Sandro Botticelli, Simonetta Vespucci, 1480 ca, tempera su tavola, cm 81,8×54, Francoforte, Städel Museum
Botticelli
Nel giardino delle delizie
Spirava un vento d’eleganza e di fantasia in quella penisola d’Italia sublime della fine del Quattrocento, quand’era tutto immaginabile, anche l’andar a scoprire l’America e farla battezzare col nome d’un fiorentino, Amerigo Vespucci, parente della bellissima Simonetta, l’amante di Giuliano de’ Medici, quello assassinato nella congiura de’ Pazzi. Una brezza dolce aleggiava da pochi anni nella Camera degli Sposi che Mantegna aveva completato a Mantova nel 1474, la stessa che ricompare nel criptico testo che Aldo Manuzio pubblica nel 1499, l’Hypnerotomachia Poliphili, l’esaltazione d’una vita sofisticata e letteraria in un giardino immaginario. Era forse la medesima che si respirava nella più raffinata scuola di Firenze, quella detta dei Giardini Medicei, dove negli anni vennero formati dagli umanisti Marsilio Ficino e Agnolo Poliziano i principi e gli artisti che si faranno protagonisti della stagione aurea del Rinascimento.
È il vento dolce che aleggia nei due grandi dipinti a tempera che erano appesi l’uno vicino all’altro nella Villa di Castello, appena fuori Firenze, quella che avevano acquistato il giovin Lorenzo de’ Medici (1463-1503), detto il Popolano, con il suo fratello minore Giovanni. La villa, ora sede dell’Accademia della Crusca, era stata comperata nel 1477 dai fratelli appena rimasti orfani (si era ricchi e operosi già da ragazzi se il babbo defunto era stato adeguatamente provvisto). Il giovane Lorenzo fu mandato a formarsi appunto in quella scuola dei Giardini Medicei perché crescesse sotto la tutela dell’altro Lorenzo, suo cugino il Magnifico, incontrastato signore di Firenze dopo la congiura dei Pazzi e di quattordici anni più anziano. E sempre su indicazione del Magnifico si sposa nel 1482 con Semiramide Appiano (1464-1523), figlia del signore di Piombino, conte di Corsica e influente politico nell’utile corte di Napoli. In quell’occasione Lorenzo il Magnifico regala a Lorenzo cugino la grande tempera di Botticelli, Pallade e il centauro, ottimo auspicio per un ragazzo che deve sentirsi controllato dalla moglie dopo un’adolescenza allegra. Un Botticelli tira l’altro e così Lorenzino acquista sia la Primavera, dipinta proprio in quell’anno del matrimonio, che successivamente la Nascita di Venere nel 1484 da appendere in pendant. La Primavera è di questo matrimonio l’esaltazione e della scuola dei Giardini il risultato iconografico, perché molto vi è di letterario nel suo contenuto, con Zefiro che soffia ingravidando la ninfa, il giardino delle Esperidi, i fiori di Florentia-Firenze che si spargono in centinaia di essenze e specie perfettamente identificabili, a riprova del fatto che non era quello solo ambito di letteratura ma anche di scienza nascente. La Primavera è anche una sorta di galleria di ritratti, quelli della stretta cerchia di amici. Lei in centro non può che essere la padrona di casa e lui, l’unico maschio, l’Ermete-padrone del destino e marito.
Sandro Botticelli, Allegoria della Primavera, 1482 ca, tempera su tavola, cm 203×314, Firenze, Galleria degli Uffizi
Polifilo e Polia nel gineceo tra le ninfe, dalla Hypnerotomachia Poliphili, edizione di Aldo Manuzio, Venezia, 1499, xilografia, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, 1484, tempera su tela, cm 172,5×278,5, Firenze, Galleria degli Uffizi
Fonte e pergolato, dalla Hypnerotomachia Poliphili, edizione di Aldo Manuzio, Venezia, 1499, xilografia, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana
Più fedele alle indicazioni letterarie è la Nascita di Venere, dove il testo che Poliziano riprende da Ovidio spiega tutto:
Una donzella non con uman volto,
Da’ Zefiri lascivi spinta a proda,
Gir sopra un nicchio, e par che ’l ciel ne goda.
Vera la schiuma, e vero il mar diresti
È questa la crudele storia che Esiodo racconta: di Kronos che evira Urano, suo padre che non la smette di giacere con mamma Gaia e impedisce ai figli, lui stesso, i Titani e i Ciclopi di uscire dal ventre. Il pene gettato al mare spargerà il seme dal quale nasce Afrodite-Venere. Ecco la causa dell’incresparsi bianco delle onde. E l’intuito di Botticelli è formidabile perché non poteva certo il pittore avere letto l’haiku non ancora composto: “onde increspate e ritmo del profumo del vento”. Ma si sa che i grandi pittori trascendono lo spazio e il tempo!
Domenico di Bartolo, Accoglienza, educazione e nozze di una figlia dell’ospedale, particolari, 1440 ca, affresco, Siena, Ospedale di Santa Maria della Scala
Li abbiamo riappesi vicini, l’uno misurando cm 203×314 (Primavera), e l’altro cm 172,5×278,5 (Nascita) cosicché da un lato soffia Zefiro a destra, dall’altro a sinistra, sempre spargendo fiori.
A dire il vero in quella stanza della villa erano presenti anche altre opere maggiori di Botticelli oltre Pallade e il centauro, probabilmente quella Venere e Marte, tavola d’una cassapanca nuziale che potrebbe ben rappresentare la coppia di sposi dopo le loro effusioni. D’altronde nel Botticelli di quegli anni le allusioni erotiche non mancano, anche talvolta in versione popolare, se si pensa al gesto delle Grazie così simile a quello delle femministe del XX secolo, o se si riprende l’allusione nella Venere al simbolo che già nel Pellegrinaio di Siena aveva dipinto quarant’anni prima Domenico di Bartolo, quando il giovanotto tiene con la mano sinistra il mantello in un modo che potrebbe essere difficile da interpretare se la promessa sposa non tenesse il suo in foggia corrispondente, mentre le signore già sposate tengono il loro a mo’ di fiocco aperto per far capire che ciò che la fanciulla promette loro l’hanno già vissuto. L’eleganza degli equivoci.
Sandro Botticelli, così fine, così affinato, così raffinato, sembra essere stato piazzato da un suo curioso destino a chiudere una pagina della storia nel Rinascimento toscano, per riaprirla solo quando gli inglesi reinventarono una loro poetica propria nel XIX secolo, lanciando il gusto detto preraffaellita. Agli inglesi, che in quegli anni recenti stavano ponendo le basi delle arti decorative moderne, interessava in modo assai convinto quella stagione dell’arte fiorentina nella quale l’artista non s’era ancora fatto genio superiore ma dialogava naturalmente con l’orafo, con lo scultore, con il tessitore, e forse addirittura con il parrucchiere da signora se si guardano con attenzione le acconciature femminili presenti, tutte tra l’altro rigorosamente bionde. Tutte bionde come le virtù cardinali e le virtù teologali dei domenicani, quelle affrescate cent’anni prima nel chiostro laterale di Santa Maria Novella da Andrea di Bonaiuto e volute dal priore fiorentino Jacopo Passavanti che s’era formato da teologo a Parigi, sulle orme ormai storiche del massimo maestro Tommaso d’Aquino. Tutte bionde come le inservienti della Natività di Maria nel grande affresco, sempre a Santa Maria Novella, che realizza il Ghirlandaio fra il 1485 e il 1490. Con Botticelli le virtù e le ancelle diventano Muse e Grazie ma la pettinatura non cambia e talvolta neppure la postura. E Dante Gabriel Rossetti, per chiamarsi veramente preraffaellita, non può che innamorarsi quattro secoli dopo, nel 1858, di Fanny Conforth, lei che sembra reincarnare una delle figure femminili di Botticelli, e ama pettinarsi.
Piero Pollaiolo, Ritratto di giovane donna, 1470 ca, tempera e olio su tavola, cm 45,5×32,7, Milano, Museo Poldi Pezzoli
Sandro Botticelli, Allegoria della Primavera, particolare
Antonio Pollaiolo, Ritratto di fanciulla di profilo, 1465 ca, olio su tavola, cm 52,5×36,5, Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie
Piero di Cosimo, Ritratto di Simonetta Vespucci, 1480, olio su tavola, cm 57×42, Chantilly, Musée Condé
Sandro Botticelli, Ritratto di giovane uomo, particolare, 1470 ca, tempera su tavola, cm 51×33,7, Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti