
LE STATUE CLASSICHE E IL NON-FINITO
Attraverso alcune opere classiche che Michelangelo deve certamente aver visto durante il suo soggiorno romano, per esempio le statue di Antinoo, lo sfortunato amante dell’imperatore Adriano, possiamo indagare sulla provenienza dalla classicità del non-finito michelangiolesco. La prima testa è una versione di lusso, con una capigliatura fantastica avvolta in tralci di vite e lavorata tutta sottosquadra. In un secondo busto è invece una versione così fresca e lucida da sembrare addirittura cinquecentesca. Ma non vi è dubbio che sia antica, perché prevede la visione da sotto che il Rinascimento abolisce, come si vede nelle probabilmente numerose copie in bronzo che ne vennero fatte nel XVI secolo. In alcune repliche, per così dire “industriali”, dove era prevista la coloritura della chioma, i capelli venivano stuccati e dipinti d’oro e non richiedevano quindi la finitura perfetta del marmo. Una volta perduta la finitura e lo stucco, il Rinascimento ritrova statue archeologiche e bianche. Lo spettatore era illuso da ciò che in realtà era un semilavorato. L’exemplum antico era solo una sorta di ectoplasma dell’antichità che ingannava la percezione.
Michelangelo di sicuro ha visto esemplari simili e per lui questi dovevano essere gli esempi esatti dell’antico che di fatto legittimavano il suo senso del non-finito. Visti questi modelli, il non-finito diventa il linguaggio comportamentale della sua creatività.

Busto di Antinoo, metà del II secolo d.C., marmo, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Pio Clementino

Guglielmo Della Porta, Antinoo come Dioniso, secondo quarto del XVI secolo, bronzo, Napoli, Palazzo Reale

Busto di Antinoo, metà del II secolo d.C., marmo, altezza cm 81, Collezione privata

Antinoo Farnese, 130-138 d.C., marmo, altezza cm 200, Napoli, Museo Archeologico Nazionale

Antinoo Farnese, particolare della capigliatura