Michelangelo Buonarroti, Sacra Famiglia con san Giovannino e ignudi (Tondo Doni), particolare, 1503-1504, tempera su tavola, ø cm 120, Firenze, Galleria degli Uffizi
Michelangelo
La pittura scolpita
È veramente particolare il percorso artistico di Michelangelo. Inventore di forme, di architetture, di immagini, scultore e architetto al contempo, per il quale la scultura esiste al suo punto supremo solo se inserita in uno spazio progettato; per lui il dipinto inteso come opera singola lasciata al proprio destino sembra non essere mai stato soggetto d’interesse. Intimamente è egli, sin dalla sua prima formazione, un pensatore e quindi un creatore di forme come di testi. Centinaia sono i suoi disegni tuttora conservati, talvolta puri abbozzi dove la mente non chiede affatto la perfezione del risultato ma solo il trasferimento dell’idea alla carta. L’opera definitiva è quella che scaturisce dal dialogo con la materia dura, quella del marmo, della pietra. È come se gli fosse necessario lo sforzo fisico per portare l’idea a prendere forma.
Michelangelo non esiste senza l’epos del fare, da quando giovanotto accettò la scommessa di dare forma a quel blocco di Carrara ch’era stato lasciato a terra da Agostino di Duccio negli anni sessanta del Quattrocento e poi ripreso senza risultato da Bernardo Rossellino; ne fece il David nel 1501 usando i difetti del marmo per condurlo alla forma definitiva: da perfetto neoplatonico reputava egli che la forma era già contenuta nella materia e avrebbe quindi dovuto lui artefice e artista seguirne i capricci.
Lo studio dell’antico lo aveva fino ad allora guidato e la statuaria che la storia faceva risorgere dagli scavi si trovava spoglia d’ogni decorazione d’origine, bianca perfetta e priva delle rifiniture che solo l’archeologia successiva avrebbe documentato. Era allora egli ventiseienne e già maestro affermato dopo avere concluso il suo primo quinquennio a Roma dove gli esempi del passato s’erano aggiunti a quelli imparati da ragazzo nelle raccolte delle Scuole Medicee.
Michelangelo Buonarroti, Il Giudizio Universale, particolare, Ingresso dei dannati agli inferi, 1540-1541, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina
Aveva già colpito l’attenzione del più sofisticato dei mondi compiendo il miracolo della Pietà (ora Vaticana) realizzata per il cardinale francese Jean de Bilhères. E gli giunge da Firenze, oltre la stima e la gloria immediata, una commessa per la scommessa: dipingere per il ricco Agnolo Doni, allora da poco sposato con una Strozzi, un’opera brillante per casa che sia in grado di competere con quelle del concorrente banco dei Medici, questi ormai spazzati dalla scena finanziaria ed entrati in quella della politica. Qualche anno dopo sarà il giovane Raffaello a essere chiamato dal medesimo banchiere per eseguire il doppio ritratto, quello suo e della moglie. Intanto la competizione per Michelangelo è duplice, in quanto si gioca con un concorrente di gioventù nel campo delle arti fiorentine, il suo opposto, Sandro Botticelli, l’eroe mondano della generazione precedente. Di Botticelli erano allora noti i tondi nei quali i personaggi si adagiavano nel cerchio del dipinto seguendone le linee curve e dialogando con il rigore geometrico delle architetture.
Michelangelo Buonarroti, Madonna col Bambino e san Giovannino (Tondo Pitti), 1502-1504, marmo, cm 85,5×109, Firenze, Museo Nazionale del Bargello
Michelangelo Buonarroti, Battaglia dei Centauri, 1490-1492, marmo, cm 80×90,5, Firenze, Casa Buonarroti
Raffaello, Ritratto di Agnolo Doni, 1506-1507, olio su tavola, cm 65×45,7, Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti
Raffaello, Ritratto di Maddalena Doni, 1506 ca, olio su tavola, cm 63×45, Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti
Michelangelo Buonarroti, La Sibilla delfica, 1511, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina
Michelangelo Buonarroti, Sacra Famiglia con san Giovannino e ignudi (Tondo Doni), 1503-1504, tempera su tavola, ø cm 120, Firenze, Galleria degli Uffizi
Michelangelo Buonarroti, La Sibilla libica, 1511, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina
Doveva egli dimostrare la sua superiorità. Al posto delle figure effeminate appariranno le sue figure ieratiche e muscolate, quelle che già avevano stupito Firenze quando doveva dipingere per Palazzo della Signoria l’affresco o la Battaglia di Cascina, di cui lasciò solo un cartone replicato successivamente da Aristotele da Sangallo. Al posto delle architetture leggere botticelliane tornerà la forza tellurica dell’antichità risorta. Sicché le figure della scultura nella quale già eccelle andranno a colmare il fondo del dipinto. Ma la plasticità totale si compone in questa Sacra Famiglia dove il gruppo della Madonna assieme a san Giuseppe sorregge in una forma unica il Bambino. E la separazione fra i due mondi, fra l’antichità e la Nuova Alleanza, è segnata in modo netto dalla linea grigia della pietra. Ma dall’antico proviene la coscienza del moderno così come dal mondo delle idee proviene la forma delle cose secondo il pensiero di Platone e di Plotino.
Negli stessi anni Leonardo scrive l’esatto opposto; è egli di scuola aristotelica e sostiene che solo la sperimentazione consente la comprensione, solo il percorso nella realtà apre la strada all’arte e quindi la pittura è suprema a tutto in quanto è scienza capace di restituire le regole del vedere. Ma Leonardo è d’una generazione precedente e spetta a Michelangelo, il plastico longevo, la traversata dell’intero ciclo del Rinascimento fino alla sua morte novantenne nel 1564, nello stesso anno nel quale il Concilio di Trento conclude definitivamente l’avventura rinascimentale.