22. LA TAVOLA E LA RICETTA
«Ministro, è un piacere», disse Cliff Rutledge con il suo più amichevole tono diplomatico, con una stretta di mano. Rutledge era lieto che la Repubblica Popolare Cinese avesse adottato il costume occidentale... non aveva mai imparato il giusto modo d'inchinarsi. Carl Hitch, l'ambasciatore americano presso la Repubblica Popolare, si trovava lì per la cerimonia d'apertura. Era un ufficiale di carriera del servizio estero che aveva sempre preferito lavorare all'estero piuttosto che nella sede centrale. Occuparsi delle relazioni diplomatiche giorno dopo giorno non era particolarmente eccitante, ma in un posto come quello richiedeva una mano particolarmente ferma. Hitch ce l'aveva, ed era apparentemente benvoluto dal resto della comunità diplomatica, il che non guastava. Per Mark Gant, però, tutto era nuovo. La stanza faceva impressione, simile alla sala del consiglio di un importante ente, pensata per mantenere felici i membri del consiglio, come i nobili dell'Italia medievale. Aveva un soffitto alto e pareti rivestite di stoffa, seta cinese, in questo caso, rossa, naturalmente, sicché sembrava di strisciare nel ventre di una balena, con tanto di candelabri, oggetti di cristallo e lucidi ottoni. Ciascuno aveva un minuscolo bicchiere di mao-tai, che era davvero come bere benzina liquida aromatizzata, come gli era stato detto.
«La prima volta che viene a Pechino?» gli chiese un ufficiale di grado inferiore.
Gant si voltò e abbassò lo sguardo sull'ometto. «Sì.»
«Troppo presto per una prima impressione, allora?»
«Sì, ma questa stanza lascia davvero senza fiato... e poi la seta è qualcosa con cui il suo popolo ha una lunga e fortunata storia», continuò, chiedendosi se le sue parole sembrassero diplomatiche o semplicemente impacciate.
«E' così, sì», concordò l'ufficiale con un sorriso tutto denti e un cenno di assenso, nessuna delle quali cose diceva molto al visitatore americano, tranne il fatto che l'ometto non spendeva molti soldi in spazzolini da denti.
«Ho sentito parlare molto della collezione d'arte imperiale.»
«La vedrà», promise l'ufficiale.
«Fa parte del programma ufficiale.»
«Fantastico. Oltre a svolgere i miei doveri, mi piacerebbe fare il turista.»
«Spero che ci troverà ospiti accettabili», replicò il piccolo uomo. Da parte sua, Gant si chiedeva se quel sorridente nanetto pieno di inchini gli avrebbe urtato le ginocchia e inferto un colpo, ma la diplomazia era un campo totalmente nuovo per lui. Questi non erano funzionari di una investment bank, che erano generalmente educati squali che ti davano da bere e da mangiare prima di farti sedere e tentare di fregarti, ma non nascondevano mai il fatto di essere degli squali. Questa gente... non ne era altrettanto sicuro. Questo grado di gentilezza e sollecitudine era un'esperienza nuova per Gant, ma considerando le istruzioni ricevute prima della missione, si chiese se quell'ospitalità non fosse solo il preludio di un meeting insolitamente ostile quando fossero giunti a parlare d'affari. Se le due cose si dovevano bilanciare, allora, quando quest'altalena fosse giunta in basso, sarebbero stati cazzi amari, ne era sicuro.
«Così, lei non è del Dipartimento di Stato americano?» chiese il cinese.
«No, sono nel Dipartimento del Tesoro. Lavoro direttamente per il segretario Winston.»
«Ah, allora lei sta nell'affare commerciale?» Dunque, quel piccolo bastardo era al corrente... Ma c'era da aspettarselo. A questo livello del governo non si agiva in modo indipendente. Ciascuno era stato messo al corrente in modo approfondito. Tutti avevano letto il libro sugli americani. I membri del Dipartimento di Stato dell'equipaggio americano avevano fatto la stessa cosa. Gant però no, dato che non era un giocatore vero e proprio e gli era stato detto solo quanto gli era necessario sapere. Questo gli dava un vantaggio sul cinese che aveva il compito di occuparsi di lui. Non apparteneva al Dipartimento di Stato, e pertanto non doveva essere considerato importante... ma era il rappresentante personale di un ufficiale americano molto anziano, noto per far parte della cerchia di intimi di quell'uomo, e questo lo rendeva senz'altro molto importante. Forse era addirittura un consigliere principale di Rutledge... e, in un contesto cinese, quella cosa poteva anche significare che lui, Gant, era l'uomo che conduceva realmente i negoziati al posto del diplomatico, perché i cinesi spesso conducono le cose in quella maniera. Venne in mente a Gant che avrebbe forse potuto fregarli un poco... ma come riuscirci?
«Oh sì, sono stato un capitalista per tutta la vita», disse Gant, decidendo di parlare senza mezzi termini, e di rivolgersi al tipo come se fosse un essere umano e non un fottuto diplomatico comunista.
«E così anche il segretario Winston, e così anche il nostro presidente, sa.»
«Ma lui era essenzialmente un ufficiale dei Servizi Segreti, almeno così mi è stato detto.»
Era il momento di dare la frecciatina. «Suppongo che sia vero in parte, ma il suo cuore è negli affari, credo. Una volta che avrà lasciato il servizio nel governo, lui e George si metteranno probabilmente in società e davvero conquisteranno il mondo.»
Il che era quasi vero, pensò Gant, ricordando che le bugie migliori solitamente lo erano. «E lei ha lavorato alcuni anni col segretario Winston.»
Un'affermazione più che una domanda, osservò Gant. Che risposta dare? Fino a che punto loro sapevano di lui... oppure lui era un uomo del mistero per questi comunisti gialli? In tal caso, poteva far sì che questo giocasse a suo favore? Un sorriso gentile e sagace.
«Ebbene, sì. George e io abbiamo fatto un po' di soldi insieme. Quando Jack lo portò nel suo Gabinetto, George decise che voleva che io andassi con lui per aiutarlo un po' nella politica governativa. Specialmente la politica fiscale. Era un vero casino e George mi lasciò mano libera in questo campo. E sa una cosa? Siamo riusciti a cambiare tutto. Sembra che il Congresso stia per fare quello che gli abbiamo detto di fare, e questo non è male, far fare a quegli idioti ciò che noi vogliamo che facciano», osservò Gant, guardando piuttosto deliberatamente la decorazione di avorio intagliato attorno alla bacheca di legno. Alcuni artisti con un coltello aguzzo avevano passato un sacco del loro tempo a intagliare quella cosa nel modo esatto... E così, cinesino, ti sembro importante adesso? Una cosa su quest'individuo: avrebbe potuto essere un bravo giocatore di poker. I suoi occhi non rivelavano nulla, non una fottuta cosa. Gant abbassò di nuovo lo sguardo sul cinese.
«Mi scusi. Parlo troppo.»
L'ufficiale sorrise. «Lo si fa molto in momenti come questo. Perché suppone che tutti prendano qualcosa da bere?»
Il tono divertito della sua voce voleva forse far sapere a Gant chi stava realmente conducendo l'affare?
«Immagino», osservò Gant con diffidenza e si allontanò con il giovane (o no?) ufficiale dietro di lui. Da parte sua, Rutledge stava cercando di decidere se l'opposizione fosse al corrente di quali fossero le sue istruzioni. I media avevano lasciato trapelare qualcosina, ma Adler aveva predisposto quelle fughe di notizie con abilità, di modo che anche un attento osservatore (e l'ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese a Washington lo era) avrebbe avuto dei problemi a decidere chi lasciava trapelare che cosa e a quale scopo. L'amministrazione di Ryan aveva utilizzato la stampa con un notevole grado di abilità, probabilmente, pensava Rutledge, perché gli ufficiali di Gabinetto prendevano essenzialmente ordini dal capo del personale di Ryan, Arnie van Damm, che era un operatore politico molto abile. Il nuovo Gabinetto non vedeva l'abituale susseguirsi di personaggi politici, che avevano bisogno di ingraziarsi la stampa per appoggiare i loro interessi del momento. Ryan aveva essenzialmente scelto persone senza veri e propri interessi personali, il che non era una prodezza da poco, specialmente dal momento che molti di loro apparivano come tecnici competenti che, come Ryan, sembravano solo voler uscire da Washington con la virtù intatta e tornare alla loro vita reale non appena finivano di servire il loro paese per un breve periodo di tempo. Il diplomatico di carriera non avrebbe mai ritenuto possibile che il governo del suo paese potesse venire così trasformato. Attribuiva il merito di tutto ciò al pazzo pilota giapponese che aveva ucciso tanta parte della Washington ufficiale in quell'unico suo folle gesto.
Fu allora che fece la sua comparsa Xu Kun Piao, incedendo nella sala delle cerimonie con il suo entourage ufficiale. Xu era segretario generale del partito comunista della Repubblica Popolare Cinese e presidente del Politburo cinese, anche se i media lo chiamavano «premier» del paese, titolo piuttosto inappropriato ma che veniva adottato anche nella comunità diplomatica. Era un uomo di settantuno anni, uno dei leader cinesi della seconda generazione. I sopravvissuti alla Lunga Marcia erano morti da tempo c'erano alcuni ufficiali anziani che sostenevano di esserci stati, ma un controllo sulle date dimostrava che, se c'erano stati, all'epoca stavano ancora succhiando il latte della mamma, e quegli uomini non venivano presi sul serio. No, l'attuale schiera dei leader politici cinesi era essenzialmente costituita dai figli o dai nipoti di quel primo gruppo originario, con privilegi e relative comodità, ma sempre memori del fatto che il loro posto nella vita era precario. Da un lato c'erano gli altri bambini politici che anelavano arrivare più in là rispetto a dove erano arrivati i loro genitori, e per raggiungere tale meta erano stati più cattolici del papa comunista locale. Avevano tenuto alto il loro Libretto rosso come adulti durante la Rivoluzione culturale, e prima di allora avevano tenuto la bocca chiusa e le orecchie aperte durante la campagna fallimentare e sfruttatrice dei «cento fiori» della fine anni Cinquanta, che aveva preso in trappola molti degli intellettuali che avevano pensato di tenersi nascosti durante i primi dieci anni di governo di Mao. Erano stati fatti uscire allo scoperto dalla richiesta di Mao di esprimere le loro idee, che scioccamente essi avevano esposto, e nella fase successiva non avevano fatto che appoggiare il collo sul grande ceppo per l'ascia che si era abbattuta su di loro pochi anni dopo nella brutale, cannibalesca Rivoluzione culturale. Gli attuali membri del Politburo erano sopravvissuti in due modi. Primo, erano stati messi al sicuro dai loro padri e dal rango che era insito in tale importante parentela. Secondo, erano stati attentamente avvertiti su ciò che potevano e ciò che non potevano dire, e per tutto il tempo essi osservarono tali disposizioni con cautela, sempre proclamando ad alta voce che le idee del presidente Mao erano quelle di cui la Cina aveva davvero bisogno e che le altre, anche se interessanti, forse, da uno stretto punto di vista intellettuale, erano pericolose, perché distraevano gli operai e i contadini dalla vera via di Mao. E così quando quell'ascia si era abbattuta, nata com'era dal Libretto rosso, erano stati tra i primi a portare e mostrare il libro agli altri, sfuggendo in tal modo alla distruzione della maggior parte; alcuni tra loro erano stati sacrificati, naturalmente, ma non quelli davvero intelligenti, che adesso avevano una poltrona al Politburo. Era stato un brutale processo darwiniano che tutti loro avevano superato perché erano un po' più intelligenti di quelli che stavano loro attorno, e adesso, giunti al massimo del potere conquistato attraverso il cervello e la cautela, era tempo per loro di godere dei frutti che avevano guadagnato. La nuova schiera di leader accettava il comunismo come vero, così come altri uomini credevano in Dio, perché non avevano imparato nient'altro e non avevano esercitato la loro agilità intellettuale nel cercare un'altra fede e nemmeno soluzioni alle domande cui il marxismo non sapeva rispondere. La loro era una fede nata dalla rassegnazione più che dall'entusiasmo. Raccolti all'interno di un contenitore intellettuale circoscritto, non si avventuravano mai fuori, perché avevano paura di quello che potevano trovare. Negli ultimi vent'anni, erano stati costretti a lasciare che il capitalismo si sviluppasse entro i confini del loro paese, perché quel paese aveva bisogno di denaro per diventare qualcosa di più potente del fallito esperimento nella Repubblica Democratica della Corea. La Cina era passata attraverso la sua carestia devastatrice attorno al 1960, e da questa aveva lentamente imparato, e i cinesi la usavano anche come punto di partenza per la Rivoluzione culturale, traendo così da un disastro autoimposto un capitale politico. Volevano che la loro nazione fosse grande. In effetti già loro la vedevano tale, ma riconoscevano il fatto che le altre nazioni non giudicavano le cose sotto lo stesso punto di vista, e così dovevano cercare i mezzi per correggere questa impressione sbagliata che scioccamente il resto del mondo si era fatta. Questo significava denaro, e denaro significava industria, e l'industria aveva bisogno dei capitalisti. Era qualcosa che essi si erano immaginati prima che quegli sciocchi sovietici arrivassero al loro nord e al loro ovest. E così l'Unione Sovietica era caduta, ma la Repubblica Popolare Cinese era rimasta in piedi. Almeno essi credevano. Guardarono all'esterno, quando si presero la briga di farlo, verso un mondo che pretendevano di capire e a cui si sentivano superiori, non foss'altro che per la loro pelle e la loro lingua - l'ideologia veniva al secondo posto nella loro valutazione; l'amor proprio è qualcosa di innato. Si aspettavano che la gente si inchinasse a loro, e gli anni precedenti di diplomazia interattiva col mondo circostante non avevano alterato poi molto il loro modo di vedere le cose. Ma in questo, avevano le loro illusioni. Henry Kissinger era venuto in Cina nel 1971 su ordine del presidente Richard Nixon, non tanto per la necessità di stabilire rapporti normali con la nazione più popolosa del mondo quanto per usare la Repubblica Popolare Cinese come randello con cui battere e sottomettere l'Unione Sovietica. Infatti Nixon aveva iniziato un processo così lungo da essere considerato superiore alle capacità occidentali, si avvicinava di più a quel tipo di approccio che gli occidentali pensavano che potessero concepire i cinesi. Con tali idee, i popoli non fanno che mostrare pregiudizi etnici di un tipo o di un altro. Il tipico capo di un governo totalitarista è troppo concentrato su di sé per pensare molto a quanto avverrà dopo la sua morte, e gli uomini di tutto il mondo vivono più o meno la stessa media di anni. Per quel semplice motivo, pensano tutti in termini di programmi che si possono completare fintanto che loro stessi li possano vedere o poco dopo, perché sono tutti uomini che hanno abbattuto le statue degli altri, e tali uomini si fanno poche illusioni sulla sorte dei loro stessi monumenti. Era solo quando si trovavano di fronte alla morte che consideravano quello che avevano fatto, e Mao aveva cupamente riconosciuto a Henry Kissinger che tutto quello che egli aveva fatto era stato scambiare le vite dei contadini con poche miglia di Pechino. Ma gli uomini in questa sala delle cerimonie non erano ancora abbastanza vicini alla morte per pensare in questi termini. Essi reggevano le sorti della loro terra. Facevano le regole che gli altri seguivano. Le loro parole erano legge. I loro capricci erano accontentati con alacrità. Il popolo li considerava come una volta considerava gli imperatori e i principi del passato. Tutto ciò che un uomo poteva desiderare di avere, essi lo avevano. La maggior parte di loro aveva il potere. Erano i loro desideri che governavano la loro vasta e antica terra. La loro ideologia comunista era semplicemente la magia che dava forma ai loro desideri, le regole del gioco che tutti loro avevano accettato di giocare tanti anni prima. Il potere era la cosa giusta. Potevano concedere o togliere la vita con un tratto di penna, o, più realisticamente, con una parola dettata, trascritta da un segretario personale che veniva poi trasmessa al subalterno che premeva il grilletto. Xu era un uomo che aveva ogni cosa nella media: altezza, peso, occhi, viso... e intelletto, dicevano alcuni. Rutledge aveva letto tutto questo nei suoi documenti di briefing. Il vero potere stava altrove. Xu era in un certo senso un prestanome, scelto per il suo aspetto, in parte, per la sua abilità nel parlare, sicuramente, e per la sua capacità, di fronte alle occasionali idee di altri al Politburo, di simulare convinzione. Come un attore di Hollywood, non doveva tanto essere intelligente quanto fare la parte di un uomo intelligente.
«Compagno premier», lo salutò Rutledge, tendendogli la mano, che il cinese strinse.
«Signor Rutledge», rispose Xu in un passabile inglese. C'era anche un interprete lì, per le idee più complesse.
«Benvenuto a Pechino.»
«Piacere mio. Sono onorato di visitare nuovamente il vostro vecchio paese», rispose il diplomatico, mostrando l'appropriato rispetto e remissività, pensò il leader cinese.
«E' sempre un piacere accogliere un amico», continuò Xu, seguendo le istruzioni che gli avevano date. Rutledge era già stato prima in Cina col suo titolo ufficiale, ma mai prima d'allora come capo di una delegazione. Era noto al ministro degli Esteri cinese come diplomatico che era salito sulla scala della sua burocrazia, più o meno come avevano fatto loro nel loro paese... un semplice tecnico, ma di alto grado. Il capo del Politburo alzò il bicchiere.
«Bevo alla salute di negoziati cordiali e coronati da successo.» Rutledge sorrise e alzò anch'egli il suo bicchiere.
«Anch'io, signore.» Entrarono le telecamere. Anche i giornalisti giravano lì attorno. I cameraman facevano soprattutto ciò che loro chiamavano riprese «localizzatrici», come farebbe qualsiasi dilettante con la sua videocamera meno costosa. Mostravano la stanza a una distanza innaturale, in modo che chi guardava vedesse i colori, con alcuni primi piani di sedie su cui nessuno si supponeva sedesse, con riprese un po' più ravvicinate dei principali partecipanti che bevevano i loro drink e si mostravano affabili l'uno verso l'altro (questa veniva chiamata «bobina B», e si proponeva di mostrare agli spettatori com'era trovarsi a un cocktail party importante, formale e non troppo piacevole). Il vero servizio relativo all'evento lo avrebbero fatto persone come Barry Wise e gli altri giornalisti televisivi, che avrebbero detto allo spettatore ciò che le immagini non gli potevano mostrare. Poi il servizio sarebbe tornato nello studio di Washington della CNN, dove altri giornalisti avrebbero discusso ciò che era e ciò che non era trapelato fino a loro, poi avrebbero parlato di ciò che nella loro sagace saggezza pensavano dovesse essere il giusto decorso per gli Stati Uniti d'America. Il presidente Ryan avrebbe visto tutto ciò dopo colazione, mentre leggeva i giornali e il servizio di ritagli di stampa Early Bird prodotto dal governo. Dopo colazione, Jack Ryan avrebbe fatto i suoi concisi commenti che sarebbero stati annotati dalla moglie, la quale ne avrebbe discusso dopo pranzo con i suoi colleghi alla Johns Hopkins, i quali ne avrebbero forse parlato con i loro mariti e le loro mogli, e da lì non sarebbero andati oltre. In questo modo, i pensieri del presidente spesso restavano un mistero. Il party terminò all'ora prestabilita, e gli americani fecero ritorno alla loro ambasciata nelle automobili di rappresentanza.
«Dunque, cosa ci può riferire della riunione?» chiese Barry a Rutledge, nell'inviolabilità del sedile posteriore della Lincoln.
«Non molto, a dire il vero», replicò il vicesegretario di Stato per la politica.
«Noi ascolteremo ciò che hanno da dirci ed essi ascolteranno ciò che noi abbiamo da dir loro, e da lì partirà il resto.»
«Loro vogliono entrare nel numero delle nazioni più importanti del mondo. Ci riusciranno?»
«Non sta a me deciderlo, Barry, e lei lo sa.»
Rutledge era troppo stanco e risentiva ancora troppo del cambiamento di fuso orario per sostenere una conversazione intelligente in quel momento. Non si fidava a parlare in quella situazione e immaginò che Wise lo sapesse. Il reporter si stava allungando verso di lui per la stessa ragione.
«Dunque, di che cosa parlerete?»
«Ovviamente ci piacerebbe che i cinesi aprissero di più il loro mercato e anche guardare un po' più da vicino alcune nostre faccende, come le violazioni di brevetti e diritti d'autore di cui le aziende americane si sono lamentate.»
«La faccenda della Dell Computer?»
Rutledge annuì. «Sì, quella è una.» Poi sbadigliò. «Mi scusi. Il lungo volo, sa com'è.»
«Io ero sullo stesso aereo», fece notare Barry Wise.
«Be', può darsi che lei sia semplicemente più in forma di me», suggerì Rutledge. «Possiamo rimandare questa discussione di un giorno o due?»
«Se vuole», consentì il reporter della CNN: non gli piaceva molto quell'individuo, ma era una fonte di informazioni e le informazioni costituivano proprio il campo di lavoro di Wise. Il tragitto in ogni caso era breve. La delegazione ufficiale scese dall'auto all'ambasciata e le auto dell'ambasciata portarono i giornalisti ai loro hotel. L'ambasciata aveva posti letto per l'intera delegazione ufficiale, essenzialmente per garantire che tutto ciò che essi avrebbero detto non sarebbe stato registrato da cimici del Ministero della Sicurezza di Stato in ogni stanza d'hotel della città. Questo non voleva dire che la sistemazione fosse principesca, anche se a Rutledge era stata assegnata una camera comoda. Qui il protocollo venne meno a Mark Gant, ma egli ebbe comunque un comodo letto singolo nella sua piccola stanza privata e un bagno con doccia in comune. Egli decise immediatamente di fare un bagno caldo e di prendere uno dei sonniferi che gli aveva dato il medico che accompagnava la delegazione ufficiale. Gli avrebbe presumibilmente regalato otto ore circa di sonno, giusto il tempo per sincronizzarlo con l'ora locale del mattino. Ci sarebbe quindi stata una grande colazione di lavoro, più o meno simile a quella che gli astronauti si godevano prima del lancio di uno shuttle e ancor più simile a una tradizione americana come la bandiera a stelle e strisce sventolante su Fort McHenry.