Piero della Francesca, Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il duca Federico II da Montefeltro (Pala di Brera), particolare, 1472-1474, olio e tempera su tavola, cm 248×170, Milano, Pinacoteca di Brera
Piero
della Francesca
L’alba della metafisica
Quando iniziarono le confische delle truppe napoleoniche per pagare la campagna d’Italia del 1796, furono tante le opere d’arte della Penisola portate nei musei di Francia come bottino per ripagare il prestito di due milioni di franchi erogato al giovane generale Bonaparte dal Direttorio per la sua avventura, a lui che ne fece restituire con le vendite successive ben 18 di milioni, tra opere d’arte, oro e libri sequestrati. Fra queste opere molte provenivano da Venezia e dalla costa adriatica. Così nacque parte del grande Louvre e così nacque pure il suo clone italiano nell’ex collegio dei gesuiti di Brera, già trasformato in istituto culturale dall’Austria di Maria Teresa che ne aveva soppresso l’ordine. Ed è così che arrivò a Milano la sublime pala di Piero della Francesca. Se il Louvre doveva essere la teca d’Europa, Brera aveva da svolgere una funzione ben diversa: era certamente museo, ma lo doveva essere in modo mirabile come luogo didattico legato alla formazione di pittori e di architetti.
Ecco perché molte opere hanno sin dagli inizi della raccolta una valenza prospettica e costruttiva. Ne è buona testimonianza il vasto telero di Gentile Bellini La predica di san Marco ad Alessandria d’Egitto come lo è Il ritrovamento del corpo di san Marco del Tintoretto e come pure Lo sposalizio della Vergine di Raffaello, opera parallela a quella costruita dall’amico urbinate Bramante. È questo il motivo dell’arrivo dell’opera sublime di Piero della Francesca nota oggi come Pala di Brera (1472-1474), e ciò benché Piero non stimolasse allora un’attenzione globale sulla sua personalità artistica, la quale era oggettivamente poco nota, vista la scarsa disponibilità di opere nelle raccolte visitabili. Chi non era stato, da conoscitore attento, ad Arezzo o a San Sepolcro e dintorni, non poteva avere percepito l’immutabile importanza di un artista che aveva prodotto poco e per giunta principalmente su pareti affrescate.
Piero della Francesca, Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il duca Federico II da Montefeltro (Pala di Brera), 1472-1474, olio e tempera su tavola, cm 248×170, Milano, Pinacoteca di Brera
Pantheon, interno della rotonda, II secolo d.C., Roma
La rozzezza predatoria aveva asportato metà delle opere di Giusto di Gand dallo studiolo del duca Federico da Montefeltro a Urbino per spedirle a Parigi, ma aveva tralasciato sia la Flagellazione sia La Madonna di Senigallia di Piero. Quando nel 1857 passò da quelle parti, che erano ancora Stato della Chiesa, l’acquirente di opere per i musei inglesi Charles Lock Eastlake le trovò anche lui prive d’interesse. La mutazione del gusto avvenne all’inizio del XX secolo e sia Adolfo Venturi sia Roberto Longhi si misero a esaltare la misteriosa qualità di un artista poco noto.
Oggi è mito indiscusso la metafisica sospensione di Piero della Francesca, la sua morbida luce adriatica, quella che non vede il sole preciso del Tirreno quando cala nel mare ma al contrario la luce totale di quello che sorge nel biancore del mattino orientale. E torna Piero a essere protagonista indiscusso della sua epoca, intellettuale ante litteram quando il pittore era sostanzialmente ancora un sublime artigiano a dipendenza dei committenti. È egli legato a Leon Battista Alberti sin dagli anni nei quali nasce il Tempio Malatestiano di Rimini, quando realizza per gli interni l’affresco che ritrae Sigismondo, il signore che s’inginocchia dinanzi al re e santo Sigismondo; e come l’Alberti che scrive i suoi trattati sulla pittura e la prospettiva, lui scrive i suoi, sul calcolo dell’abaco, sulla prospettiva pittorica, sui cinque corpi regolari della geometria, quei corpi che incuriosiscono tutti e che il suo concittadino Luca Pacioli, anche lui matematico, porterà alle ultime conseguenze di complicazione fino al dodecaedro e fino a interessarne il sommo Leonardo alla fine del secolo.
Piero della Francesca, Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il duca Federico II da Montefeltro (Pala di Brera), particolare, 1472-1474, olio e tempera su tavola, cm 248×170, Milano, Pinacoteca di Brera
Arco di Giano, nicchia a conchiglia, IV secolo d.C., marmo, Roma
Sono legati da amicizia e stima Leon Battista e Piero sin dalla loro esperienza romana, quando lì vengono chiamati dal papa supercolto Pio II Piccolomini sul finire degli anni cinquanta del secolo. Ed è lì che riscoprono i valori delle architetture del passato antico, studiando ciò che ancora è vivo e in funzione ma guardandolo soprattutto risorgere dalla terra come fanno risorgere le acque negli antichi acquedotti restaurati. E da lì nascerà la formidabile mutazione della sensibilità moderna.
Se l’estetica e la matematica sono sull’onda della storia nuova, l’uovo che pende nella conchiglia antica proviene dalle credenze medioevali, quelle per le quali lo struzzo nasceva da un uovo non fecondato esattamente come Gesù nacque da Maria senza che Ella giacesse con san Giuseppe. La forma dell’arco e la riga di marmo scuro che la delimita orizzontalmente sono una chiara citazione della nicchia centrale del Pantheon trasformato in chiesa. La conchiglia, detta “nicchio” in toscano, va a formare la nicchia. Ma mentre solitamente è girata verso l’insù, qui appare rovesciata come nell’arco di Giano a Roma.
Leonardo da Vinci, Dodecaedro vuoto, in Luca Pacioli, De divina proportione, tav. XXVIII, f. 105r, 1498, disegno, Milano, Biblioteca Ambrosiana
Il gusto del tappeto viene dal rapporto regolare con l’Oriente del Mediterraneo anche se questo si trova ormai in definitiva mano ottomana. Maometto II conquista Costantinopoli nel 1453 all’età di ventun anni; Gentile Bellini lo ritrae più tardi anche lui appoggiato a un tappeto. Così su tappeti d’Oriente appaiono molte composizioni di area veneziana e adriatica, compresa ovviamente la Madonna e i santi.
Gentile Bellini, Il sultano Maometto II, 1480, olio su tela, cm 69,9×52,1, Londra, The National Gallery
Vittore Carpaccio, Storie di sant’Orsola, Incontro di sant’Orsola con lo sposo, particolare, 1495, olio su tela, cm 200×611, Venezia, Gallerie dell’Accademia
Domenico Ghirlandaio, Madonna col Bambino e santi, particolare, 1483-1484, tempera su tavola, cm 200×191, Firenze, Galleria degli Uffizi
Piero della Francesca, Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il duca Federico II da Montefeltro (Pala di Brera), particolare, 1472-1474, olio e tempera su tavola, cm 248×170, Milano, Pinacoteca di Brera