Amedeo Modigliani, Donna con la cravatta nera, 1917, olio su tela, cm 65×50, Parigi, Collezione Renand
Modigliani
I paradisi sofferti della bohème
Nell’agosto del 1914, a pochi giorni dall’inizio delle ostilità della Prima guerra mondiale, il prefetto di polizia della città di Parigi emanava un decreto che proibiva la vendita dell’assenzio, l’absinthe, quel distillato ad alta gradazione che veniva bevuto con regolare passione da ogni artista. Già Ippocrate nel V secolo prima della nostra era ne aveva descritto gli effetti afrodisiaci e la capacità di stimolare la creatività. La caratteristica negativa era stata invece individuata solo dalla recente farmacologia che vi aveva trovato la combinazione perniciosa di alcol etilico e metilico, quest’ultimo propenso a stimolare allucinazioni e conseguenti danni cerebrali. Che la bibita fosse assai dannosa lo aveva già raffigurato Manet nel 1858, ma la faccenda era stata esaltata da Baudelaire nei Paradis artificiels del 1860 dove la parte iniziale era intitolata Le poème du haschisch. I maggiori artisti della Belle Époque li avevano rappresentati, il bevitore o la bevitrice di assenzio, Pablo Picasso in testa. Sicché, quando il bel giovanotto toscano Amedeo Modigliani approdò alla Ville Lumière, non rinunciò a entrare nel giro dei paradisi inattesi. A dire il vero, girava egli regolarmente anche con un poco di hashish nel taschino della giacca.
Era, Amedeo, un nome cattolico che lo imparentava al grande Mozart e che ebbe il triste destino di farlo morire alla stessa età di trentacinque anni. La famiglia era di origine romana ed ebraica, ma il nome stesso datogli all’anagrafe ne indicava la laicità, la medesima professata da suo fratello maggiore, Giuseppe Emanuele, dal nome evidentemente risorgimentale (Giuseppe per Garibaldi ed Emanuele per i Savoia), che divenne deputato socialista nel 1913, fu fervente anti-interventista nella guerra e finì in esilio dopo l’affare Matteotti.
Bartolomeo Ammannati, Fontana del Nettuno, 1563-1565, marmo e bronzo, Firenze, Piazza della Signoria
Amedeo Modigliani è il figlio di una Italia moderna e cosmopolita che trova a Parigi il luogo necessario alla propria verifica artistica, così come lo era stato per Boldini e de Nittis e come lo sarà poco dopo per Gino Severini, per Umberto Boccioni e per Giorgio de Chirico. A Parigi trova l’ambiente adatto nella più autentica delle bohème, quella del Bateau Lavoir a Montmartre, dove approda nel 1906 e si installa per dipingere nello studio vicino a quello in cui Picasso realizzerà le notissime Demoiselles d’Avignon. È probabilmente già ammalato di tubercolosi e se ne va brevemente in Italia per cambiare indirizzo parigino e tornare a stabilirsi a Montparnasse, dall’altro lato della città, in quella parte della rive gauche dove Severini incontra alla Closerie des Lilas la sua futura moglie Jeanne, figlia del notissimo poeta Paul Fort. Modigliani a sua volta si innamora di Anna Achmatova, quella che diventerà una delle maggiori poetesse russe del XX secolo. Con la guerra de Chirico torna ubbidiente nell’infermeria di Ferrara, Modigliani e Severini si imboscano tranquillamente.
Albert Rudomine, Ritratto di Jeanne Hébuterne, moglie di Modigliani, 1917, fotografia, Collezione privata
Amedeo Modigliani, Ritratto di donna (Lunia Czechowska), 1918-1919, olio su tela, cm 45,7×36, Collezione privata
Lenci (Helenchen König), A teatro, busto femminile, XX secolo, ceramica, altezza cm 27,5, Collezione privata
George Barbier, Donna dell’antica Roma si fa lavare i capelli da una serva, XX secolo, litografia a colori, Londra, The British Library
Di carattere innegabilmente indipendente, quasi anarchico, Modigliani riesce a non farsi influenzare dalle avanguardie nascenti, sia cubiste sia futuriste. Prende spunto, da scultore quale si considera e quindi dal confronto con Brancusi, dalla forma stabile da reinventare. Gli rimane l’eredità degli studi all’Accademia di Firenze e di Venezia e pratica con attenzione la materia all’italiana, quella dei macchiaioli e dei divisionisti. E così inventa uno stile suo, tutto particolare, che sarà la cifra della sua autonomia e della sua identità. I suoi personaggi ritratti diventeranno un inatteso incrocio fra le citazioni del manierismo fiorentino cinquecentesco a collo lungo e le maschere africane che appaiono con le orbite senza occhi definiti, ma il tutto sempre narrato con un’attenzione alla materia che molto deve alla cultura visiva dei macchiaioli e con quel gesto pittorico libero che delinea la cravatta della Japonaise. La giovane moglie Jeanne Hébuterne, anche lei di origine ebraica, convertita, ha fatto da modella al raffinatissimo giapponese Tsuguharu Foujita: è essa l’ideale per le rappresentazioni di Modì. Eppure lui, da ubriaco, la picchia per le strade di Parigi; lei lo accompagna nel Meridione della Francia nel 1917 per curare la tubercolosi, ormai allo stadio ultimo. Nasce la loro figlia Jeanne. Tornano a Parigi, lui muore, i funerali sono seguiti da tutto il mondo artistico; lei, disperata e di nuovo incinta al nono mese, si butta il mattino dopo dalla finestra della casa dove la sua famiglia l’aveva obbligata a tornare. Tutti e due maledetti, maledettamente romantici. Eppure, la sua pittura diventa simbolo di pacatezza e va a ornare i salotti della più agiata borghesia d’Occidente. La sua fortuna postuma è immediata, a tal punto che da subito viene messa in circolazione una miriade di disegni apparentemente suoi che la critica d’oggi preferisce attribuire ai suoi amici, Moïse Kisling in testa.
Amedeo Modigliani, Ritratto della moglie Jeanne Hébuterne, 1918, olio su tela, cm 101×65,7, Pasadena, Norton Simon Museum