Antonello da Messina, Crocifissione, 1475, olio su tavola, cm 52,5×42,5, Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten
Antonello
da Messina
Fra Nord e Sud
Era stato a Napoli attorno al 1450 nella bottega di Colantonio, al quale dovette parte della sua inclinazione espressiva, e a quegli anni dovette pure, da giovanotto ventenne, la prima sua notorietà. Sul finire del secolo lo certificava l’umanista napoletano Pietro Summonte in una lettera al veneziano Marcantonio Michiel, a testimonianza che negli ambienti letterari la sua personalità era conosciuta e apprezzata pochi decenni dopo la sua scomparsa. L’informazione correva. I mari in quegli anni, lo sostiene con maestria lo storico Fernand Braudel, diventarono un incrocio perenne di commerci e culture. E questo fermento già era documentato a Palermo nel grande affresco del Trionfo della Morte, unico superstite di un vasto ciclo che decorava l’ospizio della città agli albori del Quattrocento. L’autore dell’affresco è ignoto e la critica analitica percorre a suo proposito un altro viaggio di ipotesi: era egli aragonese, fiammingo oppure quel misterioso borgognone dal nome di Guillaume Spicre?
Questo stesso moto europeo avveniva anche in musica: il sommo innovatore Josquin Desprez, nato in Piccardia a un passo dalle Fiandre, se n’andò a Aix-en-Provence alla corte di Renato d’Angiò, che era al contempo conte di Provenza e di Piemonte, duca di Bar (nell’Alta Lorena) e re d’Aragona, corona che allora comprendeva la Sicilia, Maiorca e la Corsica. Josquin non rimase a lungo nel Meridione francese: la sua carriera lo portò prima a Roma, presso il cardinale Ascanio Sforza, poi a Milano, dal di lui fratello maggiore Ludovico il Moro, e si concluse con grande fortuna a Ferrara, presso Ercole I d’Este; infine Josquin si ritirò nelle Fiandre. La politica mescolava le genti, le genti mescolavano le arti. Passò poi tutto in mano asburgica, allargando ulteriormente i confini e i contatti.
Anonimo maestro valenzano, Crocifissione, 1450-1460 ca, olio su tavola, cm 44,8×34, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza
Altichiero da Zevio, Crocifissione, 1379-1384, affresco, Padova, Oratorio di San Giorgio
Giusto di Gand, Trittico del Calvario, pannello centrale, 1464, olio su tavola, cm 216×331,5 (l’intero), Gand, San Bavone
Andrea Mantegna, Polittico di San Zeno, Crocifissione, 1456-1459, tempera su tavola, cm 67×93, Parigi, Musée du Louvre
Quell’unione per successive eredità fra Borgogna, Fiandre, mondo ispanico e Austria, che i due imperatori, Massimiliano I e poi Carlo V, avrebbero trasformato nel dominio dell’Europa nel Cinquecento, era quindi già viva nella sensibilità della seconda metà del Quattrocento. A Messina passavano per sostare le navi che collegavano Bruges, la Spagna e le sponde dell’Adriatico. Il vento che le muoveva trasportava le notizie e il nuovo gusto.
Era quindi ovvio che Antonello finisse a Venezia, dove fu protagonista e innovatore in stretto legame con Giovanni Bellini, che influenzò fortemente. E nell’andarvi, in quegli anni, è assai probabile che avesse raccolto contatti adriatici sia con la visione nuova di Piero della Francesca sia con quella di Giusto di Gand – altro fiammingo che contorceva all’inverosimile i condannati sul Golgota –, che operava nella decorazione dello studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino. Il senso della sofferenza rappresentata con enfasi non è infatti da considerarsi veneziano e neppure adriatico; ha una provenienza ben più nordica, la medesima che tocca Mantegna a Padova quando non può esimersi dal guardare, nella cappella Lupi di Soragna accanto alla basilica del Santo, l’Altichiero che lavorò un secolo e mezzo prima sotto l’influenza estetica allora ghibellina. Se il patire come sentimento veniva da tempo dalle terre d’Italia – da Giotto che per primo dipinse le lacrime ad Assisi, le medesime lacrime che verserà l’angelo nella Pietà di Antonello –, la contorsione espressionista del patire fu invero ben più settentrionale.
Il crogiolo che si forma fra Mediterraneo e terre d’Italia, fra Bruges, la Boemia e Venezia, genera questa versione innovativa del patetismo, nel dolore come nella pacatezza a questo dolore opposta. Dolore totale è quello delle Crocifissioni in cui i ladroni sono legati con le corde al loro supplizio su croci rudimentali quanto scenografiche. Pacatezza celeste è quella del Cristo Salvator mundi come della Madonna che gli aveva dato la vita terrena. Ed è non più quella estranea alle cose del mondo così come veniva dipinta nella tradizione bizantina, ma ben più forse quella che si genera nella sommessa tranquillità della borghesia nelle Fiandre. Eccoli apparire, decorosi ed enigmatici, questi ritratti di uomini, sospesi nel tempo e perfettamente fissati nell’armonia della musica nuova e nella moderna pittura a olio.
Antonello da Messina, Salvator mundi (Cristo benedicente), 1475, olio su tavola, cm 38,7×29,8, Londra, The National Gallery
Antonello da Messina, L’Annunciata, 1475-1476 ca, olio su tavola, cm 45×34,5, Palermo, Galleria Regionale di Palazzo Abatellis
Antonello da Messina, Ritratto virile, 1475 ca, olio su tavola, cm 35,5×25, Londra, The National Gallery
Petrus Christus, Ritratto virile, 1465 ca, olio su tavola, cm 47,6×35,2, Los Angeles, Los Angeles County Museum of Art