Andrea Mantegna, La morte della Vergine, 1462 ca, tempera su tavola, cm 54×42, Madrid, Museo del Prado

Andrea Mantegna, La morte della Vergine, 1462 ca, tempera su tavola, cm 54×42, Madrid, Museo del Prado

 

1431~1506

Mantegna

Oltre la loggia

All’epoca sua era considerato un grandissimo. Poi passò in una sorta di oblio quando la corte per la quale lavorò più assiduamente, quella dei Gonzaga di Mantova, fu relegata in un angolo dimenticato della storia, prima con il sacco della città a opera dei lanzichenecchi nel 1630 e poi ancora quando il duca fu dichiarato fellone dall’impero, al quale doveva il titolo, per avere sostenuto la Francia nemica nel 1707 durante la guerra di Successione.

Mantegna era nato figlio di falegname alle porte di Padova e aveva intrapreso la carriera di pittore quando questo mestiere era ancora considerato solo un mestiere. Se si vuol dare retta al Vasari nelle sue Vite, pubblicate cent’anni dopo l’esecuzione delle opere maggiori, non v’è dubbio che la bottega patavina di Francesco Squarcione sia stata una sorta di laboratorio per un’intera generazione di artigiani che stavano diventando protagonisti della pittura nel primo ciclo del Rinascimento. Lì ci si esercitava in “cose di gesso formate da statue antiche, et in quadri di pitture, che in tela si fece venire di diversi luoghi, e particolarmente di Toscana e di Roma”. La bottega dello Squarcione, che lo adotta come un figlio solo per pagarlo meno e con il quale finirà in causa, è una centrale artigianale che segue da vicino le passioni umanistiche e intellettuali dell’epoca. Ma è pure il luogo dove si applicano tutte le ricette recenti della prospettiva inventate nella Firenze del Brunelleschi. Per Mantegna l’impianto compositivo dei dipinti deve d’ora in poi guardare all’infinto, e l’infinito diventa il paesaggio esterno, la luce.

Andrea Mantegna (o Giorgio Campagnola?), Giuditta con la testa di Oloferne, 1495-1500, tempera su tavola, cm 30,1×18,1, Washington, National Gallery of Art

Andrea Mantegna (o Giorgio Campagnola?), Giuditta con la testa di Oloferne, 1495-1500, tempera su tavola, cm 30,1×18,1, Washington, National Gallery of Art

Andrea Mantegna, Giuditta con la testa di Oloferne, 1495-1500, tempera su tela, cm 48,1×36,7, Dublino, The National Gallery of Ireland

Andrea Mantegna, Giuditta con la testa di Oloferne, 1495-1500, tempera su tela, cm 48,1×36,7, Dublino, The National Gallery of Ireland

Il culmine del percorso pittorico avverrà nella decorazione della Camera degli Sposi a Mantova: è forse quello il primo trompe-l’œil della storia della pittura. Tutto avviene come se il muro non fosse tale, anzi si trovasse a essere una loggia aperta in cima alla torre, chiusa da una serie di tendaggi fra i quali spira la brezza estiva. Sul soffitto è praticata una apertura a foro dalla quale penetra la luce e dalla quale guardano giù una serie di putti in bilico che da un momento all’altro rischiano di cadere. Probabilmente sotto la Camera si trovava la cappella, la quale era priva di finestre. Qui l’illusionista pittore ha già compiuto un altro miracolo prospettico: dipinse una tavola, La morte della Vergine, che venne collocata nella cappella del palazzo di Mantova sulla parete chiusa come se invece questa fosse stata una loggia aperta lasciando intravedere lo sfondo del paesaggio vero.

Andrea Mantegna, Camera degli Sposi, Famiglia e corte di Ludovico III Gonzaga, 1465-1474, affresco, Mantova, Palazzo Ducale

Andrea Mantegna, Camera degli Sposi, Famiglia e corte di Ludovico III Gonzaga, 1465-1474, affresco, Mantova, Palazzo Ducale

Andrea Mantegna, Camera degli Sposi, particolare della volta, 1465-1474, affresco, Mantova, Palazzo Ducale

Andrea Mantegna, Camera degli Sposi, particolare della volta, 1465-1474, affresco, Mantova, Palazzo Ducale

Andrea Mantegna, Polittico di San Zeno, Orazione nell’orto, particolare con veduta di città, 1456-1459, tempera su tavola, cm 71×94, Tours, Musée des Beaux-Arts

Andrea Mantegna, Polittico di San Zeno, Orazione nell’orto, particolare con veduta di città, 1456-1459, tempera su tavola, cm 71×94, Tours, Musée des Beaux-Arts

Andrea Mantegna, Camera degli Sposi, L’incontro, particolare di paesaggio con città, 1465-1474, affresco, Mantova, Palazzo Ducale

Andrea Mantegna, Camera degli Sposi, L’incontro, particolare di paesaggio con città, 1465-1474, affresco, Mantova, Palazzo Ducale

La tensione prospettica raggiungerà il massimo della sua forza iconografica nella composizione del Cristo morto che dipinge dieci anni dopo. Quest’attenzione prospettica di Mantegna non è solo dovuta alla visione scientifica che si sviluppa nei suoi anni, ma anche alla potente corrente estetica che vede nella copia dell’antico il passo necessario per la scoperta della plasticità, quella copia che genera i piccoli capolavori delle grisailles a riproduzione dei bassorilievi del passato. Questa citazione perenne si formula in un incrocio di influenze toscane e venete e poi ancora nordiche nelle facce scavate dei personaggi della Dormitio, in quelle sofferte delle pie donne nel Cristo disteso e in quelle pasciute del ritratto di famiglia del marchese Ludovico III sposato con Barbara di Brandeburgo, lei innegabilmente responsabile di una corrente estetica settentrionale. E l’antico sarà l’ossessione forgiante di quella Roma del Nord che è Mantova fino all’arrivo mezzo secolo dopo di Giulio Romano che porterà la prospettiva alle soglie del manierismo, in Palazzo Te, dove l’esterno aereo sui soffitti sarà il cielo del carro del Sole e l’esterno campagnolo l’Olimpo pagano.

Il gioco della pittura
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