Rembrandt, Carcassa di un bue macellato, 1635-1640, olio su tavola, cm 73,3×51,7, Glasgow, Kelvingrove Art Gallery and Museum
1606~1669
Rembrandt
Il realismo mistico del Secolo d’oro
Tre furono le grandi rivoluzioni borghesi d’Europa, quella del Duecento comunale italiano, quella parigina, dal 1789 al 1848, e quella di mezzo, che trasformò gli abitanti delle Province Basse d’Olanda in protagonisti della politica e degli affari mondiali. Ognuna di queste accelerazioni dirompenti della Storia comportò una mutazione radicale della comunicazione e, ovviamente, della pittura.
Rembrandt van Rijn nasce nel 1606 e si forma in quel periodo burrascoso della guerra degli Ottant’anni (1568-1648) che nel trattato di Vestfalia porta i Paesi Bassi a essere riconosciuti come Repubblica delle Province Unite finalmente indipendente dagli spagnoli. Era iniziata la rivolta nel 1566 con la battaglia nella quale i Watergeuzen, i “pezzenti di mare”, sbaragliarono le truppe del duca d’Alba, in un’alleanza fra nobiltà locale e popolo, sicché le prime province liberate formarono il nucleo di una piccola nazione nuova e coriacea. Eppure, quel lungo periodo di scontri, fra pace fredda e cannonate, passò alla storia come il Secolo d’oro olandese. Sono gli anni nei quali sorge nel 1602 la prima grande compagnia pubblica di commercio per le Indie Orientali, la Vereenigde Oostindische Compagnie. Ed è l’epoca nella quale nasce – nel medesimo anno di Rembrandt – la prima banca centrale d’Europa ad Amsterdam, la città mutata da paesone in capitale in meno di mezzo secolo per gli arrivi dei rifugiati dalle province meridionali. Cresce nei valori etici una borghesia calvinista che diventa protagonista nella politica europea: per questi mercanti, soldati di mare e di terra, l’agiatezza è la prova della benevolenza divina e la correttezza negli affari un dogma imprescindibile. E l’agiatezza viene senza vergogna vissuta all’interno delle case private come nelle stanze delle associazioni professionali e dei municipi con un tripudio di opere dipinte che esaltano l’etica di una nuova classe sociale egemone, dalle narrazioni ironiche alle nature morte esaltanti, passando da una ritrattistica del quotidiano alla rappresentazione mista dei temi mitologici e delle figure della religione. Se nelle chiese l’immagine viene abolita, nelle sale private la Bibbia trionfa. La teologia riformata dei calvinisti d’Olanda si basa sulla Verbondsleer, la “teologia federale”, che si fonda sull’alleanza fra Dio e uomini come base del principio cristiano, collegando senza soluzione di continuità Abramo a Mosè e a Gesù.
Rembrandt, Autoritratto all’età di trentaquattro anni, 1640, olio su tela, cm 102×80, Londra, The National Gallery
Annibale Carracci, Bottega del macellaio, 1585, olio su tela, cm 185×266, Oxford, Christ Church Picture Gallery
David Teniers, Interno di cucina con natura morta e bue macellato, 1643, olio su tela, cm 33×44, Collezione privata
Rembrandt, Donna che si bagna in un ruscello, 1654, olio su tavola, cm 61,8×47, Londra, The National Gallery
Rembrandt Harmenszoon van Rijn riassume in modo emblematico la sua epoca e ne narra la tensione profonda con tale vigore da essere diventato un simbolo tanto denso da trascenderla e da apparire nella coscienza moderna come il maestro massimo che la rappresenta, equiparabile solo al suo opposto pittorico, che è Vermeer. Due realismi agli antipodi, l’uno concreto e poetico, l’altro mistico e passionale. Se Vermeer dipinge la visione della realtà, Rembrandt dipinge la realtà della visione. Se Vermeer usa costantemente la luce naturale che appare dalla finestra, Rembrandt usa una luce mistica che proviene da una sorgente innaturale. Se Vermeer rappresenta le cose come sono, Rembrandt le fa vedere come lui stesso le sente, lui innegabilmente egocentrico al punto di autoritrarsi costantemente.
Rembrandt, Betsabea con la lettera di Davide, 1654, olio su tela, cm 142×142, Parigi, Musée du Louvre
Infatti, la realtà di Rembrandt, che può apparire oggettiva e vera, talvolta è mistificata. Se i suoi personaggi sono coperti di stoffe inattese è perché lui le raccoglie nel suo studio, se portano caschi apparentemente antichi è perché questi caschi sono veramente antichi e fanno parte della sua avida collezione. Se la luce vibra nel miele dorato è perché così la percepisce lui usando le candele più costose. Da borghese autentico, Rembrandt ama gli oggetti, gli uomini e la luce che li circonda. Per lui la materia è talmente vissuta nella sua realtà immanente da apparire trascendente. E per giunta, la sua pittura è la sua vita stessa, esaltata da giovane, bulimica negli anni del successo, depressa dopo il fallimento economico conseguente alla sua avidità collezionistica.
Rembrandt, Toeletta di Betsabea, 1643, olio su tavola, cm 57,2×76,2, New York, The Metropolitan Museum of Art
Diventa quindi assai interessante, per lo spirito curioso, esaminare un dipinto che appare innegabilmente unico nella sua vasta produzione, il Bue macellato, appeso in una stanza tetra dove una fanciulla curiosa sbircia dal fondo dell’oscurità. Il tema è regolarmente trattato dai suoi colleghi e lo fu già ben prima nella pittura cinquecentesca. Ma, se lui lo affronta, non è certamente per seguire un genere di moda, celebrativo dell’opulenza. Lo racconta con passionale ansia, vi pone la più concentrata della sua pittura di chiaroscuro. E lo ripete ben due volte, in versioni parallele, nelle quali ogni volta appare una giovane figura femminile. Che sia – quella della cameriera che gira attorno al bue appeso – la sua domestica Hendrickje Stoffels, con la quale ebbe una relazione regolare dopo la morte della moglie, dalla quale nacque una figlia proprio in quel 1654 quando pensò alla prima stesura del dipinto, e che fu fortemente redarguita dalla Chiesa della Riforma? Se così può sembrare, il bue squartato non è altro che uno dei suoi tanti autoritratti, il più disperato.
Rembrandt, Autoritratto con cappello rosso, 1660, olio su tela, cm 68×56,5, Stoccarda, Staatsgalerie