Henri de Toulouse-Lautrec, La pagliaccia Cha-u-Kao, 1895, olio su cartone, cm 64×49, Parigi, Musée d’Orsay
1864~1901
Toulouse-Lautrec
Le ansie della Belle Époque
Era nato ad Albi, vicino ai Pirenei orientali dove si respirava l’aria del Mediterraneo, e morì trentasette anni dopo nel castello Malromé fra le vigne del Bordeaux, che la contessa madre aveva successivamente acquistato, a un paio di centinaia di chilometri di distanza, a Saint-André-du-Bois dove giungevano invece i venti atlantici vicino alla Gironda. Ragazzo di buona famiglia e di pessima salute, bello d’animo e disgraziato di corpo, Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec-Montfa era figlio del conte Alphonse e della di costui cugina Adèle Tapié de Celeyran. Discendeva la famiglia nientemeno che dai conti di Toulouse sin dal XIII secolo.
Crebbe fra i castelli del Bosc dove abitavano i nonni e il castello paterno di Celeyran. A dieci anni si ammalò d’una particolare osteosclerosi con effetti di nanismo, cranio voluminoso e mandibole ridotte nonché fragilità ossea. Nondimeno decise di abbandonare la morbida provincia per la tentacolare Parigi fin de siècle dove fece il suo baccalauréat al liceo Condorcet e si diede alla vita della bohème e all’arte. Se sembra talvolta l’inventore della prima pittura dei contrasti è perché la stessa sua vita è un cumulo di contrasti. È mondo dei contrasti quello della Belle Époque. Degas trova l’ispirazione sui palcoscenici e nelle sale prova del Théâtre de Boulevard borghese con le giovani danzatrici, lui la trova nel postribolo dell’avanspettacolo o nella clausura delle case di piacere con mature professioniste. Van Gogh, l’uomo popolano e impegnato del Nord, religioso e socialista, trova il riscatto nel sole della Provenza; Lautrec, l’aristocratico disgraziato del Sud, cerca la dissolvenza nella notte metropolitana. I suoi colleghi Degas e Monet sono nati un quarto di secolo prima di lui e moriranno un quarto di secolo dopo. Loro dipingono all’aria aperta e in comode case borghesi, lui un po’ dove gli capita, anche nella camera dove vive alla Fleur Blanche, il bordello tutto tendaggi rossi della rue des Moulins. Loro compiono dipinti ben eseguiti e composti, lui schizzi rapidi che sono spesso preparatori a effimere opere da stampare come affiches pubblicitarie. Loro si fanno ritrarre da colleghi o dal sublime fotografo Nadar, lui da un fotografo da strapazzo, ma amico, che lo raffigura accanto a una ballerina nuda o vestito da clown triste. È in verità il primo d’una sequela di provocatori che sembrano segnare la decadenza di un’epoca borghese che cambiò l’anima della società francese. I suoi paralleli veri sono, ben più dei pittori di successo, il musicista Eric Satie, che dormiva in un sottoscala vestito con il frac, lo scrittore Alfred Jarry, quello dello spettacolo teatrale Ubu Roi, prototipo mondiale del trash. È egli radicalmente provocatore, fino alla fine. Mescola gli opposti. Beve contemporaneamente assenzio e cognac, aperitivo e digestivo. E finisce ovviamente alcolizzato per tornare a morire nelle sue aristocratiche campagne sotto l’occhio benevolo di un padre che non lo aveva mai capito. Ma lascia una eredità estetica formidabile, avendo rotto, forse alla pari solo con Van Gogh, i parametri che l’Impressionismo aveva sancito come paradigmi del buon gusto. Le sue opere, che appaiono all’occhio inavvertito come se fossero state realizzate di getto, erano il risultato di studi preparatori schizzati con una verve energetica di estrema determinazione. La diversità fra il garbo delle rare opere compiute e l’immediatezza di quelle realizzate di getto per non essere ultimate deve parecchio, esattamente come per Van Gogh, alla scoperta del vasto cosmo delle stampe giapponesi. Ma è soprattutto il vigore gestuale, così in contrasto con la sua personale fisicità, a rivelare una vitalità e un estro d’anima che ne fanno un protagonista dell’innovazione visiva. Ed è in fondo la sua visione estremamente bonaria di un mondo parallelo a restituire la sua personalità di osservatore. È forse il primo espressionista vero, nella vita e nell’opera, nella dissolvenza e nell’estetica.
Henri de Toulouse-Lautrec, Nella sala di Rue des Moulins, particolare, 1894, olio su tela, cm 111×132, Albi, Musée Toulouse-Lautrec
Henri de Toulouse-Lautrec, Regina di gioia, 1892, litografia a colori, cm 136,3×92, Collezione privata
Henri de Toulouse-Lautrec, Jane Avril, 1899, litografia a pennello, cm 56×29,8, Parigi, Bibliothéque nationale de France
Henri de Toulouse-Lautrec nello studio, fine del XIX secolo, fotografia
Henri de Toulouse-Lautrec, Rue des Moulins, 1894, olio su cartoncino su tavola, cm 83,5×61,4, Washington, National Gallery of Art
Henri de Toulouse-Lautrec, À la mie, 1891, olio su cartone montato su tavola, cm 53×67,9, Boston, Museum of Fine Arts
Henri de Toulouse-Lautrec, Yvette Guilbert saluta il pubblico, 1894, guazzo su carta, cm 48×28, Albi, Musée Toulouse-Lautrec