Gauguin
Il richiamo dei mondi lontani
“Le ombre sono il trompe-l’oeil del sole, sono propenso a eliminarle”, così scriveva Gauguin a Émile Bernard quando ancora erano compagni di ventura pittorica in quella curiosa loro scuola di formazione che si svolse a Pont-Aven, in Bretagna. Se si volesse riportare la storia delle mutazioni del gusto al pettegolezzo, si potrebbe affermare che dal Sud della Francia, quello di Cézanne e poi di Matisse, venne la sensazione visiva del volume solare, dalla Senna e dalla Marna il senso della luce con le sue armonie e dalla Bretagna l’abolizione della luce tagliente e delle ombre: da quelle parti piove spesso e per questo motivo le donne portavano un cappuccio similare a quello delle suore.
Se invece si volesse entrare nell’anima dell’autore, non si potrebbe fare a meno di pensare alla sua eccezionale biografia. Anima irrequieta la sua, come quella della nonna materna, l’agitatrice socialista Flore Célestine Thérèse Henriette Tristán y Moscoso, figlia illegittima d’un possidente terriero nobile peruviano e d’una controrivoluzionaria parigina della piccola borghesia, lei oggi considerata una delle prime femministe della storia moderna, socialista utopista che si fece sparare una rivoltellata da un marito manesco e scrisse il suo primo libro sulla condizione operaia inglese nel 1840, prima di mettersi a girare in lungo e in largo la Francia e morire di tifo a Bordeaux, lasciando un libro postumo dal titolo emblematico L’Émancipation de la femme ou Le testament de la paria.
Paul Gauguin, Visione dopo il sermone, 1888, olio su tela, cm 73×92, Edimburgo, National Galleries of Scotland
Gauguin passa i primi anni della vita nell’America Latina dei nonni che lo considerano bastardo, torna in Francia e diventa agente di cambio, si sposa con una signora borghese danese e avrà cinque figli, va in marina, prima civile poi militare, dove partecipa vittorioso ad alcune battaglie contro la Prussia nel 1870, diventa collezionista d’arte e poi pittore sperimentale, dalla metà degli anni settanta, ormai trentenne (anche Van Gogh dipinge il suo primo quadro a trentadue anni, ed è ciò che forse li lega). Poi rompe le righe, si forma nella prima esperienza di Pont-Aven nel 1886, dove Émile Bernard lo converte alla pittura per campiture che verrà chiamata cloisonnisme e poi via di nuovo per i mari coloniali, verso la Martinica e Panama, e poi ancora una volta a Pont-Aven, questa volta però con le idee chiare: “Non copiate troppo dalla natura, l’arte è un’astrazione, estraetela dalla natura sognandoci, pensate di più alla creazione che al risultato. È l’unico mezzo per salire verso Dio facendo come il nostro divino Maestro, creando”.
E poi ancora amico di Van Gogh nella nota faccenda del taglio dell’orecchio ad Arles, in Provenza, e poi infine espatriato volontario con un piccolo incarico governativo per la cultura nel paradiso di Tahiti, dove approda nel giugno del 1891 dopo avere raccolto 9000 franchi vendendo le sue opere, e che ama alla follia. E successivamente la abbandona, lasciandovi la nuova sua famiglia locale per andare a morire nel 1903 sull’isola di Hiva Oa, nell’arcipelago delle Marchesi, dopo avere subito una condanna del tribunale locale per avere sostenuto che le autorità del posto si davano al traffico di schiavi. Nello stesso cimitero lontano si farà seppellire tre quarti di secolo dopo Jacques Brel, il cantante esistenzialista dell’antiborghesia. È quindi esistenzialmente d’avanguardia già allora la vita d’avventura d’un Gauguin che tradisce tutti i parametri della Francia del Secondo impero, in un percorso assai similare a quello di Van Gogh, che tradisce il mondo familiare olandese e va a predicare fra i diseredati delle miniere prima di diventare pittore.
Paul Gauguin, La perdita della verginità, 1891, olio su tela, cm 90×130, Norfolk, Chrysler Museum of Art
È questo rompere i parametri che fa di tutti e due figure creative esterne alla soffice realtà degli impressionisti. Ed è pure ciò che li porta ad andare al di là della voglia rappresentativa d’una realtà fotografica per giungere a una pittura quasi psicologica dell’interiorità e del vissuto. Appartengono alla medesima piccola borghesia irrequieta che si emancipa, pronta a rompere gli schemi, e dalla quale provengono i poeti Verlaine e Rimbaud, anche quest’ultimo finito a concludere la propria vita in terre esotiche. Così succede anche per Gauguin quando, ormai già notato dalla critica, già chiuso il rapporto d’amicizia con Van Gogh, tentato l’ultimo ritiro pittorico a Pont-Aven dove lo si considera un maestro della maniera nuova, decide di concludere la sua passione per i viaggi e di trasferirsi definitivamente in Polinesia. Se essere primitivi in pittura corrisponde a riscoprire la natura stessa dell’arte, quella sarà la sua terra d’elezione. Ecco quindi la calma raggiunta in una natura incontaminata dove gli esseri umani credono all’amore e vivono in comunità pacifiche. L’utopia potrebbe quasi esistere perché gli dei arcani presenziano alla calma della vita e vegliano.
Per Gauguin il passaggio dalla “civiltà” di Francia alla primordialità delle isole lontane corrisponde a una mutazione dell’etica. Immediata è la trasformazione nella tematica dei dipinti: una delle ultime opere bretoni s’intitola La perdita della verginità, dove la fanciulla appare inquieta e la processione contadina si rivela nel vallone, mentre un anno dopo in Polinesia la morale sessuale è ben diversa e libertaria nel dipinto Come, sei gelosa?. Il medesimo cambiamento di sensibilità avviene nel rapporto con il sacro. Senza essere ovviamente in contatto, Gauguin e Redon affrontano nel medesimo anno 1892 un argomento similare nell’indagare l’Aldilà: è intrigante il parallelismo nel modo di dipingere le apparizioni di ectoplasmi sul fondo della parete, ma ormai il cosmo religioso e psichico che circonda i personaggi è radicalmente mutato e Gauguin continuerà a celebrare il Natale, ma lo farà immerso in un puro mondo di sentimenti pacati ben lontano dalle ansie dei simbolisti parigini. Sembrerebbe che queste mutazioni avessero avuto una fonte già anteriore al viaggio definitivo e che l’immaginario necessario si fosse formato ancora in Bretagna, se si osserva la statuina presente nel ritratto della signora Marie-Angélique Satre, l’albergatrice di Pont-Aven, alla quale il ritratto del 1889 fattole da Gauguin non piacque affatto. La povera donna non poteva sapere che la statuina era già un’anticipazione delle divinità polinesiane e che il fondo a fiori avrebbe influenzato Redon. Gauguin era polinesiano ben prima di esiliarsi sull’isola.
Paul Gauguin, Manao tupapau (Lo spirito dei morti veglia), 1892, olio su tela, cm 73×97, Buffalo, Albright-Knox Art Gallery
Paul Gauguin, Te tamari no atua (Natività), 1896, olio su tela, cm 96×131, Monaco, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Neue Pinakothek