Jean-Auguste-Dominique Ingres, Antioco e Stratonice, particolare, 1840, olio su tela, cm 57×98, Chantilly, Musée Condé

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Antioco e Stratonice, particolare, 1840, olio su tela, cm 57×98, Chantilly, Musée Condé

 

1780~1869

Ingres

La classicità pura

Noto a tutti in Francia per l’espressione violon d’Ingres, sinonimo di hobby, per via del fatto che lui, oltre a dipingere, amava rilassarsi suonando, sicuramente fu un artista fortunato, Jean-Auguste-Dominique Ingres, nato nei Pirenei ancora sotto l’Ancien régime e morto a Parigi, riverito e rispettato, ottantasette anni dopo. Nella capitale arriva infatti sedicenne, nel 1796, quando da due anni la Francia ha chiuso il periodo sanguinario della Rivoluzione e il Direttorio ha appena mandato il giovane generale Bonaparte a conquistare l’Italia. E Ingres ha la fortuna di essere preso a lavorare immediatamente nello studio del più noto degli artisti di regime, il sommo Jacques-Louis David, passato sostanzialmente indenne tra i turbinii che avevano appena condotto il suo amico Robespierre alla ghigliottina. Sono gli anni che offrono al generale Bonaparte l’avventura della gloria e della conquista dell’Italia. E in Italia Ingres ci finisce dapprima virtualmente, andando a studiare le opere della classicità rinascimentale al Louvre, dove diventa “moralmente” discepolo di Raffaello. Poi in Italia ci va davvero – dieci anni dopo, nel 1806 – con una borsa all’Accademia di Francia di Villa Medici. E a Roma ci rimane a lungo, si sposa con una francese, dipinge per la sorella di Napoleone, moglie di Murat re di Napoli, la notissima Odalisque del 1814, con in testa un turbante preso in prestito alla Fornarina di Raffaello. Nel 1808 Roma e gli Stati della Chiesa erano stati annessi al Regno d’Italia, nel luglio del 1809 il papa era stato in sostanza fatto prigioniero e trasferito in Francia. Roma fu durante l’impero napoleonico meta di francesi assai particolari. Luciano Bonaparte, che aveva ordito assieme a Murat il colpo di Stato del 18 brumaio del 1799 – quello che aveva aperto la strada al potere supremo del fratello maggiore – aveva con questi, una volta diventato imperatore, rotto ogni rapporto, considerandolo traditore degli ideali giacobini. Si era quindi ritirato a Roma, dove era diventato gradito al papa – non ancora deportato –, che lo fece principe di Canino. Si mise a scavare opere d’antichità. Le stesse opere d’antichità erano nelle formidabili raccolte del principe Borghese che aveva sposato a Roma la sorella indisciplinata dello stesso imperatore, Paolina, quella ritratta in marmo da Canova. In quella Roma Ingres si forma, vedendo finalmente Raffaello dal vero sulle pareti affrescate del Vaticano. Frequenta gli artisti della città e anche quel curioso personaggio che è Gaspare Landi, insegnante di pittura all’Accademia di San Luca. Questo piacentino che la grande storia dell’arte ha sovente relegato in una zona d’ombra svolge invece una funzione primaria. È a lui che Canova si ispira per Amore e Psiche, è lui che propone a Ingres modelli che superano la citazione. Ed è ancora lui a combinare la classicità con il purismo nascente che in Ingres diventa quel realismo che alla critica francese inizialmente ripugna.

Jean-Auguste-Dominique Ingres, La grande odalisca, 1814, olio su tela, cm 91×162, Parigi, Musée du Louvre

Jean-Auguste-Dominique Ingres, La grande odalisca, 1814, olio su tela, cm 91×162, Parigi, Musée du Louvre

Raffaello, La Fornarina, 1518-1519, olio su tavola, cm 85×60, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini

Raffaello, La Fornarina, 1518-1519, olio su tavola, cm 85×60, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini

Gaspare Landi, Amore e Psiche, 1785, olio su tela, cm 96×98, Venezia, Museo Correr

Gaspare Landi, Amore e Psiche, 1785, olio su tela, cm 96×98, Venezia, Museo Correr

Antonio Canova, Amore risveglia Psiche con un bacio, 1793, marmo, Parigi, Musée du Louvre

Antonio Canova, Amore risveglia Psiche con un bacio, 1793, marmo, Parigi, Musée du Louvre

Jean-Auguste-Dominique Ingres, L’odalisca e la schiava, 1842, olio su tela, cm 76×105, Baltimora, Walters Art Museum

Jean-Auguste-Dominique Ingres, L’odalisca e la schiava, 1842, olio su tela, cm 76×105, Baltimora, Walters Art Museum

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Antioco e Stratonice, 1840, olio su tela, cm 57×98, Chantilly, Musée Condé

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Antioco e Stratonice, 1840, olio su tela, cm 57×98, Chantilly, Musée Condé

L’insuccesso in patria lo trattiene in Italia dove da Roma si sposta a Firenze. Poi rientra nella Francia della Restaurazione e viene salutato come grande rinnovatore della tradizione, quando nel 1824 presenta Il voto di Luigi XIII proponendosi come antagonista alla pittura romantica di Delacroix. Per dieci anni tiene bottega a Parigi. Ma il suo gusto lo rende intollerabile alla critica quando, nel 1834, presenta Il martirio di san Sinforiano, eroe della Francia merovingia: è un dipinto da classicista in un’epoca dove domina il gusto neomedioevale. In Italia torna quindi volentieri come direttore di Villa Medici a Roma, dal 1835 al 1841. Nel frattempo il gusto parigino cambia, trionfa la ricerca di ogni tipo di fuga dalla realtà quotidiana, si forma il gusto borghese dell’evasione estetica. Ingres rientra a Parigi acclamato con L’odalisca e la schiava: l’opera fa sognare la monarchia borghese, il re costituzionale Luigi Filippo lo riceve a corte e il duca di Luynes gli ordina la decorazione del castello di Dampierre, dove esegue una replica dell’Odalisca con il giardino dello stesso castello sullo fondo. E, quando poi presenta al Palais Royal la celebrazione antiquariale di Stratonice, la folla fa la fila per vedere l’opera nella quale il neoclassicismo si fa al contempo narrazione storica e teatrale e dove lei, la figlia di re macedone e poi consorte prima di Seleuco I e poi ancora di Antioco, figlio del precedente matrimonio di Seleuco, assume una posizione di mesta melanconia dinanzi alla morte dell’ultimo dei mariti seriali. È un’opera del tutto romantica rispetto all’Antioco e Stratonice dipinta mezzo secolo prima da David: l’antichità si è fatta sentimentale.

Jacques-Louis David, Antioco e Stratonice, 1774, olio su tela, cm 120×155, Parigi, École nationale supérieure des Beaux-Arts

Jacques-Louis David, Antioco e Stratonice, 1774, olio su tela, cm 120×155, Parigi, École nationale supérieure des Beaux-Arts

E nei medesimi anni Ingres persegue il suo cammino – su linee parallele e apparentemente opposte – con una ritrattistica totalmente realista. Il gioco duplice lo accompagna attraverso tutta la sua opera e ne è bella testimonianza il dipinto La sorgente. Ne inizia la stesura ancora negli anni venti, trascorsi in Italia; si tiene il dipinto vicino quando torna a Parigi, lo rielabora all’infinito finché non lo cede finalmente completato, nel 1856. Questa tela in cui la figura femminile appare a grandezza naturale riassume l’ambiguità del suo percorso: è al contempo classica e realista, marmorea e viva. Sembra corrispondere in pieno ai dettami che Théophile Gautier aveva presentato nella sua teoria del bello, del 1852, in Emaux et Camées:

Oui, l’oeuvre sort plus belle

D’une forme au travail

Rebelle,

Vers, marbre, onyx, émail.

[…]

Sculpte, lime, cisèle;

Que ton rêve flottant

Se scelle

Dans le bloc résistant!

Sì, l’opera risulta più bella

a una forma di lavoro

ribelle

versi, marmo, onice, smalto.

[…]

Scolpisci, lima, cesella;

che il tuo sogno fluttuante

si sigilli

nel blocco resistente!

Jean-Auguste-Dominique Ingres, La sorgente, 1856, olio su tela, cm 163×80, Parigi, Musée d’Orsay

Jean-Auguste-Dominique Ingres, La sorgente, 1856, olio su tela, cm 163×80, Parigi, Musée d’Orsay

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Venere Anadiomene, 1848, olio su tela, cm 163×92, Chantilly, Musée Condé

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Venere Anadiomene, 1848, olio su tela, cm 163×92, Chantilly, Musée Condé

Il gioco della pittura
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