Claude Monet, Stagno con ninfee, armonia in verde, 1899, olio su tela, cm 89×93,5, Parigi, Musée d’Orsay
1840~1926
Monet
La pittura della luce
Quella mattina invernale, forse del 1872 o dell’anno successivo, Claude Monet non stava seduto come al solito nella sua barchetta ma guardava fuori dalla finestra dell’Hôtel de l’Amirauté nella città di Le Havre dove aveva trascorso parte della sua infanzia prima di andarsene a far carriera a Parigi. E dipinse, assai velocemente, per non perdere l’atmosfera, una veduta intitolata Impression, soleil levant che sicuramente non pensava avrebbe dato il nome alla più nota delle correnti pittoriche che stavano per concludere il secolo d’oro della borghesia francese. Fatto sta che il dipinto fu esposto nel 1874 in una piccola mostra alternativa nella palazzina parigina del fotografo Nadar e lì fu notata dal critico Louis Leroy del giornale umoristico “Charivari” che chiamò l’intero gruppo degli artisti, che in quel luogo atipico facevano vedere le loro opere, come appartenenti a un movimento “impressioniste”.
Quella di Nadar non era affatto una botteguccia, ma un luogo di successo per un’arte fotografica che era allora in forte espansione e alla quale il gruppo di pittori si riferiva in modo particolare, ponendo la propria pittura in competizione con la ripresa ottica. Loro si erano già consorziati da un anno circa prendendo posizione contro le mostre ufficiali alle quali non erano stati ammessi, e ciò nonostante Napoleone III avesse già allargato le aree di partecipazione fondando nel 1863 il Salon des Refusés per dare spazio agli artisti esclusi dal Salon ufficiale.
Nadar, Lo studio di Nadar in boulevard des Capucines a Parigi, 1850 ca, fotografia, Parigi, Bibliothèque nationale de France
Claude Monet, La Grenouillère, 1869, olio su tela, cm 74,6×99,7, New York, The Metropolitan Museum of Art
Nel 1872 si ripropone l’ipotesi di un Salon des Refusés che non trova successo e così i rifiutati senza Salon si organizzano in un gruppetto formato da Monet, Renoir, Pissarro, Sisley, Cézanne, Berthe Morisot ed Edgar Degas, che prende il nome di “Société anonyme des artistes peintres, sculpteurs et graveurs” e se ne va dal fotografo con lo splendido atelier.
A dire il vero, ciò che allora colpì il critico era già nell’aria da un paio d’anni, se si pensa al quadro di Renoir attorno al tema della Grenouillère, dipinto attorno al 1869 e dove l’impostazione del controluce sembra avere imparato un nuovo modo di vedere proprio dalla fotografia, laddove il colore nero è bandito a favore delle terre d’ombra, quelle che l’ombra la narrano veramente. Il nero non è da quel momento più da considerare un colore in quanto corrisponde solo all’assenza di luce.
E Monet riprende il medesimo tema come se per loro dipingere non fosse solo partecipare alle medesime spedizioni nella natura fuori città, ma anche competere nel gioco di questa pittura, ricercare una nuova lingua della rappresentazione. E così, dal paragone, appare evidente l’evoluzione successiva dei due artisti, un poco come se Renoir diventasse il pittore attento alla narrazione della gente che rappresenta e Monet invece si muovesse a diventare il pittore dell’aria e della natura che in quest’aria vive.
Già i primi passi della sua pittura parigina degli anni sessanta lo avevano inesorabilmente portato in quella direzione, e se il noto Le déjeuner sur l’herbe di Manet fa scandalo al Salon des Refusés del 1863 perché i personaggi si trovano nella natura come se fossero in camera da letto, lui riprende il medesimo tema tre anni dopo declinandolo in una realtà di vita quotidiana dove nulla v’è di provocatorio, ma la pittura compie il primo salto verso la tematica della luce.
E riprenderà il quadro di Manet come riprenderà poi quello di Renoir, come farà sempre nella sua lunga carriera, riprendendo se stesso e replicando ossessivamente le proprie opere per declinarne le varie ipotesi narrative, quelle della luce, dell’atmosfera e dell’ora del giorno. L’evoluzione successiva della sua pittura sempre di più lo porterà in questa direzione fino ai potenti capolavori della sua età anziana, quando va a dipingere, nel 1894, la cattedrale di Rouen nelle sue diverse situazioni di luce e, quando non allontanandosi quasi più dalla sua vita in giardino nella casa ritiro di Giverny, si dedicherà fino alla morte alla riflessione visiva sullo stagno domestico e sulle ninfee, come se l’inverno non esistesse e la vita fosse una lunga estate senza autunno.
Nota bene 1. Non si può entrare fino in fondo nella pittura di Monet senza avere visitato la sua casa ritiro a Giverny, il giardino, lo stagno con il ponticello, l’interno della casa con la sala da pranzo e soprattutto la cucina dalla quale si evince che la sua pittura è all’olio ma sogna il burro.
Claude Monet, La cattedrale di Rouen in pieno sole, 1894, olio su tela, cm 107×73, Parigi, Musée d’Orsay
Nota bene 2. Non si può evitare il confronto con l’altro artista suo contemporaneo, il vetraio di Nancy, Emile Gallé, stessa tipologia di casa nella natura, medesima passione per il mistero delle acque stagnanti, stesso amore per il giardino come fonte d’ispirazione. In fondo già il Candide di Voltaire si concludeva con “Il faut cultiver notre jardin”, occorre coltivare il nostro giardino per allontanarci dai disastri della vita moderna.
Claude Monet, La cattedrale di Rouen a mezzogiorno, 1894, olio su tela, cm 100×65, Mosca, Museo Puškin