Introduzione

Questo volume è una somma di piccoli giochi cerebrali della curiosità. Ecco il motivo per il quale abbiamo deciso di ricorrere a un banale ordine alfabetico per sovvertire quello storico abitualmente usato. L’ordine storico prevede una linea di apprendimento come se, alla fine della lettura, si dovesse scoprire il colpevole del delitto o capire a quale punto siamo giunti per prevedere il futuro. L’ordine alfabetico ha la neutralità delle classificazioni. Consente di aprire il libro a caso e chiuderlo appena giunge il primo senso di noia, la quale spero non venga subito a colpire il lettore volonteroso. L’ambizione dell’estensore è che si riponga il libro senza scrupoli e lo si riapra quando torna la voglia. È questo il segreto del livre de chevet, quello che si teneva vicino al letto per consigliare pensieri o per stimolare sogni.

In fondo all’anima siamo tutti Polifili e già il maestro delle fiabe Jean de La Fontaine, negli Amori di Psiche e Cupido, fa dire al suo Polyphile:

J’aime le jeu, l’amour, les livres, la musique,

La ville et la campagne, enfin tout; il n’est rien

Qui ne me soit souverain bien

Jusqu’au sombre plaisir d’un coeur mélancolique.

Amo il gioco, l’amore, i libri, la musica,

la città e la campagna, infine tutto; non v’è nulla

che non sia per me un bene sovrano

fino al piacere oscuro d’un cuore melanconico.

Andries Stock, Arciere e mungitrice, 1610 ca, incisione su rame, da Jacob de Gheyn II, cm 41,4×32,8, Collezione privata

Andries Stock, Arciere e mungitrice, 1610 ca, incisione su rame, da Jacob de Gheyn II, cm 41,4×32,8, Collezione privata

La Fontaine riprendeva così, e per nulla inconsapevolmente, il più misterioso dei libri stampati da Aldo Manuzio a Venezia nel 1499, l’Hypnerotomachia Poliphili, primo testo edito per condurre le menti curiose nelle dimensioni d’un giardino fatato carico di colte fantasie e di dolci sentimenti:

Lector si tu desideri intendere brevemente

quello che in quest’opera se contiene,

sapi che Poliphilo narra havere in somno visto mirande cose.

Sicché per conciliare un buon sonno o talvolta solo un riposo rigeneratore della mente moderna affaticata, mi tornano in mente le altre rime del medesimo La Fontaine:

Papillon du Parnasse et semblable aux abeilles

à qui le bon Platon compare nos merveilles,

je suis chose légère, et vole à tout sujet,

je vais de fleur en fleur et d’objet en objet.

Farfalla del Parnaso e simile alle api

alle quali il buon Platone paragona le nostre meraviglie,

sono cosa leggera e volo a ogni soggetto,

vado di fiore in fiore e d’oggetto in oggetto.

Così scriveva il nostro al vescovo di Avranches, Pierre-Daniel Huet, il quale nel 1670 aveva redatto una sorta di primo testo di critica letteraria moderna nel suo Trattato sull’origine dei romanzi. In fondo molto spesso i dipinti sono romanzi concentrati in una sola scena, ma richiedono, proprio come i romanzi, una lettura attenta e appassionata.

Ogni quadro guardato a lungo apre la strada a narrazioni complesse e infinite. Il dipinto è cosa vera che esce dalla psiche e dall’abilità tecnica e poetica dell’artista e che offre a chi lo guarda un triplice percorso visivo. Il primo è quello che entra nell’opera e tenta di capirla, di decifrarla e, perché no, di gustarla. Il secondo è riflessivo nel senso ottico della parola, in quanto funziona come uno specchio: noi vediamo nella superficie dipinta una parte della nostra densità mentale, della nostra identità esistenziale e culturale, e finanche dei nostri sentimenti. Il terzo è trasversale e pone l’opera in connessione con altre creazioni del medesimo autore o con medesimi lavori di altri autori, vicini nel tempo e talvolta invece lontani.

Dosso Dossi, Giove, Mercurio e la Virtù, particolare, 1529 ca, olio su tela, cm 111×150, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Dosso Dossi, Giove, Mercurio e la Virtù, particolare, 1529 ca, olio su tela, cm 111×150, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Marcantonio Raimondi, Il drago e l’ape, ante 1527, stampa a bulino, cm 8,1×12,5, Pavia, Musei Civici

Marcantonio Raimondi, Il drago e l’ape, ante 1527, stampa a bulino, cm 8,1×12,5, Pavia, Musei Civici

L’intelligenza, intesa nel suo senso medioevale di inter legere, cioè di leggere fra le righe, è il primo passo verso la modernità, e i libri che gli amanuensi integravano con le glosse e i commenti sono il modello delle pagine di internet. La letteratura è apparentemente la fonte più ricca della conoscenza, ma non sempre della percezione. La lingua è mutata nel frattempo, anzi le lingue sono mutate, e pochi sono in grado di leggere i testi almeno nella dozzina di lingue che chiederebbe una lettura non tradotta. La nostra intelligenza attuale esige costanti confronti per ancorare il sapere alla memoria e permettere al pensiero i suoi percorsi innovativi. Il passato è in noi, nel nostro modo di parlare, nel senso che le parole hanno acquistato attraverso il loro uso; nondimeno quelle di Dante Alighieri hanno un peso diverso dalle medesime usate nel telegiornale. Gli edifici antichi fanno spesso fatica a narrare le pulsioni della loro vita anteriore: sono immersi in tessuti urbani e paesaggistici cacofonici che ne alterano totalmente la percezione, e gli uomini stessi che ci hanno preceduto li hanno costantemente trasformati. La pittura, come la musica, non richiede traduzioni ma conoscenza delle tradizioni. La musica esige però d’essere suonata e quindi interpretata. La pittura è. E alla percezione immanente l’infinita sua eredità serve in modo eccelso. Ha bisogno, lei, del percorso iniziatico ed esoterico che ogni persona che la guarda deve intraprendere da sola. Questi piccoli testi, ma soprattutto queste immagini, ambiscono solo a essere compagni di viaggio.

Konrad Seusenhofer, Elmo di Enrico VIII, 1511-1514, metallo, Leeds, Royal Armouries Museum

Konrad Seusenhofer, Elmo di Enrico VIII, 1511-1514, metallo, Leeds, Royal Armouries Museum

Jacob de Gheyn II, Tre maschere, 1565-1629, incisione, cm 28,2×21,1, Londra, Victoria and Albert Museum

Jacob de Gheyn II, Tre maschere, 1565-1629, incisione, cm 28,2×21,1, Londra, Victoria and Albert Museum

I quadri si guardano per le mille assonanze che generano: hanno un’iconografia per la quale rimando il lettore a perdersi nelle fantasticherie che elaborò all’inizio del secolo ventesimo quel singolare figlio di banchieri amburghesi che fu Aby Warburg, padre della semiotica moderna, del serpente e dei curiosi rapporti fra i messicani e Botticelli, il quale per un certo verso divenne il tutore della genialità interpretativa di Erwin Panofsky. Ho sempre ammirato la prosa insuperabile di Sir Ernst Hans Josef Gombrich, diventato baronetto da oriundo austriaco per la sua abilità di ricercatore e di scrittore. Come si fa a non passare dalla lettura del più inatteso di tutti, Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo, al quale dobbiamo la legittimazione degli incroci psichici fra sogno e realtà, lui che scriveva il più bello spagnolo possibile in quanto era argentino e pensava in inglese come se Charles John Huffam Dickens fosse tornato a vivere nella sua mente. Questi giochi consentono di evitare le trappole infernali e parigine di Baudrillard, di Foucault e di Roland Barthes e riscoprire la fresca creatività belga di Hergé, l’inventore di Tintin, di Henry Michaux, il padre della sperimentazione surrealista, e soprattutto del migliore di tutti, Claude Lévi-Strauss, morto centenario a riprova del fatto che un cervello funzionante allunga la vita.

I quadri sono come le ciliegie: uno tira l’altro. È sufficiente per farsi prendere alla gola, assaporare la prima ciliegia per poi sgranare la seconda. La cosa era assai difficile in passato e solo chi aveva la fortuna di potere passare da una pinacoteca all’altra ne poteva trarre il piacere e l’insegnamento. Poi vennero i libri illustrati e poi ancora l’informazione visiva e disordinata della rete. L’arte del passato, la quale nella mente d’oggi è diventata apparentemente tutta contemporanea, può essere costantemente riletta. Diventa un armadio della memoria nel quale trovare i diversi istrumenti che servono a stimolare e forgiare la sensibilità attuale.

Hieronymus Bosch, Trittico del Giardino delle Delizie, pannello centrale, particolare, Coppia di amanti in una bolla trasparente, escrescenza naturale di un fiore acquatico, 1480-1490 ca, olio su tavola, cm 220×195, Madrid, Museo del Prado

Hieronymus Bosch, Trittico del Giardino delle Delizie, pannello centrale, particolare, Coppia di amanti in una bolla trasparente, escrescenza naturale di un fiore acquatico, 1480-1490 ca, olio su tavola, cm 220×195, Madrid, Museo del Prado

Talvolta è l’energica dinamica dell’editoria che spinge la pigrizia dell’autore su sentieri che lui stesso non avrebbe osato intraprendere. Mi fu infatti chiesto di affrontare l’avventura di una serie assai vasta di “collaterali” per il “Corriere della Sera”, riprendendo una serie analoga che ebbe un buon successo in Francia su iniziativa dell’autorevolissimo “Le Monde”, quotidiano che ogni francese prende in mano con profondo senso di rispetto. Essendo spinto da una natura tendenzialmente anarchica che mi ha negli anni consentito una sopravvivenza ben più facile in Italia che nella Francia di “Le Monde”, dove l’intellettuale tende a prendersi sul serio per davvero, ho accettato la sfida e mi sono trovato a illustrare con testi apparentemente non troppo impegnati delle indagini che potevano sembrare serie e didattiche. Ho girato attorno all’argomento, non ho raggirato l’argomento. Ne sono provenute delle divagazioni trasversali su capolavori di artisti assoluti della storia della pittura, un po’ come se io stesso fossi tornato a scuola. Rivedendo il lavoro ultimato mi è sembrato che la raccolta dei testi e dei riferimenti potesse essere utile a chi della questione ha solo un’infarinatura e invece stimolo per chi la questione la conosce bene e ha tempo da dedicare a variazioni sul tema.

De Sphaera, Ms. Lat. 209, f. 4v, 1460, miniatura su pergamena, cm 24×14, Modena, Biblioteca Estense

De Sphaera, Ms. Lat. 209, f. 4v, 1460, miniatura su pergamena, cm 24×14, Modena, Biblioteca Estense

Il gioco della pittura
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