«Allora, Mike?» domandò Dan Murray, a otto ore di fuso da lì.
«Ancora niente di nuovo, direttore, ma ora sembra che siamo sulle tracce di qualcuno. Il nome dell'uomo è Klementi IvanSuvorov, attualmente noto sotto l'identità di Ivan Iurievic Koniev. Reilly lesse l'indirizzo.»
«La pista porta a lui, o almeno così sembra, e l'abbiamo visto prendere probabili contatti con un diplomatico cinese.»
«E che diavolo vuol dire?» si chiese il direttore dell'FBI Murray sulla linea schermata.
«E' stato lei a spedirmi qui, direttore, ma questo si è rivelato senz'altro un caso interessante.»
«Devi essere abbastanza intimo con questo Provalov...»
«E' un bravo poliziotto... e, sì, andiamo d'accordo.»
Era molto di più di quanto Cliff Rutledge potesse dire del suo rapporto con Shen Tang.
«La copertura dei vostri media sull'incidente è già stata abbastanza negativa, ma i commenti del vostro presidente sulla nostra politica interna rappresentano una violazione della sovranità cinese!» disse il ministro cinese quasi urlando, per la settima volta dall'ora di pranzo.
«Ministro», replicò Cliff Rutledge, «nulla di questo sarebbe accaduto se il vostro poliziotto non avesse sparato a un diplomatico accreditato, e questo non è certo un atto civile, in senso stretto.»
«I nostri affari interni sono affari nostri», ribatté immediatamente Shen.
«E' senza dubbio vero, ministro, ma l'America ha i propri valori, e se voi ci chiedete di onorare i vostri, allora è lecito che noi vi domandiamo di mostrare un po' di rispetto nei confronti dei nostri.»
«Ci siamo stancati delle ingerenze americane nella politica interna cinese. Prima riconoscete la provincia ribelle di Taiwan, poi incoraggiate gli stranieri a interferire con la nostra politica interna. Infine mandate una spia sotto la copertura di un religioso, e gli fate violare le nostre leggi insieme a un diplomatico proveniente da un altro paese, poi fotografate un poliziotto cinese che fa il suo dovere, e infine il vostro presidente condanna noi per la vostra ingerenza nei nostri affari interni. La Repubblica Popolare non tollererà questo atto d'inciviltà!»
E adesso avete intenzione di domandare lo status di nazione favorita per il commercio, eh? pensò Mark Gant seduto sulla sedia. Maledizione, questo era proprio come un incontro a Wall Street con alcuni degli investitori delle banche, quelli che si comportavano come pirati.
«Ministro, lei ci definisce incivili», rispose Rutledge, «ma le nostre mani non sono sporche di sangue. Ora, se non ricordo male, siamo qui per discutere di commercio. Possiamo tornare a questo ordine del giorno?»
«Ministro, l'America non ha diritto di imporre dei diktat alla Repubblica Popolare da un lato, e di negarci i nostri diritti dall'altro», ribatté Shen.
«Ministro, l'America non ha avuto alcuna ingerenza negli affari interni della Cina. Se uccidete un diplomatico, vi dovete aspettare una reazione. Per quanto riguarda la questione della Repubblica della Cina...»
«Non c'è nessuna Repubblica della Cina!» quasi gridò il ministro degli Esteri cinese.
«Sono una provincia ribelle, e voi avete violato la nostra sovranità riconoscendola!»
«Ministro, la Repubblica della Cina è una nazione indipendente con un governo liberamente eletto, e non siamo l'unico paese a riconoscere questo fatto. La politica degli Stati Uniti d'America incoraggia l'autodeterminazione dei popoli. In questo caso, se gli abitanti della Repubblica della Cina avessero deciso di restare uniti alla terraferma, sarebbe stata una loro scelta legittima, ma dal momento che hanno liberamente scelto di essere quello che sono, l'America ha deciso di riconoscerli. Noi ci aspettiamo che gli altri paesi riconoscano il governo degli Stati Uniti come legittimo, dal momento che questo rappresenta la volontà del popolo, e da questo consegue necessariamente che gli Stati Uniti devono rispettare la volontà degli altri popoli.»
Rutledge si appoggiò allo schienale della sedia, ovviamente annoiato dalla piega che aveva preso il pomeriggio. Per la mattina, se l'era aspettato. La Repubblica Popolare doveva far sbollire un po' di fumi, ma una mattinata gli pareva più che sufficiente. Le cose si stavano facendo stancanti.
«E se un'altra delle nostre province si ribella, riconoscerete anche quella?»
«Il ministro sta cercando di mettermi al corrente di altre agitazioni politiche all'interno della Repubblica Popolare?» chiese subito Rutledge, un po' troppo precipitosamente e troppo direttamente, si disse un attimo dopo.
«In ogni caso, non ho direttive riguardo a quest'eventualità.»
Voleva essere una risposta (vagamente) ironica a una domanda piuttosto stupida, ma evidentemente, quel giorno, il ministro non brillava per senso dello humour. Il cinese alzò la mano, col dito teso, e lo scosse alla volta di Cliff Rutledge e degli Stati Uniti.
«Voi c'ingannate. Interferite con noi. Ci insultate. Date la colpa a noi per l'inefficienza della vostra economia. Ci negate equo accesso ai vostri mercati. E state seduti lì come se foste i depositari di tutta la virtù del mondo. Noi non accetteremo niente del genere!»
«Ministro, abbiamo aperto le porte al commercio con il vostro paese, e voi ci avete chiuso le vostre in faccia. Tocca a voi stabilire se tenere aperte o chiuse quelle porte», Rutledge concesse, «ma abbiamo anche noi delle porte da chiudere se ci costringerete a farlo. Non abbiamo alcun desiderio di farlo. Ci auguriamo di stabilire relazioni commerciali eque e aperte tra il grande popolo cinese e il popolo americano, ma gli impedimenti a tali relazioni commerciali non sono da ricercarsi in America.»
«Prima ci insultate, e poi vi aspettate che vi invitiamo a casa nostra?»
«Ministro, l'America non sta insultando nessuno. Ieri nella Repubblica Popolare Cinese è accaduta una tragedia. Probabilmente si tratta di qualcosa che avreste preferito evitare, ma è successa comunque. Il presidente degli Stati Uniti vi ha chiesto di indagare sull'accaduto. Non si tratta di una richiesta irragionevole. Per quale motivo ci condannate? Un giornalista ha fatto la cronaca dell'accaduto. La Cina nega qualcuno dei fatti che abbiamo visto alla televisione? Sostenete che le immagini siano state falsificate da una compagnia privata americana? Ritengo di no. Sostenete che quei due uomini non siano morti? Purtroppo, le cose non stanno così. Sostenete che il vostro poliziotto fosse giustificato a uccidere un diplomatico accreditato e un ecclesiastico che stringeva tra le braccia un bambino appena nato?» domandò Rutledge col tono più ragionevole che riuscì a trovare.
«Ministro, nel corso delle ultime tre ore e mezzo avete sostenuto che l'America ha fatto un errore a obiettare a quello che sembra essere un delitto a sangue freddo. E la nostra obiezione altro non era che una richiesta al vostro governo perché aprisse un'inchiesta sull'assassinio. Ministro, l'America non ha fatto né detto nulla di irragionevole, e ci stiamo stancando di quest'accusa. Io e la mia delegazione siamo qui per discutere di commercio. Vorremmo che la Repubblica Popolare fosse disposta ad aprire maggiormente i propri mercati, in modo che il commercio diventi davvero commercio, ovvero libero scambio di merci attraverso confini internazionali. Voi domandate agli Stati Uniti lo Stato di nazione favorita. Questo non avverrà, finché i vostri mercati non saranno aperti all'America come quelli americani sono aperti alla Cina, e tuttavia può accadere quando farete i cambiamenti da noi richiesti.»
«La Repubblica Popolare ha smesso di acconsentire alle oltraggiose richieste americane. Abbiamo smesso di tollerare i vostri insulti alla nostra sovranità. Abbiamo smesso di accettare le vostre ingerenze nei nostri affari interni. E' tempo che l'America consideri le nostre ragionevoli richieste. La Cina desidera avere rapporti commerciali equi con gli Stati Uniti. Non chiediamo di più di quanto in genere concedete alle altre nazioni: lo status di nazione favorita.»
«Ministro, questo non avverrà fino a quando non aprirete i vostri mercati ai nostri prodotti. Il commercio non è libero se non è equo. Abbiamo una serie di obiezioni anche per quanto concerne la violazione dei trattati e degli accordi sui diritti d'autore e i marchi di fabbrica. Ci opponiamo al fatto che industrie completamente in mano agli enti governativi violino i trattati sui brevetti, fino al punto di produrre oggetti di esclusiva americana senz'alcun permesso o compenso...»
«Quindi ci definite dei ladri?» domandò Shen.
«Ministro, le faccio notare che dalla mia bocca non sono mai uscite parole del genere. E' tuttavia innegabile che ci siano numerosi esempi di prodotti fabbricati in Cina da industrie in mano ai vostri enti governativi, che contengono invenzioni americane per cui gli inventori non hanno mai ricevuto alcun compenso, e per cui non sono mai stati richiesti i permessi di fabbricazione. Posso mostrarle degli esempi di quei prodotti, se lo desidera.»
Shen reagì con un rabbioso cenno della mano, che Rutledge interpretò come un no, grazie... o qualcosa del genere.
«Non ho alcun interesse a vedere prove concrete delle bugie e delle distorsioni americane.»
Gant si appoggiò allo schienale della sedia mentre Rutledge controbatteva indignato, godendosi la scena come uno spettatore a un incontro di box professionale, e domandandosi se qualcuno sarebbe riuscito a mettere a segno il colpo del KO. Probabilmente no, pensò. Nessuno dei due aveva la mascella fragile, ed erano entrambi troppo mobili sulle gambe. Il risultato era un sacco di movimento qua e là, senza alcun esito definitivo. Per Gant, tutto questo significava semplicemente dover affrontare un nuovo tipo di noia, eccitante nella forma, ma pessima nei risultati. Prese qualche appunto, ma soltanto per aiutare la memoria, per ricordare com'erano andate davvero le cose. Magari sarebbe diventato un capitolo divertente nella sua autobiografia. Che titolo gli avrebbe dato? si domandò. Commerciante e diplomatico, magari? Quarantacinque minuti dopo, la riunione fu aggiornata con le solite strette di mano, cordiali almeno quanto l'incontro precedente era apparso aggressivo, osservò Gant stupito.
«Si tratta di affari, non c'è niente di personale», spiegò Rutledge.
«Sono sorpreso che la facciano tanto lunga sulla questione. Non è che li abbiamo accusati di niente di preciso. Diavolo, il presidente ha domandato soltanto un'inchiesta. Perché sono così suscettibili?» si domandò a voce alta.
«Magari sono preoccupati di non riuscire a ottenere quello che vogliono dalle trattative», rifletté Gant.
«Ma perché sono così preoccupati?» domandò Rutledge. «Forse le loro riserve di valuta estera sono più scarse di quanto suggerisca il modello elaborato dal mio computer.»
Gant si strinse nelle spalle. «Ma anche se così fosse, non stanno imboccando una strada che li porti a un miglioramento.» Rutledge batté le mani, frustrato.
«Non si stanno comportando in maniera logica. D'accordo, certo, hanno pieno diritto di lasciarsi andare a un accesso di rabbia per la sparatoria, e sì, d'accordo, magari il presidente Ryan è andato un po' troppo oltre dicendo le cose che ha detto e Dio mi è testimone, quando si tratta del problema dell'aborto il presidente si trasforma in un uomo di Neanderthal. Ma tutto questo non giustifica né il tempo né la foga che dedicano a sostenere la loro posizione.»
«Paura?» si domandò Gant.
«Paura di cosa?»
«Se le loro riserve di denaro sono così scarse, o addirittura ancora più scarse, potrebbero trovarsi in una brutta posizione. Peggiore di quanto riusciamo a immaginare.»
«Mettiamo che le cose stiano così, Mark. Cosa c'è da avere tanta paura?»
«Una serie di cose», disse Gant, chinandosi in avanti sul sedile della limo.
«Significa che non hanno i contanti per comprare la roba, o per far fronte ai pagamenti della merce già comprata. E' una cosa imbarazzante e, come hai detto tu, questa è gente orgogliosa. Non ce li vedo ad ammettere che hanno torto, o a mostrare le loro debolezze.»
«E' senza dubbio vero», ammise Rutledge.
«L'orgoglio può cacciare la gente in un sacco di guai, Cliff», Gant rifletté a voce alta. Si ricordava ancora di un fondo, a Wall Street, che aveva subito un colpo da cento milioni di dollari perché l'amministratore delegato non voleva recedere da una posizione che un paio di giorni prima aveva ritenuto corretta. L'uomo era stato inamovibile finché il suo errore non era stato più che evidente agli occhi di tutti. Perché? Perché non voleva fare la figura di uno senza palle davanti a Wall Street. E quindi, piuttosto di fare la figura di uno senza palle aveva preferito proclamare al mondo che era un idiota. Ma come si traduceva tutto questo nei rapporti internazionali? Un capo di Stato doveva essere più furbo di così, o no?