Masaccio, Cacciata dal Paradiso, particolare, 1425-1426, affresco, Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci
Masaccio
L’antichità imperativo morale
Che anno eccezionale quel 1424 in Italia centrale! Lorenzo Ghiberti, maturo scultore di quarantaquattro anni ha appena avuto l’incarico di inventare le porte di bronzo del battistero di Firenze, di fronte a quelle del duomo. Jacopo della Quercia, ormai solido cinquantenne che ha girato tra Lucca, Siena e Firenze, riceve l’incarico per il portale di San Petronio a Bologna. Donatello, quasi quarantenne, sta lavorando sulle due statue previste per il lato nord del duomo, il profeta Abacuc, che i fiorentini chiameranno “lo Zuccone”, e il profeta Geremia. Il rinnovamento della scultura procede in modo velocissimo grazie alla riscoperta antiquariale del passato, il quale diventa modello. Sin dai primi anni del XIII secolo, infatti, lo stile scultoreo supera la sua contingenza ritrovando gli esempi romani. La pittura, invece, rimane fortemente legata a modelli bizantini che solo i primitivi – e Giotto poi, in modo magistrale – cominceranno a fare evolvere. Il peregrinare di Giotto fa proseliti tra Assisi e Padova e infine durante la sua lunga permanenza fiorentina, dove l’architetto si è espresso per anni come puro sognatore, diventa concreto e lascia una linea concreta nel campanile e un’indicazione futura negli affreschi.
Quella Firenze si farà fiera e autonoma, riuscirà a superare la peste nera del 1348 con maggiore fortuna di Siena, resisterà alle ambizioni egemoni del duca di Milano Gian Galeazzo Visconti. Firenze diventa baluardo contro il lombardo combinando le armi con le parole, grazie alla forza e alle idee di un uomo singolare, Coluccio Salutati, il cancelliere alla guida della Repubblica dal 1375 fino alla sua morte, nel 1406. Salutati fu il prototipo dell’umanista politico, lui che fermò le pressioni esterne con l’oratoria e con il suo testo De Tyranno, scritto nel 1400 appositamente contro il Visconti, dove l’uso del latino di Cicerone si fece strumento di convinzione congedando definitivamente la retorica medioevale. Ridiede egli vita alla grafia carolina del IX secolo sostituendola a quella gotica allora imperante, lui che aveva fatto nascere la prima cattedra di greco classico nel 1397 con Emanuele Crisolora da Costantinopoli. Il Rinascimento, prima che artistico, fu letterario e politico. Ed è questo il mondo in rinnovamento nel quale cresce Masaccio, nato nel 1401 a San Giovanni Valdarno, un avamposto delle terre nuove fiorentine dinanzi ad Arezzo, inventato nella sua urbanistica un secolo prima da Arnolfo di Cambio, il quale vi aveva disegnato la piazza centrale e le vie all’antica che si incrociano perpendicolari.
Masaccio, Cacciata dal Paradiso, 1425-1426, affresco, Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci
Jacopo della Quercia, Cacciata dal Paradiso, 1425-1434, marmo, cm 99×92 (la formella), Bologna, San Petronio, portale centrale
Lorenzo Ghiberti, Porta del Paradiso, Storie di Adamo ed Eva, particolare, 1425-1452, bronzo dorato, Firenze, Museo dell’Opera del Duomo
Cacciata dal Paradiso, fine del XII secolo, mosaico, Monreale, Duomo, navata settentrionale, secondo registro
Masaccio muore giovanissimo – ventisettenne – a Roma, ma riesce nel breve periodo della sua attività a riassumere le tensioni della sua epoca. Prima ancora che stimolo estetico, l’antichità fu quindi determinazione morale e politica. Ma si rinnovò quel passato andandosi a combinare con un elemento che nel profondo della sua storia non era stato celebrato. La mutazione del gusto avviene infatti per due strade parallele. Quell’altra è al contempo visiva e poetica: il dolce stil novo sancisce attraverso il Duecento letterario una sensibilità che già da Giunta Pisano a Cimabue e a Giotto si afferma nella rappresentazione. Appare il pathos. Quindi, in quel 1424, Masolino, che pure lui è nato a San Giovanni Valdarno quarantun anni prima, prende a collaborare nell’impegno decorativo per la cappella – voluta dal setaiolo ambasciatore di vecchia stirpe fiorentina Felice Brancacci – con il ventitreenne Masaccio, suo conterraneo e uomo già formato. Dipingeranno la parte alta delle due pareti opposte della cappella e porranno l’uno di fronte all’altro i temi successivi della Tentazione e della Cacciata. Masolino lascia il lavoro alla fine del 1425 per andare in Ungheria; Masaccio nel 1427, per andare a Roma dove muore l’anno successivo. Il lavoro verrà ultimato una trentina di anni dopo da Filippino Lippi, che dipinge la parte inferiore.
Giusto de’ Menabuoi, Storie della Genesi, Cacciata dal Paradiso, 1375-1378, affresco, Padova, battistero di San Giovanni
Lorenzo Ghiberti, Porta del Paradiso, Storie di Adamo ed Eva, particolare, 1425-1452, bronzo dorato, Firenze, Museo dell’Opera del Duomo
Jacopo della Quercia, Tentazione di Adamo ed Eva, 1425-1434, marmo, cm 99×92 (la formella), Bologna, San Petronio, portale centrale
Masaccio, Tentazione di Adamo ed Eva, 1425-1426, affresco, Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci
Giotto, Storie di san Francesco, La rinuncia agli averi, particolare, 1325 ca, affresco, Firenze, Santa Croce, cappella Bardi
Giotto, Storie di san Francesco, La rinuncia agli averi, particolare, 1325 ca, affresco, Firenze, Santa Croce, cappella Bardi
Passano cent’anni esatti a Firenze da Giotto – in Santa Croce nella cappella Bardi e nella cappella Peruzzi, completate attorno al 1325 –, a Masaccio in Santa Maria del Carmine nella cappella Brancacci, ma senza la forza del primo non ci sarebbe forse stata la poetica del secondo. E Masaccio riassume l’espressività giottesca, la declina in relazione allo stile nuovo che Ghiberti sta applicando in quegli anni alle porte del battistero del duomo. La medesima sensibilità, dove più incisiva ancora è la ritrovata classicità, la sta esaltando nei medesimi anni Jacopo della Quercia nell’incarico di San Petronio. Ma è Masaccio che porta al culmine la disperazione del sentimento.
Masaccio in realtà non avrà emuli: il suo percorso rimarrà sospeso e sentito solo in tempi successivi. Nel 1550 Vasari ne rilegge l’efficacia: “Le cose fatte inanzi a lui si possono chiamare dipinte, e le sue vive, veraci e naturali”.
Strano personaggio questo Masaccio che in realtà ha lasciato un catalogo di opere molto ristretto e per il quale sono più le ipotesi delle certezze. Innegabilmente influenzato dalla scultura della sua epoca, riprende dalla prassi lapidea dei suoi contemporanei la visione prospettica dello spettatore per loro naturale: le statue andavano viste dal basso e spesso ciò che si percepisce nel vederle esposte nei musei è ben diverso dalla visione che se ne poteva avere quando erano apposte sulle facciate degli edifici. E se per contemplare la statuaria del Quattrocento nell’ottica per la quale era stata inventata è consigliabile sedersi per terra, la medesima angolazione va affrontata per alcuni dipinti, come è il caso della Crocifissione di Masaccio realizzata per Pisa e ora al Museo di Capodimonte. Se ne percepisce la forza di comunicazione solo guardandola dal basso dove finalmente la testa dolente del Cristo riprende l’espressività originaria e dove diventa prorompente la figura della Maddalena vista teatralmente da dietro. La questione si fa ancor più didattica se si paragona la Crocifissione alla piccola opera che Masaccio, contravvenendo al contratto d’impiego, realizza contemporaneamente come piatto di matrimonio per una futura sposa partoriente. Lì la prospettiva è perfettamente frontale e la scena va guardata tenendo l’opera in mano. Ed eravamo solo nel 1427! La dimostrazione pubblica della prospettiva l’aveva fatta Brunelleschi nel 1413 mostrando una tavoletta bucata dalla quale con uno specchio opposto faceva vedere le linee architettoniche dell’edificio. E così l’arte della pittura si fa teatro ed entra in competizione con la scultura.
Masaccio, Desco da parto, recto, 1426-1427, tempera su tavola, ø cm 56,5, Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie