35. PRIME PAGINE
«Cazzo», Ryan commentò quietamente il fax da Mosca che gli aveva consegnato Murray. «Ma è tutto vero?» aggiunse come altra riflessione.
«Crediamo di sì, Jack», gli confermò il direttore dell'FBI. Si conoscevano ormai da dieci anni, quindi poteva usare con lui il nome di battesimo. Gli espose rapidamente alcuni fatti.
«Il nostro uomo, Reilly, è un esperto di comunicazioni, ecco perché l'abbiamo spedito laggiù, ma ha accumulato anche altri tipi di esperienza nel suo ufficio di New York. Sa il fatto suo, Jack», disse Murray per rassicurare il presidente.
«Ne ha fatta di strada. Si è costruita una solida rete di rapporti di lavoro con la polizia del posto, aiutandoli con le indagini, dando una mano qui e là, sai, come facciamo noi con la nostra polizia, no?»
«Allora?»
«Allora mi sembra una montatura, Jack. Qualcuno ha cercato di fare secco Sergej Nicolaye tutto ci fa pensare a un'operazione del governo cinese.»
«Dio santo. Tutta una messinscena?»
«Se così fosse, lo sapremo quando qualche ministro cinese muore improvvisamente di emorragia cerebrale, provocata da un proiettile alla nuca», disse Murray al presidente.
«Ed Foley è già stato informato?»
«Mi sono fatto dare tutto e gliel'ho spedito per fax. Quindi, sì, l'avrà sicuramente visto.»
«Pat?» disse Ryan volgendosi verso il guardasigilli, l'avvocato più in gamba che conoscesse, compresi tutti quelli della Corte Suprema.
«Signor presidente, si tratta di una rivelazione sconcertante se stanno effettivamente così le cose, voglio dire, e non è una specie di panno rosso per provocarci, o un trucco dei russi per far precipitare la situazione; il problema è che mi riesce difficile capire la ragione che sta dietro a tutto questo. Ci troviamo apparentemente di fronte a un puro atto di follia, troppo per essere vero ma anche troppo per essere falso. Mi occupo da anni di operazioni di controspionaggio e confesso di non aver mai visto nulla del genere. Avevamo con i russi una specie di tacito accordo per cui non avrebbero mai colpito nessuno a Washington e noi avremmo fatto lo stesso a Mosca e per quanto ne so questo accordo non è mai stato violato da alcuna delle due parti. Ma questo... Se fosse vero, equivarrebbe a un atto di guerra. Non mi sembra molto prudente neppure se lo facessero i cinesi, non le pare?»
POTUS sollevò gli occhi dal fax. «Qui dice che il vostro uomo, Reilly, è stato lui a scoprire la connection con i cinesi...»
«Vai avanti», gli disse Murray.
«Si trovava lì per una sorveglianza e praticamente faceva il suo servizio gratis, quando... bingo!»
«Ma i cinesi sono davvero così pazzi...» la voce di Ryan si smorzò in gola. «Non è che siano i russi che ci vogliono creare un po' di scompiglio in testa?» chiese.
«Ma quale potrebbe essere il motivo?» chiese Martin.
«Se c'è, non lo vedo.»
«Ma ragazzi, non ci può essere nessuno così folle!» quasi esplose POTUS. Si stava insinuando in ogni fibra del suo cervello. Il mondo non era ancora razionale.
«Anche in questo caso, è lei ad avere più strumenti di noi per poter valutare la situazione», osservò Martin. Questo almeno ebbe l'effetto di far sbollire un po' Jack.
«Tutto il tempo che sono stato a Langley ho visto un sacco di cose, le più incredibili, ma questa davvero le batte tutte.»
«Che cosa si sa del cinese?» chiese Murray, aspettandosi delle risposte sulla falsariga dei «cazzo, Jack», dal momento che gli sforzi del Bureau per intercettare le operazioni dei Servizi Segreti cinesi in America non erano stati coronati da successi cospicui, e immaginava che la CIA avesse gli stessi problemi e per la stessa ragione, e cioè che gli americani di origine cinese al servizio del governo si contavano sulle dita di qualche mano. Ma invece si accorse che il presidente Ryan se ne stava sulle sue e non parlava. Murray aveva parlato con migliaia di persone nella sua lunga carriera e nel corso degli anni aveva imparato anche a leggere nel pensiero. Si concentrò su Ryan e rimase confuso su quel che vedeva.
«Non abbastanza, Dan. Non abbastanza», rispose alla lunga Ryan. Gli ronzava ancora nella testa quel rapporto. Pat Martin aveva detto bene. Era troppo folle per essere vero e troppo folle per non esserlo. Aveva bisogno che i Foley controllassero la cosa per lui ed era ora di far venire il professor Weaver dalla Brown University, immaginando che Ed e Mary Pat gli avrebbero fatto sudare non poco l'accesso a informazioni relative a SORGE e alla bomba dell'FBI. SWORDSMAN non aveva in questo momento ancora le idee molto chiare, ma era sicuro di doversi fare un'idea sul caso e di farlo subito. Avevano appena mandato all'aria le relazioni con la Cina e ora queste informazioni sembravano far pensare a un attacco diretto al governo russo. Ryan sollevò lo sguardo verso i suoi ospiti.
«Grazie di tutto, ragazzi. Se verrete a sapere qualcosa che possa essere interessante, informatemi prima possibile. Devo riflettere su questi sviluppi.»
«Ci credo, Jack. Ho detto a Reilly di offrire tutto l'aiuto possibile e di riferire. Loro lo sanno benissimo, ovviamente. Quindi, il tuo amico Golovko vuole sapere di questo qua. Sta a te come gestire l'intera faccenda, suppongo.»
«Sì, ricevo solo telefonate facili», disse Jack abbozzando un sorriso. Il peggio era non riuscire a discutere per tempo dei problemi con le persone giuste. Non si poteva parlare di queste cose al telefono; bisognava guardare il proprio interlocutore in faccia, osservare la sua gestualità quando espone le sue idee riguardo un argomento così delicato. Sperava che George Weaver fosse in gamba come dicevano. Ora aveva solo bisogno di una bacchetta magica.