Diego Velázquez, Las Meninas (La famiglia di Filippo IV), particolare, 1656, olio su tela, cm 318×276, Madrid, Museo del Prado
Velázquez
Gli inganni visivi del realismo
Vi è un dato curiosamente stabile nella cultura visiva ispanica ed è quello che rende la narrazione pittorica tesa fra gli estremi opposti, della fantasia da un lato, che va dalle incisioni di Goya al surrealismo di Dalí, e del realismo più concreto che si possa riscontrare in Europa dall’altro. Cosa c’è di più reale nell’apparenza della rappresentazione del bodegón, la natura morta nella tradizione cinquecentesca e seicentesca? Questo senso della realtà fa da linea di fondo all’avventura pittorica di Velázquez. La detiene egli dalla tradizione sua recente e la combina con l’esperienza del primo Barocco caravaggesco italiano assimilato durante il suo viaggio dalla penisola grande di Spagna alla penisola stretta d’Italia.
Un incrocio fra il realismo lirico italiano, quello che da Tiziano corre verso le luci di Caravaggio, e le altre tendenze dell’Europa d’allora, quella ispanica dalla quale proviene e quella dei Paesi Bassi allora sotto l’influenza politica spagnola. E l’incrocio fra le due esperienze è per lui fondamentale, perché il realismo ispanico è naturale e se il realismo postcaravaggesco è ideologico, quello che viene dai Paesi Bassi è per un certo senso scientifico. L’Olanda è in quegli anni patria dell’ottica dove Huygens elabora le prime teorie sulla luce e il filosofo Spinoza, per campare, fabbrica lenti ottiche.
In realtà, il dipinto Las Meninas non è quello che vede l’artista ma quello che stanno vedendo i committenti, il re Filippo IV e la consorte: loro stessi si vedono riflessi nello specchio sulla parete di fondo. Trucco formidabile di confronto estetico che corrisponde in pieno alla poetica ispanica di quegli anni, quella dell’inganno visivo e barocco. L’idea dell’inganno è fondamentale sia per Calderón de la Barca sia per Francisco de Quevedo: il mondo barocco è pieno di piani che si riflettono e, come nella musica a loro contemporanea, ogni fraseggio è suscettibile d’essere ripetuto in canone.
Juan Sánchez Cotán, Natura morta con cotogno, cavolo, melone e cetriolo, 1600 ca, olio su tela, cm 69×85, San Diego, Timken Museum of Art
Diego Velázquez, Las Meninas (La famiglia di Filippo IV), 1656, olio su tela, cm 318×276, Madrid, Museo del Prado
Suor Juana Inés de la Cruz negli stessi anni scriveva:
Este que ves, engaño colorido,
que del arte ostentando los primores,
con falsos silogismos de colores
es cauteloso engaño del sentido.
Questo, che vedi, colorato inganno,
che dell’arte ostentando le bellezze,
con falsi sillogismi di colori
è un inganno dei sensi malizioso.
Jan van Eyck, Ritratto dei coniugi Arnolfini, particolare dello specchio, 1434, olio su tavola, cm 82,2×60 (l’intero), Londra, The National Gallery
Il re si guarda e, come scrive Calderón de la Barca, “Sueña el rey que es rey, y vive con este engaño mandando” (Sogna il re d’essere re, e vive con questo inganno comandando).
E talmente vera è la rappresentazione da apparire onirica: siamo abituati a vedere in un dipinto una rappresentazione scenica. Questa deve avere un suo ritmo, una sua disposizione, deve rispondere ai canoni di ciò che si chiama “composizione”. Velázquez opera all’opposto. Lui rappresenta la sensazione diretta che i monarchi Filippo IV e la sua seconda moglie Maria Anna d’Austria percepiscono entrando in una dimensione che il quadro prevede ma non rappresenta. Si trovano essi esattamente nel punto nel quale si trova l’osservatore della tela ultimata, sicché chi guarda il dipinto diventa la coppia reale stessa, quella che si rispecchia: io che guardo il quadro mi rifletto in fondo al quadro perché sono io stesso nel proscenio del quadro. Sono il quadro e sogno il quadro.
Diego Velázquez, Las Meninas (La famiglia di Filippo IV), particolare, 1656, olio su tela, cm 318×276, Madrid, Museo del Prado
Diego Velázquez, Le filatrici (La favola di Aracne), 1657 ca, olio su tela, cm 167×252, Madrid, Museo del Prado
Pablo Picasso, Las Meninas (l’infanta Margarita María), 1957, olio su tela, cm 100×81, Barcellona, Museu Picasso
Diego Velázquez, Las Meninas (La famiglia di Filippo IV), particolare, 1656, olio su tela, cm 318×276, Madrid, Museo del Prado
Sono le “piccoline” del secondo matrimonio i personaggi di questo dipinto del 1656, l’ultimo dei grandi capolavori di Velázquez, che muore a sessantun anni, nel 1660, quando torna ammalato dall’ambasceria per il matrimonio di Luigi XIV con Maria Teresa, figlia del primo matrimonio di Filippo IV con Elisabetta di Francia. Lui medesimo si rappresenta con la veste che reca il segno della sua nobiltà acquisita con l’ordine di Santiago (nel secolo precedente anche Tiziano era stato fatto nobile da Carlo V) e si pone come figura protagonista del dipinto assieme all’infanta Margherita Maria Teresa d’Austria, che allora ha sei anni e sarà successivamente sposa dell’imperatore d’Austria Leopoldo I. La casa reale di Spagna tentava in tutti i modi di tenere relazioni di sostegno con i matrimoni. Non servì a molto: il trattato di Vestfalia nel 1648 aveva solo apparentemente sedato le risse infinite della guerra dei Trent’anni e i conflitti si sarebbero rimessi rapidamente in moto. Ma erano tutti i contendenti fra loro imparentati. Nel frattempo, invece, le arti continuavano a comunicare e il cattolicissimo Velázquez s’era lasciato influenzare sia dalla sua Spagna storica sia dalla pericolosa Roma papalina e pure dall’Olanda calvinista appena liberata.