Giambattista Tiepolo, Genio su Pegaso mette in fuga il Tempo, 1747-1750, affresco, Venezia, Palazzo Labia
1696~1770
Tiepolo
La meraviglia del Gran Teatro
Giambattista Tiepolo, il pittore senza gravità, dove tutto, il terreno come il celeste, vive nella dimensione delle arie e del volo. Pochi artisti come lui possono essere visti in relazione diretta con il gusto di un’epoca, dalla musica di Antonio Vivaldi, suo contemporaneo, ai decori di stucco di una Venezia che vuole la leggerezza come necessità della sua architettura lagunare. Mai prima di allora, e nel momento drammatico degli inizi della sua decadenza, Venezia fu così internazionale: Tiepolo muore settantaquattrenne a Madrid nel 1770, Goldoni ottantaseienne a Parigi nel 1793, Casanova in Boemia settantatreenne nel 1798, Giambattista Piranesi nel 1778 a Roma. Anche gli uomini di spettacolo seguono un percorso analogo: Antonio Vivaldi, il prete rosso, si era già spento sessantatreenne a Vienna nel 1741 dopo avere influenzato non poco con il colorito melodico il severo Giovanni Sebastiano Bach, il quale lì su nella Germania protestante era venuto a conoscenza delle sue partiture, mentre Antonio Salieri, il compositore nato a Legnago poco dopo, nel 1750, finirà la sua carriera a Vienna nel 1825 dopo aver visto morire giovanissimo il suo concorrente Mozart, il quale come librettista ebbe più di una volta Lorenzo Da Ponte, israelita convertito e fatto prete pure lui: dopo avere scritto il testo per Le nozze di Figaro e Così fan tutte se ne va a New York dove muore nel 1838.
Sebastiano Ricci, Commiato di Venere da Adone, particolare, 1707, affresco, Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti
A Tiepolo si apre il mercato internazionale grazie all’intellettuale veneziano mercante d’arte che muore poi a Pisa, quel Francesco Algarotti che polemizza con Voltaire a Parigi, è accolto alla Royal Society di Londra, gira per San Pietroburgo e assiste come graditissimo ospite all’incoronazione di Federico di Prussia a Königsberg: è Algarotti che acquista da Liotard, il ginevrino di passaggio a Venezia, la nota Cioccolataia e la vende a Dresda ad Augusto il Forte, principe di Sassonia e re di Polonia. E in quel mondo germanico Tiepolo porta a termine uno dei suoi massimi capolavori, il ciclo di affreschi per la residenza del principe vescovo di Würzburg, fra i quali forse il più affascinante è quello dedicato all’Europa.
Giandomenico Tiepolo, Pulcinella e i saltimbanchi, 1791-1793, affresco staccato, Venezia, Ca’ Rezzonico
Giambattista Tiepolo, Giovane donna con cappello a tricorno, 1755-1760 ca, olio su tela, cm 62,2×49,3, Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection
Venezia è infatti l’embrione di una Europa delle culture. Come un fuoco d’artificio nel suo culmine, si espande ed esplode. E come scrive lo stesso Goldoni, parlando della lingua veneziana: “Colla robustezza dei sentimenti, ha fatto conoscere che la lingua nostra è capace di tutta la forza e di tutte le grazie dell’arte oratoria e poetica, e che usata anch’essa da mano maestra, non ha che invidiare alla più elegante Toscana”. Rimangono a Venezia i vedutisti, Canaletto e i Guardi, ma le loro opere vengono esportate in tutto il continente come ricordi del viaggio nel mondo delle meraviglie e Canaletto stesso passa un lungo periodo a dipingere in Inghilterra, ma pure suo nipote Bernardo Bellotto muore a Varsavia nel 1780, dopo aver più volte dipinto Dresda, la città dove conclude la propria vita l’altro veneziano, Andrea Zucchi, autore de Il gran teatro di Venezia ovvero raccolta delle principali vedute e pitture pubblicato da Domenico Lovisa in Rialto nel 1717. È tutta meraviglia Venezia e sa di esserlo, poiché appunto si lascia definire “gran teatro”. Ed è uno stupor mundi che viaggia per l’Italia come già era avvenuto con le avventurose peregrinazioni di Sebastiano Ricci, il bellunese che corre come una trottola per la Penisola, talvolta per committenze, talvolta inseguito dalle varie polizie, da Roma a Milano, prima di fermarsi a Venezia dove muore nel 1734 influenzando parecchio l’immaginario e la pratica del giovane Tiepolo.
Lorenzo Lippi, Allegoria della simulazione, 1640 ca, olio su tela, cm 72,5×58,5, Angers, Musée des Beaux-Arts
Giambattista Tiepolo, Il banchetto di Cleopatra, 1743-1744, olio su tela, cm 250,3×357, Melbourne, National Gallery of Victoria
Non poteva trovare Giambattista Tiepolo migliore committente ultimo che Carlo III di Spagna, il monarca europeo per eccellenza, discendente di Luigi XIV di Francia ma inizialmente duca di Parma e Piacenza ed erede delle collezioni farnesiane con il nome di Carlo I, poi re di Napoli e Sicilia con il nome di Carlo VII, quando fece costruire a Vanvitelli la reggia di Caserta, e infine salito sul trono a Madrid. Per lui dipinse, negli ultimi anni della propria vita, fra il 1767 e il 1769, la più pacata e riassuntiva delle sue opere, una Madonna dolce e veneziana che si ispira al profondo della storia ispanica di uno Zurbarán che si era adoperato sul medesimo tema un secolo prima.
Francisco de Zurbarán, Immacolata Concezione, 1628-1630, olio su tela, cm 128×89, Madrid, Museo del Prado
Giambattista Tiepolo, Immacolata Concezione, 1767-1769, olio su tela, cm 281×155, Madrid, Museo del Prado
Giambattista Tiepolo, Madonna del cardellino, 1767-1770 ca, olio su tela,cm 63,1×50,3, Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection
Giambattista Tiepolo si era sposato con Maria Cecilia, sorella dei vedutisti Francesco e Gianantonio Guardi, ebbe come figlio Giandomenico Tiepolo, al quale si devono i più melanconici dei Pulcinella napoletani diventati veneziani in attesa di carnevali e della decadenza definitiva della Serenissima Repubblica.