
LOTTO E I MISTERI DELLE TARSIE LIGNEE
Le arti non sono necessariamente sempre solo quelle che la storia della pittura ci ha trasmesso. L’immaginario dei nostri antenati rinascimentali era ben più complesso di quello che ritroviamo all’interno delle pinacoteche. L’immaginario voluto dalla Controriforma in poi è quello che sulle pareti delle chiese, nei grandi teleri dei pittori e nello svolazzo delle sculture, serviva alla Propaganda Fide, cioè all’insegnamento immaginifico dei fedeli in sostituzione delle interpretazioni personali dei testi che, come ben aveva dimostrato Lutero con la sua traduzione della Bibbia, rischiavano di essere altamente pericolose. L’Italia da allora e i Paesi di osservanza cattolica in generale optano per un saggio analfabetismo trasversale e popolare che sembra tuttora durare.
In cambio, l’immaginario si plasma in altre direzioni, laddove la mescolanza delle opere assume quell’elegante plurale latino di opus che diventa opera. Da allora l’Italia è patria del melodramma. Nondimeno altri immaginari continuano a evolvere, soprattutto fra i letterati, i privilegiati della struttura sociale e ovviamente il clero avveduto. Un immaginario formidabile è quello conservato nel segreto delle pagine dei codici miniati. Un altro ben più facile da consultare è quello delle tarsie lignee, delle sculture nei cori delle chiese con mirabili esecuzioni di ebanisteria non visibili ai più. Basta pensare alle tarsie dello Studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino di Benedetto da Maiano con le loro inattese magie, oppure a quelle di Santa Maria in Organo a Verona realizzate da Fra Giovanni nell’area discreta e iniziatica della sacrestia. Le tarsie corrispondono a un punto mediano fra le miniature conservate nei libri e destinate solo all’occhio avvertito e le pitture destinate a tutti. Le tarsie hanno il diritto di contenere i segreti che gli iniziati possono conoscere. Ecco perché i corpi geometrici di Luca Pacioli, raccolti in un esemplare unico che Leonardo destinò al duca di Milano, si ritrovano a uso del clero informato a Verona. Di tutti i cicli il più intrigante è innegabilmente quello di Lorenzo Lotto a Bergamo, in Santa Maria Maggiore. Lotto è un artista che oggi potremmo definire anarchico. Contrariamente ai rinnovatori della pittura veneziana che sono per lo più uomini di terra che portano in laguna una sensibilità nuova e meno astratta di quella quattrocentesca dei maggiori protagonisti passati, uomini terrigni come Tiziano e Paolo Veronese, Lotto è un oriundo veneziano che se ne andrà a celebrare la propria indipendenza ai confini estremi, quelle terre appena conquistate della bergamasca o quei luoghi d’un altro mondo che sono le Marche. Lotto è alternativo ed eretico e lo è pure in quella sua pittura, apparentemente più popolare di quella dei concorrenti ma in realtà più protestataria e talvolta quasi protestante. Eretico dello stile e dei cromatismi, conservatore nella sua passione per le velature alla Bellini e il suo diniego per la nuova passione degli impasti tanto cari agli uomini di terraferma, troverà nella commessa bergamasca uno spazio di libertà estrema. È forse per questo motivo che, così come nelle Marche inventerà i cromatismi vivaci quasi già manieristi, a Bergamo pone le basi per Walt Disney. Ma per nulla è banalizzante il suo percorso; mantiene ambiti misterici che tuttora appaiono decifrabili solo agli iniziati, come nell’Allegoria della Virtù e del Vizio.

Benedetto da Maiano, Tarsia con un leggio, particolare, 1465 ca, Urbino, Palazzo Ducale, Studiolo di Federico da Montefeltro

Giovanni da Verona, Tarsia con armadio aperto, particolare, 1494-1499, tarsia lignea, Verona, Santa Maria in Organo

Dodecaedro vuoto (da un disegno di Leonardo), in Luca Pacioli, De Divina Proportione, 1498, disegno, Milano, Biblioteca Ambrosiana

Lorenzo Lotto, Allegoria della Virtù e del Vizio, 1505, olio su tavola, cm 56,6x42,2, Washington, National Gallery of Art