Giovanni Bellini, Allegoria sacra, particolare,1490-1500 ca, olio su tavola, cm 73×119, Firenze, Galleria degli Uffizi
Giovanni Bellini
Una bottega per il secolo nuovo
Se vi è una bottega che rappresenta fin in fondo lo spirito quattrocentesco è innegabilmente quella dei Bellini a Venezia. Ne è a capo – più che esserne il capo – Jacopo Bellini, nato ancora nel Trecento e passato a miglior vita ultrasettantenne nel 1470. Ha due figli notissimi e una figlia protagonista. Il maggiore nasce nel 1429 e viene battezzato con il nome Gentile, in onore di Gentile da Fabriano che del padre fu il maestro; sarà pittore ma anche medaglista per via delle sue frequentazioni di terraferma ed è lui che va a ritrarre Maometto II dopo la presa di Costantinopoli a dimostrazione che Venezia vuole bene a tutti purché detengano i cordoni della borsa. Il secondo è Giovanni, nato attorno al 1433, che morirà ottantatreenne in pieno Rinascimento e sarà il pittore ufficiale della Serenissima, titolo che lascerà a Tiziano. Non è del tutto certo che Giovanni fosse legittimo perché la vedova di Jacopo, Anna Riversi, lo escluse dal testamento, ma si sa che le mamme venete si legano al dito questioni ben più domestiche talvolta di quelle banalmente genetiche, e il carattere indipendente di Giovanni ne fu probabilmente la vera causa. Ve n’era poi un terzo che la storia ha dimenticato, Niccolò, ma che nel testamento fu invece incluso: rimase forse nell’ombra della bottega. E poi importantissima per la storia delle arti fu Nicolosia, perché andò in sposa ad Andrea Mantegna che a bottega si stava trasformando in maestro definitivo. Mantegna e Giovanni erano praticamente coetanei e si legarono di profonda amicizia. Mantegna, arrivando a Venezia, si portava già appresso le prime esperienze padovane e gli incontri con i toscani che nella città universitaria e francescana erano passati: da Donatello a Filippo Lippi, ad Andrea del Castagno e Paolo Uccello, oltre ovviamente alla lezione prospettica che loro già padroneggiavano.
Jacopo Bellini, Album del Louvre, XV secolo,
inchiostro su pergamena, cm 38×52, Parigi,
Musée du Louvre, Département des Arts graphiques
1. Salita di Gesù al Calvario, f. 19r
2. Il piano superiore di un palazzo, f. 85v
3. Composizione di monumenti romani, f. 45r
4. Il Giudizio di Salomone, f. 25r
5. Veduta interna di un palazzo, f. 41r
6. Gesù a dodici anni nel Tempio con i dottori, f.
16v-17r
Giovanni Bellini, San Terenzio, particolare della predella della Pala Pesaro, 1472-1474, olio su tavola, cm 40×42, Pesaro, Museo Civico
Giovanni Bellini, Allegoria della prudenza o della verità, 1490 ca, tempera e olio (?) su tavola, cm 34×22, Venezia, Gallerie dell’Accademia
La bottega era potente e attiva anche fuori città, visto che nel 1460 il padre e i due figli sono a Padova a dipingere la pala per la cappella del Gattamelata nella basilica del Santo. Sei anni dopo i tre a Venezia decorano la Scuola Grande di San Marco e Gentile viene elevato al rango nobiliare di conte palatino dall’imperatore Federico III che aveva ritratto. Successivamente, nel 1474, viene nominato ritrattista ufficiale dei dogi.
La loro è la ditta di maggior successo a Venezia. La pittura del capostipite rimase sempre legata agli stilemi ormai attardati del gotico internazionale, almeno in ciò che appariva pubblicamente nelle opere finite. Ben più curioso invece era l’ambiente intimo della bottega, dove Jacopo raccoglieva i suoi pensieri in quei due preziosi album di disegni oggi conservati fra il Louvre e il British Museum. Qui si fanno sorprendenti le citazioni “antiquariali” degli studi sull’architettura, immaginata come greco-romana combinandola con fantasie tardomedioevali.
Giovanni Bellini e Tiziano, Il festino degli dei, 1514-1529, olio su tela, cm 170,2×188, Washington, National Gallery of Art
Giovanni Bellini si forma proprio in questo incredibile crogiolo di esperienze, a cui si aggiungono i suoi viaggi di lavoro in giro per la penisola e il cosmopolitismo naturale della città, dove le varie etnie di una Europa marittima sono sancite dalla conformazione stessa dei quartieri, dal Fondaco dei Turchi a quello dei Tedeschi, passando dalla riva degli Schiavoni, quella degli slavi, e poi dal ghetto ebraico agli insediamenti armeni. Non vi era allora in questi acquartieramenti “etnici” alcuna traccia di differenziazioni razziali, bensì quell’eredità di san Marco che proveniva direttamente dalla configurazione urbanistica di Alessandria d’Egitto da dove la reliquia del santo protettore era stata traslata. E ben lo testimonia la Madonna greca dipinta da Giovanni attorno agli anni Sessanta dove Lei ha già tutta la dolcezza dei sentimenti legittimati dalla modernità e l’Infante tiene in mano la mela di Paride.
Giovanni Bellini, Madonna col Bambino, 1460-1464, olio su tavola trasportato su tela, cm 52×42,5, Venezia, Museo Correr
Giovanni Bellini, Pietà, 1472-1474, olio su tavola, cm 107×84, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana
Giovanni Bellini, Pietà in un paesaggio, 1500-1505 ca, olio su tavola, cm 65×87, Venezia, Gallerie dell’Accademia
Giovanni Bellini, Trasfigurazione, particolare del paesaggio, 1480 ca, olio su tavola, cm 116×154, Napoli, Museo di Capodimonte
Venezia diventa un crogiolo all’inizio del secolo nuovo, quando le esperienze si sommano alle ambizioni politiche, commerciali e intellettuali. Vi era approdato Antonello da Messina direttamente, vi giungono le opere innovative di Rogier van der Weyden assieme alle prime arie campestri del giovane Cima da Conegliano, vi si sentono gli echi di Piero della Francesca e il suo amico matematico Luca Pacioli vi inventa la partita doppia per la contabilità; ci si compara, ci si studia, ci si stimola e così nasce la nuova lingua della pittura. La capitale degli affari non vuole uno stile proprio, li assimila tutti, ma esige la qualità.