago_split_051.html
La_mossa_del_Drago_split_052.html
La_mossa_del_Drago_split_053.html
La_mossa_del_Drago_split_054.html
La_mossa_del_Drago_split_055.html
La_mossa_del_Drago_split_056.html
La_mossa_del_Drago_split_057.html
La_mossa_del_Drago_split_058.html
La_mossa_del_Drago_split_059.html
La_mossa_del_Drago_split_060.html
La_mossa_del_Drago_split_061.html
La_mossa_del_Drago_split_062.html
La_mossa_del_Drago_split_063.html
La_mossa_del_Drago_split_064.html
La_mossa_del_Drago_split_065.html
La_mossa_del_Drago_split_066.html
La_mossa_del_Drago_split_067.html
La_mossa_del_Drago_split_068.html
La_mossa_del_Drago_split_069.html
La_mossa_del_Drago_split_070.html
La_mossa_del_Drago_split_071.html
La_mossa_del_Drago_split_072.html
La_mossa_del_Drago_split_073.html
La_mossa_del_Drago_split_074.html
La_mossa_del_Drago_split_075.html
La_mossa_del_Drago_split_076.html
La_mossa_del_Drago_split_077.html
La_mossa_del_Drago_split_078.html
La_mossa_del_Drago_split_079.html
La_mossa_del_Drago_split_080.html
La_mossa_del_Drago_split_081.html
La_mossa_del_Drago_split_082.html
La_mossa_del_Drago_split_083.html
La_mossa_del_Drago_split_084.html
La_mossa_del_Drago_split_085.html
La_mossa_del_Drago_split_086.html
La_mossa_del_Drago_split_087.html
La_mossa_del_Drago_split_088.html
La_mossa_del_Drago_split_089.html
La_mossa_del_Drago_split_090.html
La_mossa_del_Drago_split_091.html
La_mossa_del_Drago_split_092.html
La_mossa_del_Drago_split_093.html
La_mossa_del_Drago_split_094.html
La_mossa_del_Drago_split_095.html
La_mossa_del_Drago_split_096.html
La_mossa_del_Drago_split_097.html
La_mossa_del_Drago_split_098.html
La_mossa_del_Drago_split_099.html
La_mossa_del_Drago_split_100.html
La_mossa_del_Drago_split_101.html
La_mossa_del_Drago_split_102.html
La_mossa_del_Drago_split_103.html
La_mossa_del_Drago_split_104.html
La_mossa_del_Drago_split_105.html
La_mossa_del_Drago_split_106.html
La_mossa_del_Drago_split_107.html
La_mossa_del_Drago_split_108.html
La_mossa_del_Drago_split_109.html
La_mossa_del_Drago_split_110.html
La_mossa_del_Drago_split_111.html
La_mossa_del_Drago_split_112.html
La_mossa_del_Drago_split_113.html
La_mossa_del_Drago_split_114.html
La_mossa_del_Drago_split_115.html
La_mossa_del_Drago_split_116.html
La_mossa_del_Drago_split_117.html
La_mossa_del_Drago_split_118.html
La_mossa_del_Drago_split_119.html
La_mossa_del_Drago_split_120.html
La_mossa_del_Drago_split_121.html
La_mossa_del_Drago_split_122.html
La_mossa_del_Drago_split_123.html
La_mossa_del_Drago_split_124.html
La_mossa_del_Drago_split_125.html
La_mossa_del_Drago_split_126.html
La_mossa_del_Drago_split_127.html
La_mossa_del_Drago_split_128.html
La_mossa_del_Drago_split_129.html
La_mossa_del_Drago_split_130.html
La_mossa_del_Drago_split_131.html
La_mossa_del_Drago_split_132.html
La_mossa_del_Drago_split_133.html
La_mossa_del_Drago_split_134.html
La_mossa_del_Drago_split_135.html
La_mossa_del_Drago_split_136.html
La_mossa_del_Drago_split_137.html
La_mossa_del_Drago_split_138.html
La_mossa_del_Drago_split_139.html
La_mossa_del_Drago_split_140.html
La_mossa_del_Drago_split_141.html
La_mossa_del_Drago_split_142.html
La_mossa_del_Drago_split_143.html
La_mossa_del_Drago_split_144.html
La_mossa_del_Drago_split_145.html
La_mossa_del_Drago_split_146.html
La_mossa_del_Drago_split_147.html
La_mossa_del_Drago_split_148.html
La_mossa_del_Drago_split_149.html
La_mossa_del_Drago_split_150.html
La_mossa_del_Drago_split_151.html
La_mossa_del_Drago_split_152.html
La_mossa_del_Drago_split_153.html
La_mossa_del_Drago_split_154.html
La_mossa_del_Drago_split_155.html
La_mossa_del_Drago_split_156.html
La_mossa_del_Drago_split_157.html
La_mossa_del_Drago_split_158.html
La_mossa_del_Drago_split_159.html
La_mossa_del_Drago_split_160.html
La_mossa_del_Drago_split_161.html
La_mossa_del_Drago_split_162.html
La_mossa_del_Drago_split_163.html
La_mossa_del_Drago_split_164.html
La_mossa_del_Drago_split_165.html
La_mossa_del_Drago_split_166.html
La_mossa_del_Drago_split_167.html
La_mossa_del_Drago_split_168.html
La_mossa_del_Drago_split_169.html
La_mossa_del_Drago_split_170.html
La_mossa_del_Drago_split_171.html
La_mossa_del_Drago_split_172.html
La_mossa_del_Drago_split_173.html
La_mossa_del_Drago_split_174.html
La_mossa_del_Drago_split_175.html
La_mossa_del_Drago_split_176.html
La_mossa_del_Drago_split_177.html
La_mossa_del_Drago_split_178.html
La_mossa_del_Drago_split_179.html
La_mossa_del_Drago_split_180.html
La_mossa_del_Drago_split_181.html
La_mossa_del_Drago_split_182.html
La_mossa_del_Drago_split_183.html
La_mossa_del_Drago_split_184.html
La_mossa_del_Drago_split_185.html
La_mossa_del_Drago_split_186.html
La_mossa_del_Drago_split_187.html
La_mossa_del_Drago_split_188.html
La_mossa_del_Drago_split_189.html
La_mossa_del_Drago_split_190.html
La_mossa_del_Drago_split_191.html
La_mossa_del_Drago_split_192.html
La_mossa_del_Drago_split_193.html
La_mossa_del_Drago_split_194.html
La_mossa_del_Drago_split_195.html
La_mossa_del_Drago_split_196.html
La_mossa_del_Drago_split_197.html
La_mossa_del_Drago_split_198.html
La_mossa_del_Drago_split_199.html
La_mossa_del_Drago_split_200.html
La_mossa_del_Drago_split_201.html
La_mossa_del_Drago_split_202.html
La_mossa_del_Drago_split_203.html
La_mossa_del_Drago_split_204.html
La_mossa_del_Drago_split_205.html
La_mossa_del_Drago_split_206.html
La_mossa_del_Drago_split_207.html
La_mossa_del_Drago_split_208.html
La_mossa_del_Drago_split_209.html
La_mossa_del_Drago_split_210.html
La_mossa_del_Drago_split_211.html
La_mossa_del_Drago_split_212.html
La_mossa_del_Drago_split_213.html
La_mossa_del_Drago_split_214.html
La_mossa_del_Drago_split_215.html
La_mossa_del_Drago_split_216.html
La_mossa_del_Drago_split_217.html
La_mossa_del_Drago_split_218.html
La_mossa_del_Drago_split_219.html
La_mossa_del_Drago_split_220.html
La_mossa_del_Drago_split_221.html
La_mossa_del_Drago_split_222.html
La_mossa_del_Drago_split_223.html
La_mossa_del_Drago_split_224.html
La_mossa_del_Drago_split_225.html