Nicolas Poussin, L’ispirazione del poeta, particolare, 1630 ca, olio su tela, cm 182×213, Parigi, Musée du Louvre

Nicolas Poussin, L’ispirazione del poeta, particolare, 1630 ca, olio su tela, cm 182×213, Parigi, Musée du Louvre

 

1594~1665

Poussin

Il sole d’Italia alla corte di Francia

Mai come in epoca del lungo papato di Urbano VIII la relazione fra le cose del mondo e quelle della mente fu così intensa da intrecciare la storia delle arti, della società e della politica. Maffeo Vincenzo Barberini, fiorentino di nascita, avvocato concistoriale di formazione, sale sul trono di Pietro nel 1623 e vi rimane per ventun anni. Formato dai gesuiti fiorentini, fu fatto cardinale a trentotto anni dall’altro papa toscano, Paolo V Borghese, figlio di avvocato concistoriale, che stava riportando Roma alla tranquillità. Era stato preceduto, quest’ultimo, dal pontificato di Leone XI, il fiorentino Alessandro de’ Medici, che era durato solo ventisei giorni e morì di raffreddore dopo essere stato eletto il 1° aprile del 1605 in seguito alla morte di papa Clemente VIII Aldobrandini, pure lui, benché nato a Fano, figlio di un avvocato fiorentino. L’avvocatura toscana stava plasmando lo Stato della Chiesa e ponendo le basi della cultura barocca. Vi era in quegli anni a Roma una potente comunità fiorentina che trovava il suo fulcro naturale nella chiesa nazionale di San Giovanni dei Fiorentini in via Giulia, quella dove venne battezzato Giulio Sacchetti, anche lui di origine toscana, che ebbe la buona idea di introdurre il suo segretario Giulio Mazzarino presso la corte barberiniana, della quale divenne operatore segreto fino al punto di entrare – dopo avere risolto brillantemente il conflitto fra papato, impero e Francia a Casale Monferrato nel 1630 – nelle grazie di Richelieu che se lo portò in Francia, dove trasformò il giovane erede al trono, Luigi XIV, in un perfetto prodotto barocco. Prototipo del nuovo Principe.

Il vero inventore della corte barocca è innegabilmente Urbano VIII Barberini, protettore di Gian Lorenzo Bernini che gli inventa il palazzo in città, quello attorno al quale costruisce il più grande teatro d’Europa, con oltre quattromila posti. Sul finire degli anni venti del Seicento, a Roma si scontrano le influenze francesi e quelle ispaniche, nella politica come negli intrighi e nelle arti: in Spagna Calderón de la Barca sta scrivendo il testo per la rappresentazione scenica di El gran teatro del mundo, mentre a Parigi Rubens realizza, per un’altra fiorentina ancora – Maria de’ Medici diventata regina, vedova di Enrico IV e reggente di Luigi XIII – il ciclo esaltante delle grandi tele per il palazzo del Luxembourg.

La corte barberiniana conta almeno un migliaio di personaggi pagati, dai cuochi agli artisti, dai teatranti ai musici. E se è attiva e operosa quanto le tre api dello stemma di famiglia, andrà pure a irradiare il mondo con il nuovo segno che proviene dai decori del Portale del Sole nel palazzo di Palestrina sui colli romani; lo stesso sole che Pietro Bernini, assistito dal giovane figlio Gian Lorenzo, pone sulla fontana della Barcaccia in piazza di Spagna nel 1629; lo stesso sole, ancora, che l’abile Mazzarino porterà come simbolo al suo figlioccio, Louis Dieudonné, il XIV dei Capeti. Tornato trionfalmente a Parigi dopo la Fronda nel 1652, il re quattordicenne si esibisce in un balletto, voluto da Mazzarino con coreografi italiani coordinati da Giacomo Torelli da Fano e con la musica di Lulli (ancora un fiorentino!): la danza e lo spettacolo durano tutta la notte, la quale viene dissipata all’alba dall’apparire del Sole, il giovane monarca. Il concetto vaticano di Papa omnia potest si è fatto fondamento della nuova monarchia, dove Luigi dichiara “L’État, c’est moi”. Il barocco della corte di Roma sta generando quello di Parigi, che andrà a formare quelli d’Europa, da Dresda a San Pietroburgo.

Pietro Bernini, Fontana della barcaccia, 1626-1629, Roma, Piazza di Spagna

Pietro Bernini, Fontana della barcaccia, 1626-1629, Roma, Piazza di Spagna

Stemma sulla Porta del Sole nelle mura cittadine, XVII secolo, Palestrina

Stemma sulla Porta del Sole nelle mura cittadine, XVII secolo, Palestrina

Pietro Bernini, Stemma del sole, Fontana della barcaccia, 1626-1629, Roma, Piazza di Spagna

Pietro Bernini, Stemma del sole, Fontana della barcaccia, 1626-1629, Roma, Piazza di Spagna

Questa era la Roma che attirava dalla Francia, nel 1624, il giovane normanno Nicolas Poussin proprio grazie al cardinale Barberini, fratello del papa; la Roma che nel 1626 richiamava a corte Claude dalla Lorena, già formato in gioventù nella Penisola, e che negli stessi anni, sempre dalla Lorena, portava a Roma e poi a Napoli i bizzarri pittori Didier Barra e François Didier Nomé. In quella Roma Guercino aveva già lasciato un segno profondo nei primi anni venti del secolo e aveva dipinto per il cardinale Antonio Barberini, uno dei tanti parenti del papa elevati alla porpora, quel prototipo romantico Et in Arcadia ego, il medesimo tema che Poussin riprende nel 1640, dopo averlo affrontato una prima volta nel 1627, come a raccogliere l’intera sua esperienza sotto l’aria dello scirocco lento e umido della campagna romana. Il tema dell’Arcadia ossessiona il secolo, dal primo testo di Jacopo Sannazaro, nel 1605, alla fondazione dell’Accademia dell’Arcadia, nel 1690. La grande tela L’ispirazione del poeta in mezzo a questo percorso, attorno al 1630, ne diventa una sorta di spiegazione: è nella campagna di un Parnaso mitico e domestico al contempo, greco e laziale, in realtà poco montano come invece vorrebbe la tradizione, che la Musa Euterpe, quella della musica e della poesia lirica (e in questo caso probabilmente la moglie appena sposata del pittore), assiste Apollo mentre fa incoronare il poeta. Diventa, il dipinto, un manifesto della classicità ritrovata, dove la pittura dei profili ricorda molto i bassorilievi dell’antichità, ma anche l’altro Parnaso affrescato da Raffaello in Vaticano. E il dipinto di Poussin avrà una sorte all’altezza della sua ambizione: passa nella collezione di Mazzarino a Parigi finché, morto il prelato ministro, verrà a collocarsi nelle raccolte dell’architetto Le Nôtre che lo regalerà a Luigi XIV dove andrà a ricongiungersi alla rimanente eredità del cardinale che trasformò il monarca nel prototipo del barocco politico.

Gian Lorenzo Bernini, Ritratto di papa Urbano VIII, 1631-1632, olio su tela, cm 67×50, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini

Gian Lorenzo Bernini, Ritratto di papa Urbano VIII, 1631-1632, olio su tela, cm 67×50, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini

Nicolas Poussin, L’ispirazione del poeta, 1630 ca, olio su tela, cm 182×213, Parigi, Musée du Louvre

Nicolas Poussin, L’ispirazione del poeta, 1630 ca, olio su tela, cm 182×213, Parigi, Musée du Louvre

Nicolas Poussin, I pastori di Arcadia (Et in Arcadia ego), 1640 ca, olio su tela, cm 85×121, Parigi, Musée du Louvre

Nicolas Poussin, I pastori di Arcadia (Et in Arcadia ego), 1640 ca, olio su tela, cm 85×121, Parigi, Musée du Louvre

Guercino, Et in Arcadia ego, 1618 ca, olio su tela, cm 82×91, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini

Guercino, Et in Arcadia ego, 1618 ca, olio su tela, cm 82×91, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini

Nicolas Poussin, L’ispirazione del poeta, 1628 ca, olio su tela, cm 94×69,5, Hannover, Niedersächsisches Landesmuseum

Nicolas Poussin, L’ispirazione del poeta, 1628 ca, olio su tela, cm 94×69,5, Hannover, Niedersächsisches Landesmuseum

Raffaello, Il Parnaso, particolare, Apollo e le Muse, 1511, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Stanza della Segnatura

Raffaello, Il Parnaso, particolare, Apollo e le Muse, 1511, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Stanza della Segnatura

Il gioco della pittura
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