Tutte le strade portano a Firenze

Il Quattrocento è una macedonia estetica, percorre tante strade e ci lascia migliaia di percorsi interpretativi che tutti tendiamo a superare perché sedotti fino in fondo dal grande equilibrio dell’arte fiorentina.

Il Quattrocento inizia con il pensiero matematico e si conclude con le stravaganze creative di Leonardo da Vinci: è un secolo in cui si diventa maniaci della geometria euclidea e dello studio degli antichi. Nel 1469 Leonardo, a Firenze, entra nella bottega del Verrocchio e se ne andrà verso Milano nel 1482; sempre nel 1469 Lorenzo diventa signore di Firenze e iniziano i vent’anni del Magnifico. Gli anni settanta sono straordinari per l’arte: Mantegna termina la Camera degli sposi e inizia il Cristo morto; Bellini dipinge la Pala di Pesaro; Piero della Francesca la Madonna di Senigallia e Antonello da Messina il San Gerolamo e poi il San Sebastiano. Ma arriva anche a Firenze in quegli anni il primo capolavoro fiammingo tutto all’olio di Hugo Van der Goes, il Trittico Portinari, mentre Botticelli inizia la Primavera. Una sequela di capolavori, quasi come negli anni Dieci del XX secolo. Vittoria dell’arte e dell’Umanesimo? Presa del potere dell’arte e degli intellettuali? Niente affatto, la questione ha una radice storica molto più complessa.

Il secolo inizia nel disordine dello Scisma d’Occidente, ci sono addirittura tre papi contemporaneamente: uno da parte del Sacro Romano Impero, uno che rappresenta Roma e uno, che potremmo dire dei francesi, che sta ad Avignone. Il pasticcio è inarrestabile, l’Europa è rotta. L’imperatore Sigismondo di Lussemburgo decide di organizzare un concilio a Costanza che durerà dal 1414 al 1418. Il risultato è eccellente: si brucia subito Jan Hus, l’eretico di Praga, e poi si riesce a eliminare i tre papi uno dopo l’altro e a eleggerne uno solo, Martino V, il romano e risoluto Oddone Colonna. Il nuovo papa esce da Costanza, fa il giro di tutti i potenti d’Italia finché arriva a Roma a ristabilire il potere. Nel 1431 Martino V vuole concludere il cammino intrapreso: avendo risolto lo Scisma d’Occidente affronta ora lo Scisma d’Oriente, quello che dura da secoli. Decide di convocare un altro concilio a Basilea. Progetto ambizioso visto che il turco incalza.

Maestro della Vita della Vergine, Crocifissione, particolare con il ritratto di Nicola Cusano, 1460-1465, olio su tavola, Kues, cappella dell’Ospizio di San Nicolò

Maestro della Vita della Vergine, Crocifissione, particolare con il ritratto di Nicola Cusano, 1460-1465, olio su tavola, Kues, cappella dell’Ospizio di San Nicolò

 

Pinturicchio,Scene della vita di Pio II: atto di sottomissione al pontefice Eugenio IV a nome di Federico III, 1503-1508, affresco, Siena, Duomo, Libreria Piccolomini

Pinturicchio, Scene della vita di Pio II: atto di sottomissione al pontefice Eugenio IV a nome di Federico III, 1503-1508, affresco, Siena, Duomo, Libreria Piccolomini

 

Benozzo Gozzoli,Corteo dei Magi, particolare con il ritratto di Gemisto Pletone, 1459-1460, affresco, Firenze, Palazzo Medici-Riccardi, cappella dei Magi

Benozzo Gozzoli, Corteo dei Magi, particolare con il ritratto di Gemisto Pletone, 1459-1460, affresco, Firenze, Palazzo Medici-Riccardi, cappella dei Magi

Nikolaus von Kues, matematico di Padova e teologo di Colonia, se ne va in Grecia a studiare il caso politico, ma torna con le pive nel sacco e tutto ciò che può fare è diventare Nicola Cusano (e imparare il greco). Scettico sull’ipotesi di riunificazione è anche Georgios Gemistos, che insegna il greco a Padova e poi verrà a Firenze con il nome di Gemisto Pletone.

Ma appena iniziato il concilio Martino V muore, il suo successore è Gabriele Condulmer che diventa Eugenio IV. Da veneziano autentico lui ha una sensazione precisa di Costantinopoli e del pericolo turco. Rilancia nel 1437 il Concilio di Basilea, che però si apre nel pieno caos, perché a Basilea Eugenio IV non piace, così il veneziano decide di spostare il concilio a Ferrara e poi, nel 1439, a Firenze.

Firenze e il caso Leon Battista Alberti

Cosimo il Vecchio, il padrone banchiere della repubblica, capisce che se il papa vuole riportare il potere vero della chiesa a Roma, Firenze la guelfa ha una carta da giocare importantissima. Firenze sarà la nuova Atene greco-latina d’Europa. Personaggio chiave è Marsilio Ficino. Traduce Platone ma soprattutto Plotino, l’inventore del neoplatonismo durante il III secolo d.C. ad Alessandria. Firenze diventa grecomane. E con il concilio torna a Firenze un esule che aveva fatto strada a Roma, Leon Battista Alberti, prete e grande responsabile per la Curia degli archivi, quelli dove entra in contatto con la romanità antica che esisteva ancora e che consentiva alla nuova Roma, una nuova gloria.

Sono gli anni nei quali l’intervento geniale della cupola del Brunelleschi obbliga la città di Firenze a decorare tutto l’edificio e a inventare una serie di immagini completamente innovative nell’architettura. Ma mentre Brunelleschi è un capomastro che da muratore abile inventa un mondo nuovo, il caso Alberti è abbastanza curioso e ricorda per un certo verso il Petrarca. Nasce esattamente cento anni dopo di lui, nel 1404, e avrà una vita errabonda con delle curiose similitudini. Discende da un’ottima famiglia, signori della zecca nel Trecento e sostanzialmente banditi dalla città nel Quattrocento; cresce fra Padova e il nord Italia e si laurea a Bologna, così che la sua estraneità a Firenze sarà anche la sua fortuna. Come Petrarca, scoprirà nell’antichità i rimedi ai tempi correnti.

In casa Alberti è ancora oggi conservata la bolla con la quale Eugenio IV sposta il defunto Concilio di Basilea prima a Ferrara e successivamente a Firenze, emanata a Bologna nel 1437. Che il documento, la dichiarazione dei diritti dell’Umanesimo, l’inizio ufficiale della svolta, sia rimasto in possesso dell’Alberti, la dice lunga sulla sua assoluta autorevolezza: è una vendetta contro una Firenze che aveva cacciato la sua famiglia.

Leonardo,Ritratto di musico, 1485 ca, olio su tavola, cm 43

Leonardo, Ritratto di musico, 1485 ca, olio su tavola, cm 43x31, Milano, Pinacoteca Ambrosiana

 

Pontormo,Ritratto di Cosimo il Vecchio, 1519-1520, olio su tela, cm 90

Pontormo, Ritratto di Cosimo il Vecchio, 1519-1520, olio su tela, cm 90x72, Firenze, Galleria degli Uffizi

 

Masaccio,Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra, particolare con i ritratti di Leon Battista Alberti, Masaccio e Brunelleschi, 1425-1426, affresco, Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci

Masaccio, Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra, particolare con i ritratti di Leon Battista Alberti, Masaccio e Brunelleschi, 1425-1426, affresco, Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci

Lo Scheggia,Cassone Adimari, 1450 ca, tempera su tavola, cm 88,5

Lo Scheggia, Cassone Adimari, 1450 ca, tempera su tavola, cm 88,5x303, Firenze, Galleria dell’Accademia

Nella metà del Quattrocento Firenze era una città di stralusso e lo vediamo nella raffigurazione sul Cassone Adimari: vesti sontuose, copricapi dal sapore orientale e orchestrina jazz d’epoca che suona in mezzo a una nuova voglia di architettura. Una città con un nuovo destino intellettuale voluto da Cosimo il Vecchio. E di manie letterarie poetiche, Leon Battista Alberti è positivamente afflitto, a tal punto che inventa un certame coronario, una gara che certifichi chi può portare la corona d’alloro del poeta, gara che si svolge a Firenze nel 1441, proprio sotto la cupola del Brunelleschi.

Alberti è intellettuale nella città degli intellettuali, dove opera pure Marsilio Ficino, anche lui di buona famiglia, figlio del medico della Val d’Arno, che ha trovato in Cosimo il Vecchio un secondo padre. Ficino promuove il pensiero di Plotino, quello per il quale nel mondo generato dallo spirito unico l’uomo torna a essere centrale, copula mundi fra materia e Dio. Così Platone viene sdoganato alla cristianità come due secoli prima era stato sdoganato il pensiero di Aristotele grazie a san Tommaso. La città è di chi pensa, discute e scrive. Firenze trasformerà lentamente i suoi orafi e i suoi artigiani in artisti con ispirazione data.

Leon Battista Alberti opta per la più intellettuale delle arti: l’architettura, raccontata da Bertoldo di Giovanni in un finto frontone di sarcofago realizzato dalla famiglia dei Della Robbia, dove il personaggio all’estrema destra ha in mano il compasso, attributo delle arti liberali, tra cui l’architettura.

Firenze è adattissima a un nuovo dibattito sull’architettura, come lo prova una delle formelle di Lorenzo Ghiberti realizzate per il Battistero, perché se è vero che ha ancora una stesura gotica, questa convive con ciò che oggi chiamiamo la finestra michelangiolesca, il tutto in una figurazione che corre velocemente verso gli stilemi del Rinascimento. Nell’Abbazia di San Miniato al Monte (iniziata nel 1013) ritroviamo quelle stesse finestrelle fiorentine, molto più sedimentate di quanto pensiamo. Qui nasce un classicismo particolare già agli albori del Duecento, con i marmi bianchi e verdi che Leon Battista Alberti riprenderà per Santa Maria Novella.

Fondamentali i testi dell’Alberti di quegli anni: Ludi Rerum Mathematicarum, un gioco matematico; il De Statua; il De Pictura, scritto con un’attenzione e una finezza estreme. E poi la Descriptio Urbis Romae, in una calligrafia rapidissima come di oggi, ma in latino ovviamente. La riscoperta dei materiali dell’antichità genera un immaginario nuovo, perché il capitello romano del I secolo ha già generato il capitello quattrocentesco. E i bronzisti inventano oggetti anche loro carichi di citazioni ma sostanzialmente innovativi. Intarsi fenomenali intorno al tema della perfezione architettonica che in quegli anni diventa centrale, già intuito dal giovane Perugino nelle sue facciate assolate. Una ricerca costante di equilibrio e prospettiva che raggiungerà la perfezione nella Città ideale.

Bertoldo di Giovanni e bottega di Andrea Della Robbia (?),L’origine delle anime dal grembo della Natura e l’inizio del loro percorso terreno, 1490-1494 ca, terracotta invetriata, altezza cm 58, Poggio a Caiano, Villa Medicea

Bertoldo di Giovanni e bottega di Andrea Della Robbia (?), L’origine delle anime dal grembo della Natura e l’inizio del loro percorso terreno, 1490-1494 ca, terracotta invetriata, altezza cm 58, Poggio a Caiano, Villa Medicea

Facciata di San Miniato al Monte, XI-XII secolo, Firenze

Facciata di San Miniato al Monte, XI-XII secolo, Firenze

Lorenzo Ghiberti,L’incontro tra Salomone e la regina di Saba, 1425-1452, bronzo dorato, cm 60

Lorenzo Ghiberti, L’incontro tra Salomone e la regina di Saba, 1425-1452, bronzo dorato, cm 60x46, Firenze, Museo dell’Opera del Duomo

Il primo vero cliente dell’Alberti sarà il terribile Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini. A Rimini la situazione archeologica è simile a quella di Roma ma in scala ridotta; basti pensare alla via Flaminia con l’Arco di Augusto. Era facile avere la romanità sotto gli occhi a Rimini: nell’Arco i simboli di Roma sono direttamente inseriti nel merlo ghibellino, e la stessa colonna corinzia bianca fra poco ricomparirà con Leon Battista Alberti e con Piero della Francesca.

Sempre a Rimini si trova il ponte di Augusto e Tiberio del I secolo, dove oggi passano le automobili. Curiosa eternità dell’Italia, così eterna che le finestre che servono a decorarlo sono le stesse che l’Alberti utilizzerà per il Tempio Malatestiano e sono esattamente identiche a quella duecentesca sopra il portone centrale di San Miniato al Monte. Il ponte mostra inoltre una curiosa genialità architettonica che fa sì che l’arco, un perfetto mezzo cerchio, riflettendosi nell’acqua formi un cerchio.

Leon Battista Alberti, Tempio Malatestiano, 1453-1468, Rimini

Leon Battista Alberti, Tempio Malatestiano, 1453-1468, Rimini

Arco di Augusto, I secolo a.C., Rimini

Arco di Augusto, I secolo a.C., Rimini

Negli stessi anni l’Alberti riprogetta un’antica chiesa per trasformarla nel tempio di famiglia, il Tempio Malatestiano, appunto. Lui era allora un fiorentino cinquantenne, massimo teorico dell’arte che non aveva ancora costruito nulla, ma diventa il prototipo dell’artista intellettuale moderno. Mentre gli altri artisti a Firenze provengono tutti dall’artigianato, lui proviene dallo studio, dalla ricerca e dalla passione per le antichità. Con lui per la prima volta l’antico diventa moderno e il moderno obsoleto. Fissa inoltre le tre regole per la pittura: la circoscrizione, il componimento e il ricevimento dei lumi che in italiano moderno vorrebbero dire prospettiva, composizione e colore.

Ponte di Augusto e Tiberio, 14-21 d.C., Rimini

Ponte di Augusto e Tiberio, 14-21 d.C., Rimini

La magia della pittura a olio

Alivello europeo, nel frattempo, è sempre più evidente la rivalità, prima di tutto economica, fra la nostra Firenze e Bruges, nelle Fiandre, le due città simbolo del Quattrocento. Tentiamo allora un confronto obiettivo. Sono entrambe città commerciali, laniere, bancarie e ricchissime, Firenze repubblicana e Bruges parte del feudo del duca di Borgogna. Firenze in quell’Italia centrale che dipingeva da due secoli le pareti a fresco e le tavole a tempera su fondo oro, Bruges che apparteneva a un mondo opposto dove primeggiava l’architettura e dove la pittura come la consideriamo noi non esisteva, serviva solo a colorare le statue o a illustrare codici.

Pol de Limbourg,Agosto, miniatura da Les Très Riches Heures du Duc de Berry, f. 8v, 1410-1416, cm 29

Pol de Limbourg, Agosto, miniatura da Les Très Riches Heures du Duc de Berry, f. 8v, 1410-1416, cm 29x21, Chantilly, Musée Condé

La pittura, il polittico da chiesa, aveva penetrato il Nord nel Trecento, con lo spostamento del papato ad Avignone, dove era finito a lavorare anche Simone Martini, ma i principi preferivano i gioielli, i castelli, le cappelle e i libri. Alcuni di questi ultimi sono fondamentali come il ricchissimo Les Très Riches Heures del duca di Berry, un percorso d’immagini completo che anticipa ogni evoluzione successiva, con architetture fiabesche e la scoperta del paesaggio. Queste miniature sono dipinte dai tre fratelli Limbourg provenienti dal Limburgo, tra Fiandre e Germania, uno dei quali, Jean, si stabilisce a Bruges, alla corte del duca in posizione preminente e privilegiata. Ma sarà un banchiere borghese, Josse Vijd, futuro sindaco della vicina Gand, a finanziare il primo capolavoro nel quale si passa alla pittura a olio in grande formato. Siamo fra il 1426 e il 1432, tre anni prima che da noi Leon Battista Alberti scrivesse il suo De Pictura.

Jan Van Eyck,Polittico dell’Agnello Mistico, 1426-1432, olio su tavola, cm 375

Jan Van Eyck, Polittico dell’Agnello Mistico, 1426-1432, olio su tavola, cm 375x520, Gand, San Bavone

Le Fiandre, prima di diventare parte della confederazione belga, erano rimaste cattoliche per via del dominio spagnolo e asburgico. Nella cattedrale di San Bavone di Gand (il luogo più mistico delle Fiandre, una curiosa mescolanza di gotico antico, in pietra e mattoni, e barocco, fra marmo di Carrara e nero del Belgio) è custodito il Polittico dell’Agnello Mistico di Jan Van Eyck, un’opera maestosa che sin dalle ante esterne vorrebbe battere la scultura che replica in versione pittorica. Al centro Dio Padre fra la Madonna e il Battista, attorniati da angeli musicanti e da un Adamo ed Eva modernissimi nei tratti. Tutta la pittura qui è nuova, ma la vera rivoluzione sta nella parte inferiore con l’Agnello Mistico fra gli uomini dell’Antico Testamento e quelli del Nuovo, sante e papi immersi in un paesaggio che si era già visto da quelle parti ma che qui si trasforma. Perché è proprio in quei giorni che si mette a punto la nuova tecnica a olio, destinata a cambiare tutta la pittura seguente.

La grande tradizione della pittura italiana s’era sviluppata su due linee parallele: l’affresco, dove i pigmenti sciolti nell’acqua venivano fissati sulla parete di calce ancora umida, e la pittura su tavola usando una materia colorata risultante dalla mescolanza della tempera con il tuorlo d’uovo. I primi passi del Rinascimento avevano cambiato il contenuto dell’arte ma non il modo di dipingere. I fiamminghi invece, figli dell’alchimia medioevale, avevano compiuto passi da gigante nella lavorazione dei pigmenti ed erano riusciti a mescolarli con l’olio di lino e con gli essiccanti. Il risultato consentiva di impastare la materia colorata e di sovrapporre vari strati di pittura, le cosiddette velature. Nasce un’arte che da un lato è conseguenza diretta della vecchia prassi fantastica del pennellino fine, dall’altro mostra risultati assolutamente nuovi soprattutto nella resa delle luci. Nel capolavoro di Gand possiamo già vedere tutta la sua potenza innovativa che scavalca forse il suo contenuto. Ritroviamo qui i ferri del Medioevo raccontati però ora con una precisione assoluta, così come i finimenti dei cavalli. Ma la massima perversione è nello straordinario riflesso dell’asta rossa sull’armatura, una abilità nel dettaglio che rende il tutto modernissimo, un’illusione ottica totale. Inconsapevolmente Van Eyck risolve la diatriba, tutta italiana ovviamente, alla quale assistiamo in quel periodo: qual è fra le arti la più importante, la pittura, la scultura o l’architettura? Da lui in poi la prima delle arti sarà la pittura, e naturalmente grazie all’olio che consente una nuova magia illusionistica. La rappresentazione pittorica di uno specchio convesso ne è un’ulteriore e definitiva prova e non è un caso che si trovi al centro del famosissimo Ritratto dei coniugi Arnolfini, del 1434, una famiglia di lucchesi che vanno a fare i banchieri nelle Fiandre e che raccontano la meraviglia ai toscani. Lo specchio qui moltiplica la realtà e capovolge il punto di vista, rivelando tutta la passione per il dettaglio che diventerà la vera vocazione della pittura fiamminga.

Jan Van Eyck,Polittico dell’Agnello Mistico, particolare con l’adorazione, 1426-1432, olio su tavola, Gand, San Bavone

Jan Van Eyck, Polittico dell’Agnello Mistico, particolare con l’adorazione, 1426-1432, olio su tavola, Gand, San Bavone

Jan Van Eyck,Polittico dell’Agnello Mistico, particolare con Eva

Jan Van Eyck, Polittico dell’Agnello Mistico, particolare con Eva

Ma torniamo al Polittico dell’Agnello Mistico: l’altra meraviglia appare nel paesaggio. Sullo sfondo si vede una città ideale, una sorta di Gerusalemme celeste gotica. Un paesaggio così incredibile da non sembrare affatto un paesaggio delle Fiandre, come se Van Eyck lo avesse osservato in Italia, con vedute dal sapore già ottocentesco: la palma, il cipresso, il pino, il volo dei rondoni e le nuvole. Si dice infatti che egli effettuò per conto del duca di Borgogna un viaggio di perlustrazione a Gerusalemme, ma probabilmente discese l’Italia.

Jan Van Eyck,Polittico dell’Agnello Mistico, particolare di santo cavaliere

Jan Van Eyck, Polittico dell’Agnello Mistico, particolare di santo cavaliere

 

Jan Van Eyck,Polittico dell’Agnello Mistico, particolare di città con cattedrale

Jan Van Eyck, Polittico dell’Agnello Mistico, particolare di città con cattedrale

 

Jan Van Eyck,Polittico dell’Agnello Mistico, particolare con corteo di sante

Jan Van Eyck, Polittico dell’Agnello Mistico, particolare con corteo di sante

Il corteo dei papi esce dal roseto sotto la ficaia, ed è curiosamente più corretta la descrizione paesaggistica di quanto non lo sia la descrizione teologica, poiché la palma del martirio qui l’hanno in mano quasi tutti come segno di vittoria. L’immaginario nel suo complesso è quello d’un mondo dove i temi cavallereschi sono ancora dominanti, ma il valore mistico è centrale, con l’Agnello che toglie i peccati del mondo e versa il sangue che cola e sprizza contemporaneamente dal petto nel calice, sopra la fonte della vita. Tutto è assolutamente incredibile, gli strumenti musicali sono riprodotti con estrema precisione, con le mani nelle posizioni corrette, le tastiere e tutti i meccanismi. Un mondo reso nell’intimo.

Jan Van Eyck,Polittico dell’Agnello Mistico, particolare del corteo degli ecclesiastici, 1426-1432, olio su tavola, Gand, San Bavone

Jan Van Eyck, Polittico dell’Agnello Mistico, particolare del corteo degli ecclesiastici, 1426-1432, olio su tavola, Gand, San Bavone

Miti, riti e misteri di Botticelli

Fra le due città, Bruges e Firenze, le notizie circolano generando ammirazione e competizione. La questione è legata alla tecnologia del lusso. Firenze forse ancora non sa che ha già intrapreso una sua strada di modernità con Masaccio e vive un momento di frustrazione. Per la generazione successiva questa competizione sarà fondamentale. Ghirlandaio, Botticelli e Perugino nascono quando Jan Van Eyck è già morto e per loro la questione rimane aperta.

Entriamo allora nel lusso della pittura di Botticelli mescolato con i gusti letterari della casa di Lorenzo il Magnifico, dove regna un Umanesimo arrovellato nelle più dotte disquisizioni fra pensieri e versi, fra citazioni del mondo antico, affidate alle rime di Poliziano, e cultura neoplatonica. Botticelli, che questo mondo fiorentino lo ritrae tutto, elegantissimo, lo vediamo per esempio in due quadri di un gruppo di quattro, regalati da Lorenzo il Magnifico alla famiglia Pucci in occasione di un matrimonio. Il padre dello sposo, il padre della sposa, lo stemma mediceo e lo stemma dei Pucci, curiosamente uguale a quello della Corsica, il tutto in una scenografia rinascimentale perfetta.

Botticelli riassume i miti, i riti e i misteri della sua epoca. All’opposto dei fiamminghi, Botticelli è inventore di mitologie ed è seguace dei principi di Leon Battista Alberti, che vogliono la chiarezza dell’istoria, il movimento e le emozioni.

La calunnia, dipinta nel 1495, tutto è fuorché un venticello. La verità ovviamente è nuda. Un rispetto per il mondo intellettuale, quello di Botticelli, particolarmente intenso, come vediamo nel Sant’Agostino nello studio. Rispetto che ritroviamo invariato nel suo allievo Filippino Lippi, ne La visione di san Bernardo, del 1482-1486. In questo dipinto il personaggio che ha pagato per il tutto, Piero del Pugliese in questo caso, è messo un po’ in disparte, nell’angolino in basso a destra. Ma come dice Vasari, gli manca solo la parola − chissà cosa direbbe? Il paesaggio invece, Filippino l’ha imparato probabilmente dai fiamminghi, così come lo ha imparato, negli stessi anni, Ambrogio da Fossano detto proprio per questo il Bergognone.

Mentre Filippino negli anni ottanta raggiunge un nuovo stile completo, i concorrenti perdono la strada e Ghirlandaio per esempio affoga nell’eccesso di dettagli.

Botticelli è inventore di mitologie ed è seguace dei principi di Leon Battista Alberti, che vogliono la chiarezza dell’istoria, il movimento e le emozioni.

Sandro Botticelli,Novella di Nastagio degli Onesti: Il banchetto nel bosco, particolare, 1483, tempera su tavola, cm 84

Sandro Botticelli, Novella di Nastagio degli Onesti: Il banchetto nel bosco, particolare, 1483, tempera su tavola, cm 84x142, Madrid, Museo Nacional del Prado

Sandro Botticelli,La calunnia, 1495, tempera su tavola, cm 62

Sandro Botticelli, La calunnia, 1495, tempera su tavola, cm 62x91, Firenze, Galleria degli Uffizi

Sandro Botticelli,Sant’Agostino, 1480 ca, affresco staccato, Firenze, Ognissanti

Sandro Botticelli, Sant’Agostino, 1480 ca, affresco staccato, Firenze, Ognissanti

Botticelli invece, nella sua follia ipersofisticata, rimane semplicissimo, quasi un designer della sua epoca, come dimostra quel fantastico letto che fa da sfondo a una sua Annunciazione e l’esempio che dà sull’arredo degli annni a lui contemporanei.

Prendiamo allora il suo capolavoro forse più visto e commentato: la Primavera, del 1482, agli Uffizi, è carico di significati esoterici e forse pedagogici per i figli di Lorenzo, perché qui il fondo si staglia sul nulla, con una vegetazione che sembra addirittura quella del Doganiere Henri Rousseau. Mani più cariche di grazia che di talento e piedi quasi goffi. Il tutto però assolutamente moderno e innovativo. E l’eleganza assoluta dei colli anticipa già il Made in Italy. Botticelli grande fashion designer, inventore di situazioni, di lussi totali e pure del vento. Non potendo lui con la tempera stendere una pittura a velature come quella a olio permette, la simula con il punto più evoluto del tratteggiato. Il paesaggio qui è solo una quinta.

Filippino Lippi,La visione di san Bernardo, particolare, 1482-1486, olio su tavola, cm 210×195, Firenze, Chiesa della Badia

Filippino Lippi, La visione di san Bernardo, particolare, 1482-1486, olio su tavola, cm 210x195, Firenze, Chiesa della Badia

 

Sandro Botticelli,Allegoria della Primavera, particolare, 1482 ca, tempera su tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi

Sandro Botticelli, Allegoria della Primavera, particolare, 1482 ca, tempera su tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi

Molto meglio alcune sue opere meno note al grande pubblico, quelle che il visitatore giapponese nei musei in genere tralascia. Nella Pala di San Barnaba del 1487, agli Uffizi, la tempera grassa diventa sostanzialmente identica all’olio dei nordici, perché le velature sono perfette.

Botticelli, che è uomo del suo tempo, è legato a un gusto cesellato che viene dagli orafi di casa ma anche dalla grande tradizione gotica, presente in città per via dei domenicani di Santa Maria Novella, dove a mio parere appaiono gli archetipi delle sue pettinature. Forse per questo motivo va fuori moda nel Cinquecento. Il suo gusto però sarà ripreso dal rinnovamento pittorico dei Preraffaelliti inglesi dell’Ottocento.

Sandro Botticelli,Pala di San Barnaba, 1487, tempera su tavola, cm 268

Sandro Botticelli, Pala di San Barnaba, 1487, tempera su tavola, cm 268x280, Firenze, Galleria degli Uffizi

Perugino, il divin pittore

Chi reagisce in modo diverso da tutti davanti al Trittico Portinari e alla novità della pittura a olio è Pietro Vannucci, detto il Perugino. Si forma nella bottega del Verrocchio e all’inizio dipinge ovviamente a tempera. Del 1473 sono otto piccoli capolavori assoluti, realizzati per una cappella dedicata a san Bernardino, quando Perugino aveva suppergiù ventitré anni.

È difficile capire chi ha fatto cosa nella bottega del Verrocchio, però si riescono a trovare alcuni stilemi significativi e potenti: la passione per una geometria perfetta delle prospettive e un’attenzione ai dettagli che sta crescendo sempre di più. Una grande attenzione alla decorazione, all’architettura, con i bianchi di Piero della Francesca, e un primo sguardo serio al paesaggio. L’esaltazione massima della cultura materiale è nella resa delle stoffe, perché le stoffe si vendono. Perugino è alla ricerca della sua strada.

I dipinti arrivati dalle Fiandre lo colpiranno profondamente e lo si vede bene già nell’Adorazione dei Magi. Decide di cambiare meccanismo di produzione: passa dalla tempera all’olio. Da quella tecnica impara gli impasti, ma apprende anche i contenuti, come i fiorellini e la dolcezza di certe facce. Copia da Hugo Van der Goes esattamente la medesima edicola nella stessa posizione, però aggiunge un dato in più, che è la sua vera firma e conferma la sua vera origine. L’attenzione maniacale al dettaglio materiale: come è tagliato il palo e come è connesso alla trave con una corda.

Hugo van der Goes,Trittico Portinari, 1475 ca, olio su tavola, cm 253

Hugo van der Goes, Trittico Portinari, 1475 ca, olio su tavola, cm 253x600, Firenze, Galleria degli Uffizi

Pietro Perugino,Adorazione dei Magi, 1475, olio su tavola, cm 241

Pietro Perugino, Adorazione dei Magi, 1475, olio su tavola, cm 241x180, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria

Particolari architettonici da: Pietro Perugino,San Bernardino risana un giovane travolto da un toro, 1473, olio su tavola, cm 79

Particolari architettonici da: Pietro Perugino, San Bernardino risana un giovane travolto da un toro, 1473, olio su tavola, cm 79x57, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria

 

Particolari architettonici da: Pietro Perugino,Adorazione dei Magi, 1504, affresco, Città della Pieve, Oratorio di Santa Maria dei Bianchi

Particolare architettonici da: Pietro Perugino, Adorazione dei Magi, 1504, affresco, Città della Pieve, Oratorio di Santa Maria dei Bianchi

 

Particolari architettonici da: Hugo van der Goes,Trittico Portinari, 1477-1478, Firenze, Galleria degli Uffizi

Particolare architettonici da: Hugo van der Goes, Trittico Portinari, 1477-1478, Firenze, Galleria degli Uffizi

 

Particolari architettonici da: Pietro Perugino,Adorazione dei Magi, 1475, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria

Particolare architettonici da: Pietro Perugino, Adorazione dei Magi, 1475, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria

Se il fiammingo nel suo dipinto mette gli zoccoli, l’umbro nel suo mette i calzari, con una descrizione precisissima delle cuciture e addirittura lasciando sentire la sensazione della suola applicata sotto la calza, rafforzata nel suo interno e piegata sulla punta.

Enigma delle datazioni: forse anche da rivedere. Perugino è classico nel timpano del 1473 (Storie di san Bernardino), è espressionista nell’architettura della sua edicola che si fa simile a quella di Van der Goes, sia nella prospettiva sia nei materiali, torna nell’Adorazione del 1504 a una sintesi dell’architettura frontale, parallela a quella del 1473. Come mai nella sua Adorazione, apparentemente del 1475, sembra ispirarsi alla capanna di Van der Goes, riprendendo la medesima rozzezza costruttiva? Forse la vide prima che arrivasse a Firenze, o forse le date vanno riviste.

Esemplare il Polittico Albani della collezione privata dei Torlonia. Curioso dipinto dove l’architettura della cornice copia l’architettura del dipinto, in una sorta di esaltazione del concetto di Piero della Francesca. Anche qui la descrizione dell’armatura è sufficiente a ricostruirla, qualora lo volessimo, perché contiene tutti i dettagli: dai cuoi alle piegature dei ferri, alle fibbie. E posso capire che piacesse tanto al suo committente, che allora era nientemeno che Giuliano della Rovere: si era nel 1491 circa, lui era ancora cardinale, stava diventando generale dei francescani e presto sarebbe stato un papa dal polso fortissimo e dalla passione costante per l’armatura e per la spada: Giulio II.

Pietro Perugino,San Bernardino risana da un’ulcera la figlia di Giovanni Antonio Petrazio da Rieti, 1473, tavola, cm 79

Pietro Perugino, San Bernardino risana da un’ulcera la figlia di Giovanni Antonio Petrazio da Rieti, 1473, tavola, cm 79x57, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria

 

Pietro Perugino e Pinturicchio, San Bernardino restituisce, post mortem, la vista a un cieco, 1473, tavola, cm 79

Pietro Perugino e Pinturicchio, San Bernardino restituisce, post mortem, la vista a un cieco, 1473, tavola, cm 79x57, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria

Figlio ancora della bottega artigianale, Perugino sarà maestro di un giovane intellettuale che lo surclasserà, Raffaello. Ma lui diventa il “divin pittore” soprattutto e forse per le sue immagini della Madonna, che sono quasi sempre il ritratto della moglie. E se anche da divino può diventare un po’ sdolcinato, rimane ancorato a un realismo potente e incisivo, quello che nella Madonna del sacco, del 1490-1500, si ritrova nel cuscino, o nel paesaggio dove la luce scintilla come piccole gocce d’oro. In realtà qui si fatica a capire se si tratta di Perugino maturo o di Raffaello giovane.

Ma Perugino è anche autore di ritratti psicologici, poco intellettuali ma fortemente umani, ci mostra volti che potremmo incontrare tuttora in Italia centrale, ritratti dalla forte plasticità che dipendono direttamente dall’uso sapiente dell’impasto a olio come il celebre Ritratto di Francesco delle delle Opere, del 1494.

Pietro Perugino,Polittico Albani, 1491, tempera su tavola, cm 174

Pietro Perugino, Polittico Albani, 1491, tempera su tavola, cm 174x88, Roma, collezione Torlonia

 

Perugino,Madonna del sacco, 1495-1500, olio su tavola, cm 88

Perugino, Madonna del sacco, 1495-1500, olio su tavola, cm 88x66, Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti

La vittoria dell’olio e la rivincita dell’Italia

Così il Quattrocento si conclude con la vittoria dell’olio. Alla nuova tecnica si convertono praticamente tutti, spesso con risultati che ricordano da vicino proprio la figurazione fiamminga.

Ma c’è spazio anche per una rivincita italiana sulle Fiandre; il Ritratto di uomo con medaglia, del 1471-1474, piccolo assoluto capolavoro di Hans Memling, ne è la prova. Il gentiluomo potrebbe sembrare centro-italiano, tiene in mano una moneta romana e ha dietro di sé un paesaggio che è assolutamente latino o italiano come può immaginarlo un uomo delle Fiandre, palma compresa.

Una storia di artisti forse analoga alla storia della città, piena d’interventi e di monete che vengono dal mondo intero.

Perugino,Ritratto di Francesco delle Opere, 1494, olio su tavola, cm 52

Perugino, Ritratto di Francesco delle Opere, 1494, olio su tavola, cm 52x44, Firenze, Galleria degli Uffizi

 

Hans Memling,Ritratto di uomo con medaglia, 1471-1474, olio su tavola, cm 31

Hans Memling, Ritratto di uomo con medaglia, 1471-1474, olio su tavola, cm 31x23, Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten