Tintoretto, San Marco libera lo schiavo, particolare, 1547-1548, olio su tela, cm 416×544, Venezia, Gallerie dell’Accademia
Tintoretto
Di più non si può
Non passano più di cinquant’anni fra i due indigeni massimi della pittura veneziana, Vittore Carpaccio (1465-1525) e Jacopo Robusti, noto come il Tintoretto (1519-1594). In quel mezzo secolo la storia delle arti accelera e passa da un gusto ancora tardogotico all’affermazione del grande Rinascimento. La stirpe dei Bellini si articola fra Gentile (1429-1507) e Giovanni (1430 ca – 1516), anche loro ancestrali nella loro forbita fantasia architettonica. Il vento nuovo delle arti viene dalla terraferma, da Giorgione e da Tiziano, da Sansovino che, da Firenze per via del sacco di Roma del 1527, giunge sotto la protezione del doge Andrea Gritti e viene nominato architetto massimo “proto” della città per lasciarvi il germe rinnovativo che Palladio raccoglie e che già il bolognese Sebastiano Serlio riassume nel suo Libro IV, che è invero il primo che pubblica proprio a Venezia nel 1537 e nel quale pone le Regole generali di una architettura. La Serenissima sta diventando crocevia di culture.
Tintoretto sta a metà strada fra l’essere di Venezia, dove nasce, e l’essere invece toscano, da dove proviene suo padre che di mestiere fa il tintore di stoffe. Passa alcune giornate da apprendista nel 1530 presso la bottega di Tiziano, il quale pare non lo tolleri e lo licenzia rapidamente. Forse in lui il maestro cadorino aveva già intuito un possibile concorrente. E nello stesso anno gli arriva una committenza da Vettor Pisani, per il quale deve realizzare per il soffitto una serie di scene ispirate alle Metamorfosi di Ovidio, altro colpo basso al maestro Tiziano che del tema era l’esperto massimo. Per compiere la malefatta commerciale, Tintoretto intraprende quello che pare sia stato per lui l’unico viaggio all’estero, nella Mantova decorata da Giulio Romano. È innegabile che il breve soggiorno nella reggia gonzaghesca abbia sul giovane pittore influito in modo potente, portandolo sia alla conferma dell’importanza di un’architettura rinnovata sia alla scoperta delle prospettive che lì venivano celebrate con dialoghi sublimi fra gli interni e gli esterni. Rimarrà sempre, Tintoretto, perfettamente informato su ciò che avviene nel mutevole mondo delle arti, a tal punto che non gli sembrano per nulla ignote le ultime evoluzioni del Raffaello dell’Incendio di Borgo, che pare ricomparire nella sua Strage degli innocenti, e le vaste esaltazioni della Sistina di Michelangelo. Anche la competizione con la carnalità del Veronese lo porta alle medesime raffigurazioni libere e procaci. È egli, come sarà Pablo Picasso secoli dopo, capace di prendere ovunque per generare uno stile proprio.
Tintoretto, L’origine della Via Lattea, 1575 ca, olio su tela, cm 148×165,1, Londra, The National Gallery
Tintoretto, Lo sposalizio di Bacco e Arianna alla presenza di Venere, 1577-1578, olio su tela, cm 146×167, Venezia, Palazzo Ducale, sala dell’Anticollegio
La sua carriera è particolare assai: se la sua opera dovesse essere valutata in base alla dimensione delle pitture realizzate, nessun altro gli potrebbe stare alla pari. Tutto si fa scena, e movimento e spazio. Tutto richiede dimensione teatrale. E Tintoretto, pur di portare a casa le commissioni – o forse perché morso da una passione pittorica inarrestabile –, lavora spesso per somme irrisorie, come quando per realizzare le due immense tele nella chiesa della Madonna dell’Orto, chiede, secondo la leggenda, di essere pagato solo per i materiali pittorici, per le tele e per il vino necessario durante l’esecuzione. Ed è egli il primo dei protagonisti a introdurre il movimento perenne nelle sue composizioni, quello di un san Marco, patrono di Venezia, che sembra volare nel dipinto in cui libera lo schiavo in un turbinio di folla, di colonne e di architetture palladiane. Una parte dei personaggi, per meglio vedere la scena, sta in piedi sulle basi delle colonne stesse in modo assai analogo a come verrà dipinto il grande telero delle Nozze di Cana dal Veronese quindici anni dopo. E tutto corre verso punti di fuga che non sono più centrali, ma deviano l’occhio da uno dei lati, in questo caso verso il timpano dell’edicola che nel Ritrovamento del corpo di san Marco corre verso sinistra. Da poco Sansovino ha completato la Loggetta in piazza San Marco: il gusto e lo spazio architettonico rinascimentale diventano la scena di fantasia che ispira gran parte delle composizioni pittoriche di Tintoretto.
Tintoretto, Ritrovamento del corpo di san Marco, 1563-1564, olio su tela, cm 405×405, Milano, Pinacoteca di Brera
Raffaello, Incendio di Borgo, particolare, 1514-1517, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Stanza dell’Incendio di Borgo
Jacopo Sansovino, Loggetta di San Marco, 1537-1549, Venezia, Piazza San Marco
Tintoretto, Gesù e l’adultera, 1546 ca, olio su tela, cm 118,5×168, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini
E l’horror vacui sembra farsi cifra delle sue elaborazioni, come nell’opera definitiva posta a decoro di Palazzo Ducale nel 1588, quel vortice di figure che celebrano il Paradiso. Il vigore pittorico sembra non abbandonarlo mai. È egli allora già ultrasessantenne e persegue nella sua visione, quella che lo porta oltre le soglie di un manierismo già dominante in Italia, alle anticipazioni degli svolazzi barocchi con una delle sue opere finali, quell’Ultima Cena dipinta fra il 1592 e il 1594, l’anno prima di morire, nella quale gli svolazzi angelici sembrano già precedere le torsioni della prossima stagione estetica.
Tintoretto, Giudizio Universale, 1562-1564, olio su tela, cm 1450×590, Venezia, chiesa della Madonna dell’Orto
Tintoretto, Adorazione del vitello d’oro, 1562-1564, olio su tela, cm 1450×590, Venezia, chiesa della Madonna dell’Orto