Leonardo da Vinci, La Vergine delle rocce, particolare, 1483-1486, olio su tavola, cm 198×126, Parigi, Musée du Louvre
Leonardo
La rivoluzione della prospettiva
Doveva già da giovane avere un carattere assai difficile Leonardo per non essere stato imbarcato nella spedizione di artisti toscani che la Repubblica fiorentina invia a Roma quando Sisto V decide di decorare la sua sublime cappella: la questione è politica e altamente diplomatica. Si trattava di ricucire i rapporti di simpatia dopo che il papa aveva sobillato la congiura dei Pazzi nella quale Giuliano era stato assassinato e Lorenzo l’aveva scampata per stretta fortuna. Il 27 ottobre del 1480 si mettono quindi in viaggio i maestri Domenico Ghirlandaio, Sandro Botticelli e Cosimo Rosselli; in Vaticano si portano appresso Pinturicchio, Piero di Cosimo e Bartolomeo della Gatta come aiuti. Trovano sul posto già al lavoro Perugino e Luca Signorelli. E Leonardo rimane a casa. Il babbo suo, che teneva i conti della Repubblica e non era quindi l’ultimo arrivato, s’offende e chiede una raccomandazione a Lorenzo il Magnifico, il quale spedisce Leonardo a Milano presso la corte di Ludovico il Moro, buon alleato dei fiorentini. Leonardo arriva a Milano come inventore di feste, di musiche e di messe in scena e diventerà consigliere tecnico del ducato. La sua pittura è considerata in secondo piano.
Eppure lui, nei suoi trattati, sostiene la superiorità assoluta della pittura su tutte le arti: sulla scultura che è “esercizio meccanicissimo, accompagnato spesse volte da gran sudore composto di polvere e convertito in fango, con la faccia impastata, e tutto infarinato di polvere di marmo che pare un fornaio, e coperto di minute scaglie, che pare gli sia fioccato addosso; e l’abitazione imbrattata e piena di scaglie e di polvere di pietre”, sulla poesia perché “non parla, ma per sé si dimostra e termina ne’ fatti; e la poesia finisce in parole, con le quali come briosa sé stessa lauda”. Il pittore è ben più fortunato, perché “con grande agio siede dinanzi alla sua opera ben vestito e muove il lievissimo pennello co’ vaghi colori, ed ornato di vestimenti come a lui piace; ed è l’abitazione sua piena di vaghe pitture, e pulita, ed accompagnata spesse volte di musiche, o lettori di varie e belle opere, le quali senza strepito di martelli od altro rumore misto, sono con gran piacere udite”.
Leonardo da Vinci, Macchina da guerra, Codice Atlantico, f. 1070r, 1478-1519, disegno, cm 64,5×43,7, Milano, Biblioteca Ambrosiana
Leonardo da Vinci, Bicicletta, Codice Atlantico, f. 133v, particolare, 1478-1519, disegno, cm 64,5×43,6, Milano, Biblioteca Ambrosiana
Leonardo da Vinci, Carri falcianti, 1483-1485 ca, penna e inchiostro su carta, cm 21×29, Torino, Biblioteca Reale
Quindi Leonardo, che la memoria popolare ama ricordare come inventore d’ogni cosa, come ingegnere prima degli ingegneri, si sente gratificato quando dipinge. E quando lo fa, con sommo piacere mette in dubbio tutti i dettami della buona creanza fiorentina. Non è vero per lui che la prospettiva è solo quella linea di fuga che il punto aperto in mezzo a un cartoncino consente di tracciare. Lui, da autentico analista e sperimentatore secondo i dettami della sperimentazione “per sensi verificabili” di Aristotele, intanto stabilisce che la vista è fatta da due occhi, quindi da due punti di vista che vedono oltre l’apparente piatto d’una sfera e oltre la linea prospettica. Capisce che i piani sono successivi e che il colore in un piano dopo l’altro perde importanza: ecco il motivo del fondale della Monna Lisa ed ecco pure lo svolgimento in profondità del Cenacolo, il quale segue con attenzione i testi sacri perché la scena si svolge in un piano rialzato d’una casa presa in affitto e il paesaggio evapora sullo sfondo.
Leonardo da Vinci, L’ultima cena, particolare, 1494-1498, tempera grassa su intonaco, cm 460×880, Milano, refettorio di Santa Maria delle Grazie
Leonardo da Vinci, Ritratto di Monna Lisa del Giocondo (La Gioconda), particolare, 1503-1505, olio su tavola, cm 77×53, Parigi, Musée du Louvre
Leonardo da Vinci, Studio per la testa di Leda, 1503-1507, penna e inchiostro su pietra nera, cm 20×16,2, Windsor Castle, Royal Library
Leonardo da Vinci, Testa di guerriero, studio per la Battaglia di Anghiari, 1503-1505, gessetto nero su carta, Budapest, Szépművészeti Múzeum
Così si forma in Leonardo un cosmo immaginario nel quale la pittura svolge una funzione ben precisa, quella che corrisponde alla condensazione delle altre esperienze visive e al loro riassunto icastico semplificato. Quanto più sono infatti complessi i suoi disegni, talvolta riassuntivi della cultura tardogotica raccolta in emblemi, talvolta più “di maniera” addirittura di quella del suo contemporaneo Botticelli, talvolta anticipatori delle passioni espressioniste dei secoli venturi, talvolta ancora stimolati dall’ammirazione per l’amico matematico Luca Pacioli, tanto più la pittura abbandona l’indagine del disegno e si libra nella direzione d’una realtà superiore ritrovata, dove le esagerazioni immediate dei disegni vengono drasticamente riportate a un linguaggio controllato e talvolta misterioso. Certo inconsapevolmente si vendicò dei suoi colleghi fiorentini. Non fu egli artista isolato e ignorato: ebbe un’influenza immediata sui suoi conterranei lombardi e contaminò velocemente tutta la cultura europea.
Ultima nota: si dice talvolta che gli ingegneri idraulici siano i più speculativi della categoria.