Leonardo, l’anarchico pitagorico

Narcisista, individualista, curioso, sperimentatore, geniale, rivoluzionario, insofferente alle regole. Artista, uomo di scienze, letterato, inventore, ingegnere. E soprattutto intimamente anarchico, capace di criticare tutto e tutti e persino di inventare un mito, il suo, in cui tutti noi ancora oggi crediamo.

Leonardo da Vinci: è lui l’uomo barbuto che appare nella Scuola di Atene di Raffaello, nei panni del grande filosofo Platone. Era probabilmente un giovane bello e alternativo quando, nel 1469, andò a lavorare nello studio di Andrea del Verrocchio, in una Firenze dove gli intellettuali umanisti dominavano sugli artisti e indicavano loro ciò che dovevano dipingere, a tal punto che questi poveretti accumulavano ogni tipo d’immagine.

A guardare con occhio franco il Battesimo di Cristo del Verrocchio, al quale collabora il giovane Leonardo quando ha poco più di vent’anni, viene in mente un’idea incredibile: a Firenze il Manierismo è sempre esistito. I volti e i paesaggi hanno già qualcosa di morbido e leonardesco forse, ma la palma che sembra di gomma e la veste di stralusso che fa da perizoma al Cristo sono tutt’altra cosa.

Tipo bizzarro e particolare, figlio di un grande notaio della Repubblica, poco incline allo studio, con risultati pessimi in latino e nessuna inclinazione per la matematica, Leonardo fu costretto (o quantomeno invitato) dal padre a far cosa che lui poteva fare, cioè lavorar con le mani. In quella bottega del Verrocchio in realtà Leonardo stava remando contro da parecchio tempo. Contro una pittura carica di intellettualismi neoplatonici e contro il metodo della prospettiva, che dominavano ormai tutti gli artisti, per farne qualcosa d’altro. Per esempio, la prospettiva nel dipinto dell’Annunciazione si percepisce corretta solo guardandola dal basso a destra. E rispetto agli accumuli di personaggi dei suoi colleghi, qui tutto avviene con il minimo delle presenze: l’angelo e la Vergine. Leonardo è certo che la semplicità della composizione consenta la genesi di un’inattesa poesia.

Una decina d’anni dopo, con l’Adorazione dei Magi, del 1481-1482, il percorso anarchico è quasi compiuto. Leonardo butta in aria tutte le regole ordinate dei suoi colleghi e inventa un dipinto che contiene di tutto, come se già fosse uno dei suoi taccuini di appunti. Magi adoranti che sembrano vecchiacci terribili, una Vergine che pare già nelle rocce, cavalli folli in giro per un paesaggio inatteso e architetture catastrofiste da cinema hollywoodiano. Non c’è più nulla da fare, gli tocca andar via da Firenze. I colleghi più ubbidienti sono andati a Roma a lavorare per Sisto IV nella Cappella Sistina. Lui, no. Perché è troppo intemperante, ama troppo la sperimentazione, non è un esecutore ma un inventore. A Roma finiscono Botticelli, Perugino, Signorelli e altri validissimi artisti (ma anche artigiani). Il papa voleva impiegare una ditta di pittori che, senza troppe alzate d’ingegno, gli garantisse un lavoro perfetto nei tempi e nei modi stabiliti. Nessuna stravaganza, nessuna anarchia.

È per questo che Leonardo non viene chiamato a Roma, ed è anche per questo che, mi permetto di insinuare, se pure l’avessero chiamato lui non ci sarebbe mai andato: non era quello il suo mestiere. E così, Lorenzo de’ Medici lo impacchetta e lo spedisce al suo grande amico Ludovico il Moro.

Verrocchio e Leonardo,Battesimo di Cristo, 1475-1478 ca, olio e tempera su tavola, cm 177

Verrocchio e Leonardo, Battesimo di Cristo, 1475-1478 ca, olio e tempera su tavola, cm 177x151, Firenze, Galleria degli Uffizi

Leonardo,Annunciazione, 1472-1475 ca, olio e tempera su tavola, cm 98

Leonardo, Annunciazione, 1472-1475 ca, olio e tempera su tavola, cm 98x217, Firenze, Galleria degli Uffizi

Un nuovo modo di vedere le cose

Leonardo arriva a Milano in realtà come musico, inventore di stramberie, di feste e di giochi, come pure di curiose macchine belliche, ma sta già sviluppando un suo carattere preciso.

Primo punto, la questione della prospettiva va ridiscussa alla radice: quando guardo un quadro perfettamente equilibrato secondo le regole della prospettiva, succede un fatto clamoroso, non mi sembra reale. Alla questione lineare se ne aggiungono sicuramente delle altre: fra un oggetto vicino e uno più lontano, quello lontano lo vedo di certo più confuso di quello che ho davanti. L’aria gioca un suo ruolo. La figura umana gioca in un ambito di morbidezza che l’architettura non richiede. Leonardo chiama questo fenomeno visivo “prospettiva di notizia”, perché “diminuisce la notizia delle figure e termini che hanno essi corpi in varie distanzie”.

Leonardo,Adorazione dei Magi, 1481-1482, olio su tavola, cm 246

Leonardo, Adorazione dei Magi, 1481-1482, olio su tavola, cm 246x243, Firenze, Galleria degli Uffizi

Leonardo andrà a collezionare i libri che parlano dell’argomento. Anzi per un uomo della sua epoca, così poco incline a leggere il latino, è stato un grande raccoglitore di volumi, ne aveva circa centocinquanta.

Nei suoi appunti, nei suoi Codici, appaiono varie ipotesi attorno al concetto di prospettiva: quella di notizia, abbiamo visto, quella di spedizione e quella di colore. Ma soprattutto si pone una questione di fondo dove ancora una volta la lezione materiale sperimentale va a contraddire la teoria: la prospettiva non può finire in un punto unico (punto di fuga) poiché l’occhio non è un punto ma una grande lente. Tanti punti e tanti razzi (linee di visione che arrivano all’occhio) andranno a finire in questa lente e si svilupperanno secondo la sua forma. Inoltre, di occhi ne abbiamo ben due e un oggetto posto davanti a noi lo vedremo con entrambi, cioè in modo stereoscopico. È la fine di un’astrazione teorica e l’inizio di una rilettura materiale della visione basata sulla sperimentazione diretta dei fenomeni.

Punto due, Leonardo non si sente un meccanico: “Certo se i pittori fussino atti a lodare con lo scrivere l’opere loro come voi io dubito non giacerebbe in sì vil cognome”. Ma perché mai il futuro ingegnere non vuole essere un meccanico? Per un motivo serio: la cultura di quegli anni prevede da un lato le Arti liberali, quelle che preparano allo studio della legge e alla vita civile dell’intelletto. Si fondano sul Trivio, cioè lo studio della grammatica, della retorica e della dialettica, l’articolazione del parlare quindi, e sul Quadrivio che comprende lo studio dell’aritmetica, della geometria, dell’astronomia e della musica. Solo successivamente ci si aprirà anche alla medicina e all’architettura: tutta roba, comunque, che si fa senza usare le mani. Le robe manuali sono le Arti meccaniche, che vanno dal pensare le macchine per il volo fino al far pittura, scultura e oreficeria. Questa distinzione sta alla radice di quello che si dice a Botticelli per farlo dipingere, ed è ciò che Leonardo proprio non tollera. Perché, dice lui: “Con le mani si figura quel che si trova nella fantasia”.

Terzo punto, la pittura prima di tutto: “Il pittore è padrone di tutte le cose che possono cadere in pensiero all’uomo, perciò che se egli ha desiderio di vedere bellezze che lo innamorino egli è signore di generarle e se vuol vedere cose mostruose che spaventino o che siano buffonesche o risibili o veramente compassionevoli ei ne è signore e creatore” (dal Trattato della pittura). Anche il pittore è uomo vitruviano, anzi forse lo è più degli altri: lui è la vera copula mundi.

Leonardo a Firenze lascia incompiuto il suo lavoro, oltre all’Adorazione dei Magi, anche il San Gerolamo, geniale nell’impostazione da cinema, dove il santo è un duro vecchiaccio di campagna, il leone è da circo e il paesaggio è concepito secondo nuovi parametri. Il tutto in una elaborazione così lunga e pensata, da non potersi mai terminare.

La National Gallery, a Londra, custodisce due capolavori di Leonardo. Uno di questi è la Vergine delle rocce, la seconda versione del primo lavoro che lui realizza appena arriva a Milano, per i francescani dell’Immacolata Concezione. La prima versione, quella del Louvre, viene dipinta su indicazione precisa dei contenuti, perché il tema teologico è all’ordine del giorno e i francescani ne sono i principali sostenitori. Lui ovviamente non riesce ad adeguarsi e disobbedisce. La seconda è più corretta, il Bambino Gesù gioca un ruolo centrale e l’angelo non commette più l’errore d’indicare come protagonista il giovane Giovanni Battista. Sono fenomenali e fiamminghi i fiori in primo piano, un po’ come se lui in quegli anni fosse al telefono regolarmente con Dürer che fa lo stesso lavoro nel mondo tedesco. L’atmosfera che esiste fra la mano della Madonna e la faccia dell’angelo è totalmente misteriosa. Ma la cosa che mi colpisce più di ogni altra è il fondo, che ci appare sfumato secondo i nuovi principi di prospettiva, quella che lui definisce aerea, in quelle due aperture nella roccia dove si guarda oltre. Questo dipinto dimostra che la prospettiva non ha una linea di fuga unica, sono due i punti dove l’occhio vaga, a destra e a sinistra della Vergine. Una curiosa atmosfera sospesa, un paesaggio totalmente inatteso e silente.

Leonardo,Codice di Anatomia,Studio di proporzioni del volto e dell’occhio, 1512, cm 29,2

Leonardo, Codice di Anatomia, Studio di proporzioni del volto e dell’occhio, 1512, cm 29,2x19,8, Torino, Biblioteca Reale

 

Leonardo,Codice di Anatomia,I muscoli delle spalle, 1510-1511, cm 29,2

Leonardo, Codice di Anatomia, I muscoli delle spalle, 1510-1511, cm 29,2x19,8, Windsor Castle, Royal Library, The Royal Collection

 

Leonardo,San Gerolamo, 1480 ca, tempera e olio su tavola, cm 103

Leonardo, San Gerolamo, 1480 ca, tempera e olio su tavola, cm 103x75, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana

 

Leonardo,Vergine delle rocce, 1483-1486, olio su tavola, cm 199

Leonardo, Vergine delle rocce, 1483-1486, olio su tavola, cm 199x122, Parigi, Musée du Louvre

 

Leonardo,Vergine delle rocce, 1495-1508 ca, olio su tavola, cm 189,5

Leonardo, Vergine delle rocce, 1495-1508 ca, olio su tavola, cm 189,5x120, Londra, The National Gallery

 

Leonardo,Vergine delle rocce, particolare, 1495-1508 ca, olio su tavola, Londra, The National Gallery

Leonardo, Vergine delle rocce, particolare, 1495-1508 ca, olio su tavola, Londra, The National Gallery

L’altra opera alla National Gallery è il cartone della sant’Anna, definito dai suoi forellini necessari a trasferire il disegno su un altro supporto, ma che poi non è mai stato utilizzato. Racconta ovviamente la storia della famigliola della Madonna e di sant’Anna e dei bambini, Gesù e Giovanni. Il disegno prende forma lentamente, si è evoluto su se stesso, ma parte da alcuni dettagli molto bizzarri. È un gesto puramente vigoroso e che non vuole affatto definire il tutto, ma solo il peso e il volume. Il dito è giusto accennato perché è volume, come il piede, ma lì dove si formano i volti si capisce che il disegno di Leonardo nasce dalla materia, dal progetto della materia, e non banalmente dal segno. Questo grande disegno è dei suoi anni maturi agli albori del Cinquecento; tutta la sua tecnica è già risolta.

Leonardo,Sant’Anna Metterza, 1501 (?) – 1505 ca, gessetto nero e biacca su carta, cm 141,5

Leonardo, Sant’Anna Metterza, 1501 (?) – 1505 ca, gessetto nero e biacca su carta, cm 141,5x104, Londra, The National Gallery

L’Ultima Cena e altre beffe

Ma torniamo a Milano negli anni dei primi grandi successi, quelli del Ritratto di Cecilia Gallerani, La Dama con l’ermellino, la ragazza del principale, Ludovico il Moro, e quelli ovviamente della sua fatica più nota: l’Ultima Cena, attualmente rinchiusa in una sorta di acquario che ne garantirà la conservazione eterna, almeno di ciò che ne rimane restaurato.

Il grande refettorio dell’ex convento adiacente al Santuario di Santa Maria delle Grazie è oggi vuoto, ma ci spiega una cosa fondamentale: quando Leonardo va a dipingere la grande parete di fondo, nota al mondo intero, siamo intorno al 1495, stesso anno dell’opera di fronte, la Crocifissione di Donato Montorfano. Il Cenacolo è quindi uno spazio dove due grandi dipinti si guardano, l’uno in faccia all’altro, e dove chi lì consumava quotidianamente il pasto non era affatto un visitatore, ma era un serio domenicano seduto in mezzo ai suoi confratelli.

Leonardo,Ritratto di Cecilia Gallerani (La Dama con l’ermellino), 1488-1490, olio su tavola, cm 54,8

Leonardo, Ritratto di Cecilia Gallerani (La Dama con l’ermellino), 1488-1490, olio su tavola, cm 54,8x40,3, Cracovia, Museo Czartoryski

Leonardo,Ultima Cena, 1494-1497, tempera e olio su intonaco, Milano, Cenacolo Vinciano

Leonardo, Ultima Cena, 1494-1497, tempera e olio su intonaco, Milano, Cenacolo Vinciano

Hanno un elemento in comune questi due grandi dipinti: sono entrambi la negazione dei dettami estetici quattrocenteschi legati alla passione per la prospettiva. Il dipinto di Montorfano è talmente pieno di roba che la prospettiva si perde. Leonardo darà invece un esempio di come si può immaginare un mondo completamente diverso, non con migliaia di persone, ma con gruppi ordinati di tre apostoli alla volta e con un ordine prospettico tanto cerebrale da andare oltre il rigore di Brunelleschi, perché il punto di fuga non corrisponde all’occhio dello spettatore, ma è concettuale e corrisponde alla centralità della testa di Cristo. È lui che guarda l’osservatore e non il contrario. Infatti solo da spettatore il disegno mi convince, non il mio istinto. Il fondo è sfumato, i personaggi più precisi, la natura morta precisissima quanto la tovaglia, perché è in primo piano.

Donato Montorfano,Crocifissione, 1495, affresco, Milano, Cenacolo Vinciano

Donato Montorfano, Crocifissione, 1495, affresco, Milano, Cenacolo Vinciano

La Crocifissione del Montorfano è un riassunto quasi germanico o comunque nordico degli ultimi temi del Medioevo, arricchiti però da una serie di personaggi che sono già moderni. Quelli di Leonardo sono storicamente transgenici, vestono una veste storica improbabile ma comunque con la volontà di rappresentare il passato.

La parte centrale del Montorfano è una sorta di Gerusalemme mitica e ignota che sembra in realtà il castello di Milano. L’Ultima Cena invece corrisponde con precisione alla descrizione di Varrone e ai testi sacri. Leonardo sa che il cenacolo è al primo piano alto della casa romana, luogo che si prende in affitto perché la famiglia di solito mangia nel triclinium, che è a pian terreno. Ha già imparato dall’amico Bramante a dare una prospettiva a Milano: lo straordinario trompe-l’oeil di San Satiro, realizzato da Bramante nel 1483, ne è un bell’esempio, dove la prospettiva vuole dare l’illusione di portare lo sguardo oltre l’architettura vera e propria.

Montorfano è così convinto della sua qualità che firma clamorosamente l’opera sotto la croce. Leonardo è talmente dubbioso del rapporto con il pubblico che non firma l’opera. Oppure forse è troppo famoso. Comunque, al dipinto di Montorfano sono state aggiunte quattro figure, il duca e suo figlio, la duchessa e la figlia. Le ha aggiunte Leonardo? Oppure un suo aiutante? Non si sa, sicuramente sono state aggiunte con la stessa tecnica che è evaporata. Perché il Cenacolo sperimentale, come i tre quarti dei lavori di Leonardo, è stato condannato anche lui all’evaporazione. È stato recuperato per il rotto della cuffia grazie a un restauro durato quasi trent’anni.

Leonardo,Ultima Cena, particolare, 1494- 1497, tempera e olio su intonaco, Milano, Cenacolo Vinciano

Leonardo, Ultima Cena, particolare, 1494-1497, tempera e olio su intonaco, Milano, Cenacolo Vinciano

Montorfano vuole rappresentare il mito, la storia o il mistero. Leonardo non vuole affatto più essere fiorentino, non vuole rappresentare nessuna idea astratta. Il suo è un dipinto convinto della realtà e altri misteri non ci sono, perché gli elementi qui presenti sono stati decisi tutti seriamente con il Capitolo dei domenicani che aveva qui il suo refettorio. Oppure Leonardo, il vero anarchico costretto per la prima volta al rigore iconografico, in barba alle stupide allusioni del Codice da Vinci, ha deciso di dipingere con l’equivalente di un inchiostro simpatico, forse sapendo che lentamente l’opera sarebbe scomparsa, il colore pure, e nella nostra memoria avrebbe lasciato lui solo la sensazione del disegno perfetto d’una beffa. Motivo vero del sorriso super sfumato della Gioconda e dell’altra beffa di Marcel Duchamp.

Leonardo,La Gioconda, particolare, 1503-1504 e 1510-1515, olio su tavola, cm 77

Leonardo, La Gioconda, particolare, 1503-1504 e 1510-1515, olio su tavola, cm 77x53 (intero), Parigi, Musée du Louvre

A spasso tra i Codici

Tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento, in quel di Firenze ma non solo, era acceso il dibattito fra idealisti neoplatonici, capitanati da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, e aristotelici, detti “notomisti”: quelli che studiavano il corpo, i suoi movimenti, il suo interno, e si interrogavano sul funzionamento stesso dell’universo. Leonardo sarà sempre più vicino a questi ultimi: non è uno scienziato ma uno sperimentatore, un empirico ante litteram.

È un’individualista totale, a tal punto che, quando si accorge di esser mancino, invece di scrivere da sinistra a destra decide di scrivere da destra a sinistra, simmetrico, perché i gesti sono gli stessi. La sua non è una scelta esoterica, ma pratica, come in tutto il suo lavoro. Infatti, i quadri da vendere li firma in modo comprensibile per il cliente. Anche le carte topografiche sono scritte in modo che gli altri le possano leggere. I suoi appunti no, perché sono totalmente personali. Sono appunti per non dimenticare, per elaborare, per ricordare le gag che farà in pubblico, e sono appunti dai quali appare la sua psiche fino in fondo, ivi compresa quella curiosa passione per la matematica, dove ama più la retorica dei numeri che la precisione del pensiero.

Leonardo,La colonna vertebrale, 1510-1511 ca, penna e inchiostro con acquerello su gessetto nero, cm 28,6

Leonardo, La colonna vertebrale, 1510-1511 ca, penna e inchiostro con acquerello su gessetto nero, cm 28,6x20, Windsor Castle, Royal Library, The Royal Collection

 

Leonardo,Il feto e i muscoli delle pelvi, 1511 ca, penna e inchiostro su gessetto rosso e nero, cm 30,4

Leonardo, Il feto e i muscoli delle pelvi, 1511 ca, penna e inchiostro su gessetto rosso e nero, cm 30,4x21,3, Windsor Castle, Royal Library, The Royal Collection

 

Leonardo,Falcate e operazioni aritmetiche, Codice Atlantico, 1478-1519, cm 64,5

Leonardo, Falcate e operazioni aritmetiche, Codice Atlantico, 1478-1519, cm 64,5x43,5, Milano, Biblioteca Ambrosiana

 

Leonardo,Studi per il Monumento Trivulzio, 1508-1510 ca, penna e inchiostro, cm 28

Leonardo, Studi per il Monumento Trivulzio, 1508-1510 ca, penna e inchiostro, cm 28x19,8, Windsor Castle, Royal Library, The Royal Collection

Leonardo è un artista; ogni foglio è pronto a essere incorniciato e i Codici che ne derivano pure, ma è anche ingegnere, uomo di scienza, inventore, l’uomo della infinita quantità di codici. Se gli artisti suoi colleghi hanno lasciato molti dipinti e pochi appunti, in alcuni casi dei libri, lui ha lasciato una quantità infinita di appunti che si portava appresso costantemente e che oggi sono diventati un mito. Codici come cimeli o reliquie sparse nel mondo.

Passiamo brevemente in rassegna alcuni dei suoi fogli che ci rivelano tutta la sua curiosissima psiche. È espressionista fino all’inverosimile quando immagina il monumento a Trivulzio, come se fosse lui un pittore del XIX secolo. Tripudio di robe equestri, dove si va ben oltre la ricerca della naturalezza del movimento, si entra nel gusto della contorsione.

Nel progetto per il famoso cavallo dello Sforza troviamo tutti gli studi per la fusione del cavallo, visti nel loro ultimo dettaglio, alcuni con delle sue annotazioni assolutamente naturali e altre che mi incuriosiscono in modo particolare, perché se tutti i cavalli stanno su tre zampe o sulle due posteriori con le due anteriori alzate, lui deve andare oltre, e farà tenere alzato un anteriore destro e un posteriore sinistro, quindi con difficoltà di stabilità assolute. Anche qui una sfida.

Leonardo,Studio di cavallo e cavaliere, 1480-1481, cm 12

Leonardo, Studio di cavallo e cavaliere, 1480-1481, cm 12x7,8, Collezione privata

Leonardo,Espressioni di rabbia in cavalli, leoni e in un uomo, 1503-1504 ca, penna e inchiostro con acquerello e gessetto rosso, cm 19,6

Leonardo, Espressioni di rabbia in cavalli, leoni e in un uomo, 1503-1504 ca, penna e inchiostro con acquerello e gessetto rosso, cm 19,6x30,8, Windsor Castle, Royal Library, The Royal Collection

In tutta la sua esperienza d’indagine sul mondo rimane centrale l’idea umana dell’Umanesimo, fino ad arrivare all’Uomo vitruviano che, per un narcisista come lui, sembra essere il suo autoritratto.

Dal Medioevo Leonardo eredita tutta la visione delle allegorie, ben lontane da quelle botticelliane. Fiori che possono sembrar chiome e piante invece descritte con la scientificità di un erbario.

E poi continuamente, su decine e decine di fogli, si ritrova l’idea ossessiva e geniale del volo.

Leonardo,Disegno botanico,stella di Betlemme, anemone ed euforbia, 1505-1510, cm 28

Leonardo, Disegno botanico, stella di Betlemme, anemone ed euforbia, 1505-1510, cm 28x19,8, Windsor Castle, Royal Library, The Royal Collection

Leonardo,Codice Atlantico,Studi di macchine volanti, 1478-1519, cm 28

Leonardo, Codice Atlantico, Studi di macchine volanti, 1478-1519, cm 28x40, Parigi, Bibliothèque Nationale de France

 

Leonardo,Codice Atlantico,Velivolo, 1478-1519, cm 64,5

Leonardo, Codice Atlantico, Velivolo, 1478-1519, cm 64,5x43,5, Milano, Biblioteca Ambrosiana

Interessato alla natura, anche a quella domestica di un gatto o di animaletti che giocano fra loro, Leonardo è capace di guardare anche un bambino come un gattino. Pezzi di ricambio per bambini Gesù. Perché la realtà sta nella infinita indagine sulla natura e quindi anche su quella del corpo umano.

Credo che sia fondamentale, per capirlo fino in fondo, vedere queste pagine fatte solo per sé medesimo, dove la ricerca estetica è totale, l’equilibrio dei disegni va a braccetto con la perfezione della calligrafia, quella speculare.

Esteticamente perfetto, teoricamente contorto, curioso all’inverosimile, Leonardo è molto più che ingegnere, è il primo modello dell’artista onnivoro, quello che esalta all’ultimo grado la sua personalità. È il primo dei temibili e terribili uomini della modernità, ma con le radici ancorate al meglio del pensiero medioevale.

Leonardo,Due teste di animali mostruosi, 1490-1495 ca, penna e inchiostro su gessetto nero, cm 13,8

Leonardo, Due teste di animali mostruosi, 1490-1495 ca, penna e inchiostro su gessetto nero, cm 13,8 x17,4, Windsor Castle, Royal Library, The Royal Collection

Leonardo,Gatti, leoni e un drago, 1513-1516 ca, penna e inchiostro con acquerello su gessetto nero, cm 27

Leonardo, Gatti, leoni e un drago, 1513-1516 ca, penna e inchiostro con acquerello su gessetto nero, cm 27x21, Windsor Castle, Royal Library, The Royal Collection