Mantegna, il più bel disegnatore e inventore

Considerato il più grande della sua epoca, poi dimenticato dalle sciccherie muscolate del Rinascimento tosco-romano, offuscato dall’arrivo di Giulio Romano a Mantova, Mantegna è riconosciuto ora in tutta la sua grandezza, e assolutamente necessario all’evoluzione successiva di quella lingua particolare che è la pittura.

Nel I secolo d.C. Plinio il Vecchio era stato già chiarissimo intorno alla questione della copia dal vero: lo storico tramanda infatti un racconto nel quale Zeusi, in gara con Parrasio, dipinse dell’uva così precisa che gli uccelli la venivano a beccare. Parrasio allora per tutta risposta dipinse una tenda talmente vera che lo stesso Zeusi, tratto in inganno, volle aprirla per vedere cosa ci fosse dietro.

Questa storia semplice serve a spiegare il concetto di mimesis come lo intendeva Aristotele. Che cos’è dunque la pittura? È il tentativo di rappresentare ciò che esiste in natura, di ripeterla. Meglio ancora se questo esistente non lo conosciamo e quindi non possiamo sapere, per esempio, se un ritratto corrisponde al signore raffigurato. Ma la mimesi della pittura è ancora di più: è il superamento della realtà attraverso la straordinaria qualità della tecnica e l’uso incredibile dei colori. Il mondo antico, da cui proviene il concetto di mimesi, sarà ripescato per la cuffia da Petrarca nel Trecento, per tornare virulento nelle arti visive agli inizi del Quattrocento.

Questa piccola introduzione ci aiuta a ripercorrere l’itinerario artistico e umano di quello che fu definito nel suo secolo il più grande pittore vivente, Andrea Mantegna, come ebbe a dire Lorenzo da Pavia presentando il pittore a Isabella d’Este nel 1506: “…el pù belo desegnatore e inventore”.

Classe 1431, figlio di un umile falegname di periferia a Padova, Mantegna è stato un genio precoce nella pittura come lo fu Mozart nella musica. Farà una carriera rapida che lo porterà a essere stimato ben più che se fosse stato un gentiluomo da uno dei più sofisticati critici della sua epoca, Ludovico II Gonzaga, marchese di Mantova. A dieci anni il ragazzo viene messo a bottega dallo Squarcione, eccellente collezionista di anticaglie, legato fino in fondo alla cultura antiquaria di quegli anni, ma personaggio ambiguo perché sfruttatore di giovani pittori che prendeva a bottega affiliandoli, tentando così di evitare la normativa delle corporazioni di allora. I suoi allievi, come per vendetta, lo superano. Top of the top c’è Andrea Mantegna che a diciassette anni comincia a sfornare opere in proprio, realizza un capolavoro nella cappella Ovetari e va in causa di lavoro col padrone, dando vita fra l’altro a una delle prime cause legali della storia dell’arte, e quindi decide di andare a Venezia a trovar moglie e buona famiglia.

Andrea Mantegna ebbe con il maestro Squarcione un rapporto tempestoso: questi costringeva il suo apprendista e “figlio adottivo” a una disciplina durissima e a lavori umilianti. I tentativi di ribellione si rivelarono però sempre inutili. Nel 1448 Mantegna stipulò un compromesso con il patrigno per riacquistare la propria libertà: un addio pieno di polemiche. Andrea sostenne che Squarcione si fosse fatto bello con il suo lavoro e lo avesse sfruttato. Il “maestro” rispose denigrandone l’opera, ritenuta più vicina alla scultura che alla pittura. A completare il quadro, la querelle giudiziaria: Mantegna denunciò il patrigno per il mancato pagamento di alcune opere, con un seguito per vie legali che si sarebbe concluso solo due anni dopo.

L’ambiente di formazione rimane comunque per Mantegna essenziale. In quegli anni la provincia veneta sta contaminando la mente assai conservatrice di Venezia, e lui emerge come prototipo di una forma nuova e contaminata della figura dell’artista, quella moderna con la quale conviviamo ancora oggi. Ed è forse da questo percorso apparentemente contraddittorio che proviene la sua nuova lingua visiva, autonoma e incisiva. Contemporaneamente popolare e coltissima.

Una nuova lingua visiva, autonoma e incisiva, popolare e coltissima allo stesso tempo.

Andrea Mantegna,Martirio di san Cristoforo e Trasporto del corpo del santo,particolare, 1454-1457, affresco, Padova, chiesa degli Eremitani, cappella Ovetari

Andrea Mantegna, Martirio di san Cristoforo e Trasporto del corpo del santo, particolare, 1454-1457, affresco, Padova, chiesa degli Eremitani, cappella Ovetari

L’emozione della riscoperta dell’antico

Quel che rimane di Mantegna nella cappella Ovetari nel braccio destro del transetto della chiesa degli Eremitani, una delle sue prime opere a Padova che raffigura la Legenda Aurea, non è sufficiente al nostro godimento ma basta per un buon ragionamento. La cappella, dedicata ai santi Giacomo e Cristoforo, fu bombardata selvaggiamente nel 1944, danneggiando e distruggendo parte degli affreschi. Nel 2006 essi sono stati ricomposti con un sistema virtuale restituendo una parte dell’emozione antica.

Da un punto di vista compositivo gli elementi ci sono tutti, per esempio la voglia di una simmetria totale articolata attorno alla colonna centrale. La folla dei partecipanti sta sotto un palazzo che racconta, con bassorilievi, fregi decorativi e colonne e porfidi multicolori, tutto ciò che allora si poteva sapere dell’antichità. Da una lussuosa finestra di palazzo si vede però una scena raccapricciante: una freccia viene scagliata nell’occhio del giudice che ha condannato san Cristoforo. E qui troviamo una diretta eredità giottesca, la rappresentazione dei denti dei protagonisti.

Andrea Mantegna,Martirio di san Cristoforo e Trasporto del corpo del santo, 1454-1457, affresco, Padova, chiesa degli Eremitani, cappella Ovetari

Andrea Mantegna, Martirio di san Cristoforo e Trasporto del corpo del santo, 1454-1457, affresco, Padova, chiesa degli Eremitani, cappella Ovetari

 

Andrea Mantegna,Martirio di san Cristoforo e Trasporto del corpo del santo, particolare

Andrea Mantegna, Martirio di san Cristoforo e Trasporto del corpo del santo, particolare

 

Bottega di Giotto,Adorazione dei Magi, particolare, 1313 ca, affresco, Assisi, Basilica Inferiore di San Francesco

Bottega di Giotto, Adorazione dei Magi, particolare, 1313 ca, affresco, Assisi, Basilica Inferiore di San Francesco

Andrea Mantegna,Martirio di san Cristoforo e Trasporto del corpo del santo, particolare

Andrea Mantegna, Martirio di san Cristoforo e Trasporto del corpo del santo, particolare

La pergola, commovente ricordo di un mondo bucolico che è proprio delle origini campagnole del Mantegna, s’infila con ferocia nell’antichità. Il presente usa il passato come sostegno.

Infine si possono vedere annunci di architettura che prendono spunto da Leon Battista Alberti e dalle sue colonne, che prevedono già i futuri lavori del Laurana a Urbino e della famosa città ideale, ma che traggono la loro origine dalle architetture dipinte da Giotto centocinquant’anni prima.

E infine l’agiografia, il san Cristoforo, enorme, che attraversa il fiume col Cristo sulle spalle è già messo in prospettiva, così come vedremo fra pochi anni il Cristo morto.

Andrea Mantegna,Martirio di san Cristoforo e Trasporto del corpo del santo, particolare con il tiranno Damno colpito da una freccia

Andrea Mantegna, Martirio di san Cristoforo e Trasporto del corpo del santo, particolare con il tiranno Damno colpito da una freccia

Andrea Mantegna,Martirio di san Cristoforo e Trasporto del corpo del santo, particolare

Andrea Mantegna, Martirio di san Cristoforo e Trasporto del corpo del santo, particolare

Sono gli anni quaranta del Quattrocento, quelli nei quali Leon Battista Alberti esaspera fino in fondo le teorie della prospettiva, mentre Brunelleschi le dimostra al pubblico. Il gusto della decorazione antiquariale cinquant’anni dopo diventerà una cifra estetica stabile, da Bramante a Milano fin qui a Padova, alla chiesa degli Eremitani.

I due modelli di Mantegna sono da una parte Donatello e dall’altro lo Squarcione. Donatello a Padova lascia come sua prima opera già un capolavoro: il Crocifisso del 1444-1447, che gli valse le commissioni successive per la basilica del Santo. Esaltatore di una classicità in fase di scoperta e sacerdote di qualità. Raffinato coiffeur di acconciature fiorentine che stanno per spargersi attraverso l’Italia. Esperto del bronzo, delle sue patine e delle sue dorature, capace di trasformare il bassorilievo del sarcofago romano antico in un percorso di trompe-l’oeil architettonico. Il passaggio dal marmo al bronzo permette a Donatello dei sottosquadra fino ad allora inattesi e solo la sapienza della fusione a cera persa gli consente di trasformare il bassorilievo in un altorilievo e di dare nuova vita a un linguaggio antico.

Donatello,Crocifisso, 1444-1447, bronzo, cm 180

Donatello, Crocifisso, 1444-1447, bronzo, cm 180x166, Padova, basilica del Santo

Donatello,Il miracolo del neonato, 1446-1450, bronzo, cm 57

Donatello, Il miracolo del neonato, 1446-1450, bronzo, cm 57x123, Padova, basilica del Santo

 

Francesco Squarcione,Polittico de Lazara, 1449-1452, tempera su tavola, cm 175

Francesco Squarcione, Polittico de Lazara, 1449-1452, tempera su tavola, cm 175x220, Padova, Musei Civici agli Eremitani

Giorgio Schiavone,Madonna in trono con il Bambino, 1456-1461, tempera su tavola, cm 91,5

Giorgio Schiavone, Madonna in trono con il Bambino, 1456-1461, tempera su tavola, cm 91,5x35, Londra, The National Gallery

Dello Squarcione, invece, basta osservare il Polittico de Lazara, nei Musei Civici di Padova, opera che sembra aver subito curiosamente una damnatio memoriae vedendo scomparire le facce dei suoi protagonisti, come grattate con cattiveria dai suoi alunni, ma nel quale è visibile comunque quel gusto fumettistico bizzarro che è proprio del maestro di Mantegna.

Giorgio Schiavone, altro allievo, nella sua Madonna in trono con il Bambino, non a caso proseguirà questa estetica del pupazzo, evidente nelle fattezze del Gesù Bambino e in quella curiosa passione per la natura morta, cartiglio compreso, che si sviluppa in quegli anni nell’area dell’Adriatico, da Urbino a Ferrara fin a Padova, dove appare, a mio parere, una delle prime mosche della storia della pittura, quelle che un secolo e mezzo dopo riempiranno tutti i quadri fiamminghi. La mosca, che potrebbe essere un poco fiamminga, perché Petrus Christus la dipinge già dieci anni prima, ma in modo serio, nella tavola dello Schiavone diventa invece ironica, aristotelica e giottesca.

Giorgio Schiavone,Madonna in trono con il Bambino, particolare

Giorgio Schiavone, Madonna in trono con il Bambino, particolare

Petrus Christus,Ritratto di certosino, particolare, 1446, olio su tavola, cm 29,2

Petrus Christus, Ritratto di certosino, particolare, 1446, olio su tavola, cm 29,2x21,6, New York, The Metropolitan Museum of Art

Un salto a Venezia

Quando Mantegna arriva a Venezia, compie il primo salto di classe sociale: passa da artigiano colto ad artista colto. Entra nella famiglia degli artisti veneziani chic, i Bellini, di cui sposa nel 1453 la figlia del capo bottega Jacopo, Nicolosia, sorella di Giovanni e Gentile. Scopre qui un mondo dove l’intellettuale parla con l’artista, a differenza di Firenze dove di solito è l’umanista che indica all’artista ciò che deve fare. Ha ventidue anni e già da tre il letterato Ulisse degli Aleotti lo ha definito “il maestro che sa scolpire in pittura”, il più grande pittore vivente.

Uno come Giovanni Bellini è abituato a parlare con il mondo dei libri, anzi addirittura a decorarlo, avendo proseguito l’attività di miniaturista già intrapresa dal padre con risultati sorprendenti.

E a questo punto entra nella nostra storia un altro personaggio fondamentale, Gregorio Correr, nipote di cardinale e pronipote di papa Gregorio XII, veneziano, coltissimo personaggio cresciuto in Curia, educato alla politica nei concili antipapali, raffinato alla scuola mantovana del più fine umanista di tutti, Vittorino da Feltre. Il Correr aveva preso in simpatia Mantegna quando lui aveva appena dodici anni e lo aveva introdotto nei meandri sofisticati della cultura antiquariale dei libri. Poi quasi subito se ne va a Verona, dove succede allo zio Antonio il cardinale come abate di San Zeno. Ma con Mantegna continuerà per anni a intrattenere rapporti.

Giovanni Bellini,Jacopo Antonio Marcello consegna il manoscritto a René di Anjou, 1459, tempera su pergamena, cm 37

Giovanni Bellini, Jacopo Antonio Marcello consegna il manoscritto a René di Anjou, 1459, tempera su pergamena, cm 37x25, Albi, Médiathèque municipale Pierre Almaric

 

Giovanni Bellini,Guarino veronese consegna la sua traduzione di Strabone a Jacopo Antonio Marcello, 1459, tempera su pergamena, cm 37

Giovanni Bellini, Guarino veronese consegna la sua traduzione di Strabone a Jacopo Antonio Marcello, 1459, tempera su pergamena, cm 37x25, Albi, Médiathèque municipale Pierre Almaric

Così bisogna fare un salto a Verona, dove la basilica di San Zeno è allora uno dei luoghi chiave, fuori dalle mura della città. Sotto un miracoloso soffitto a carena di nave ci appare la Pala di San Zeno, commissionata ad Andrea proprio da Gregorio Correr. Il polittico ci si mostra oggi nella sua completezza solo grazie a repliche ottocentesche della parte inferiore. Le tre predelle originali in basso infatti sono tra gli ultimi furti di Napoleone mai restituiti all’Italia dopo il 1815 e rimangono separate anche in Francia: le due laterali sono a Tours nel Musée des Beaux-Arts mentre la superba Crocifissione è al Louvre.

Andrea Mantegna,Pala di San Zeno, 1456-1459, tempera su tavola, cm 480

Andrea Mantegna, Pala di San Zeno, 1456-1459, tempera su tavola, cm 480x450, Verona, San Zeno

 

Andrea Mantegna,Pala di San Zeno, particolare con laMadonna in trono,

Andrea Mantegna, Pala di San Zeno, particolare con la Madonna in trono

Quest’ultima ha alcuni dettagli che non possono non commuovere: il grido del san Giovanni, il soldato in piedi e quell’altro in primo piano sono già totalmente cinematografici. La sua posizione scorciata sembra lontanissima dalla ieraticità frontale della Madonna nel pannello centrale e può giustificare l’ipotesi che fra il 1456 e l’inizio dell’opera siano passati tanti anni. Anche la chiappa del cavallo vista da dietro rimanda a un’opera che troviamo nella chiesa domenicana veronese di Sant’Anastasia, un documento che spesso il visitatore neppure nota. L’affresco di Pisanello con San Giorgio e la Principessa, staccato a lungo dalla sua sede, è oggi tornato a coronare l’arco gotico col suo inconfondibile segno equestre: il sederone del cavallo. Accanto al suo sottocoda una lady elegantissima, cani, e una serie di elementi che tra poco ritroveremo a Mantova.

Andrea Mantegna,Pala di San Zeno, particolare con gli angeli cantori

Andrea Mantegna, Pala di San Zeno, particolare con gli angeli cantori

Andrea Mantegna,Crocifissione, particolare con i soldati che giocano a dadi, 1456-1459, tempera su tavola, Parigi, Musée du Louvre

Andrea Mantegna, Crocifissione, particolare con i soldati che giocano a dadi, 1456-1459, tempera su tavola, Parigi, Musée du Louvre

Andrea Mantegna,Crocifissione, particolare con san Giovanni e le pie donne, 1456-1459, tempera su tavola, Parigi, Musée du Louvre

Andrea Mantegna, Crocifissione, particolare con san Giovanni e le pie donne, 1456-1459, tempera su tavola, Parigi, Musée du Louvre

Tornando alla Crocifissione centrale, nonostante il soldato di profilo nella copia se ne sia andato, possiamo permetterci un ragionamento sui tempi della pittura, perché gli angiolotti pupazzosi del pannello centrale sono probabilmente da legare alla piccola data dipinta sul tappeto, il 1443. Secondo un’intelligente teoria di Sergio Marinelli, questo 1443, in cui Mantegna ha dodici anni, corrisponde alla data di inizio dell’opera, la quale viene ultimata sul finire degli anni cinquanta, quando Mantegna ormai è un trentenne maturo. Le due date corrispondono a tutto il percorso che va dai pupazzini dell’infanzia geniale, alla sensibilità drammatica adulta. Così il bambolotto in grembo alla Madonna è diventato un adulto che soffre sulla croce e la Madonna in trono, che è bambola Lenci, sviene in un dolore di pietra tra le braccia delle pie donne.

Andrea Mantegna,Crocifissione, particolare con i soldati a cavallo, 1456-1459, tempera su tavola, Parigi, Musée du Louvre

Andrea Mantegna, Crocifissione, particolare con i soldati a cavallo, 1456-1459, tempera su tavola, Parigi, Musée du Louvre

 

Pisanello,San Giorgio e la Principessa, particolare, 1437-1438, affresco, Verona, Santa Anastasia

Pisanello, San Giorgio e la Principessa, particolare, 1437-1438, affresco, Verona, Santa Anastasia

Di quarant’anni più tardi è l’altra pala famosa di Verona, la Pala Trivulzio, oggi al Castello Sforzesco a Milano, con gli angeli cantori, così evoluti e cresciuti rispetto alla visione dei bambolotti di una volta. Metafisici come non mai, raccolti a mandorla attorno alla Madonna e a loro volta inclusi in una vegetazione infinita che si è sostituita all’architettura. La Madonna è curiosissima perché la bambola Lenci si è fatta qui bambola Jumeau, quelle di porcellana, mentre il bambino Gesù benedicente sembra fattosi leggermente buddista. Un quadro incredibile della fine del Quattrocento che passa indenne attraverso tutto il XVI secolo e sembra ricomparire agli inizi del Seicento con le dolcezze di Guido Reni.

Andrea Mantegna,Pala Trivulzio, 1497, tempera a colla su tela, cm 287

Andrea Mantegna, Pala Trivulzio, 1497, tempera a colla su tela, cm 287x214, Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco

 

Andrea Mantegna,Pala Trivulzio, particolare, 1497, tempera a colla su tela, cm 287

Andrea Mantegna, Pala Trivulzio, particolare, 1497, tempera a colla su tela, cm 287x214, Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco

I duchi in salotto

La successiva e ultima tappa del nostro discorso e del Mantegna è Mantova, questa incredibile New York del Quattrocento, dove l’artista giunge nel 1460, ancora una volta forse per colpa dell’abate Correr, legato a quel Vittorino da Feltre e alla sua cerchia umanistica di Ca’ Zoiosa, dove fu compagno di banco del futuro marchese Ludovico II Gonzaga.

Ma chi era veramente Ludovico II? Secondo il vecchio principio del “dimmi cosa leggi e ti dirò chi sei”, occorre andare a vedere cosa conteneva la sua biblioteca. All’inizio degli anni sessanta del Quattrocento, Ludovico è alle terme di Petriolo e scrive alla moglie: “Per favore, me lo mandi il mio Lucano che mi annoio qua senza aver da leggere?”. Fra i suoi libri troviamo un testo fenomenale appartenuto a suo figlio il cardinalone, oggi alla Biblioteca Vaticana, un Omero con testo a fronte greco e latino e panoplie trionfali che ritroverò, nel XX secolo, nei dipinti di de Chirico. Credo però che per capire il carattere di Ludovico fino in fondo, e anche la nostra storia, siano incredibilmente significativi i sedici fogli superstiti alla distruzione del 1904 del famoso grande manoscritto di Plinio il Vecchio, dal quale è partito il nostro viaggio alla scoperta di Mantegna.

L’ambiente mantovano della seconda metà del Quattrocento è rigorosamente ghibellino perché per diventar marchesi, e un giorno, fra cinquant’anni, duchi, ci vuole l’imperatore. Firenze e il Rinascimento nello stile, mondo alemanno però nell’appartenenza politica, a tal punto che Ludovico II si sposa nientemeno che Barbara di Brandeburgo per essere più politically correct.

E per la celebrazione della coppia verrà inventata e dipinta da Mantegna la straordinaria Camera Picta, la vera rivoluzione della concezione pittorica di quegli anni, la Camera degli sposi.

Il marchese con tutta la famiglia, il figlio secondogenito, il “cardinalone”, i bimbi più giovani, riassunti in un paesaggio che sembra reale ma che è in realtà la sommatoria di tutte le manie antiquariali dell’epoca. Il marchese e la marchesa sono raffigurati in una situazione che oggi definiremmo “seduti in salotto”: lei, Barbara di Brandeburgo con accanto le figlie, Barbarina e Paoletta con la mela e la nana di corte. Più reali ancora degli esseri umani sono però qui cani e cavalli. E più reali ancora dei cani ovviamente i putti, perché tutti sanno che sono farfalle.

Andrea Mantegna,Famiglia e corte di Ludovico Gonzaga, particolare, 1465-1474, affresco e tempera a secco, Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli sposi

Andrea Mantegna, Famiglia e corte di Ludovico Gonzaga, particolare, 1465-1474, affresco e tempera a secco, Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli sposi

Andrea Mantegna,Famiglia e corte di Ludovico Gonzaga, particolare, 1465-1474, affresco e tempera a secco, Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli sposi

Andrea Mantegna, Famiglia e corte di Ludovico Gonzaga, particolare, 1465-1474, affresco e tempera a secco, Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli sposi

 

Andrea Mantegna,Famiglia e corte di Ludovico Gonzaga, particolare, 1465-1474, affresco e tempera a secco, Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli sposi

Andrea Mantegna, Famiglia e corte di Ludovico Gonzaga, particolare, 1465-1474, affresco e tempera a secco, Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli sposi

Fra tante innovazioni legate al gusto del tempo ce n’è una in particolare che è molto significativa, perché lega Mantegna all’esperienza di Leon Battista Alberti. Tutta questa scena avviene all’interno di una stanza dalla quale si guarda fuori, perché qui tutto il gioco è prospettico e lo è a tal punto che il soffitto guarda verso l’alto dei cieli, in una sorta di pozzo rovesciato dal quale le creature celesti, negretti compresi mescolati a signore varie e a putti, guardano in giù verso di noi. Si tratta della stessa follia prospettica che fra pochi anni andrà a costituire il disegno architettonico della Casa del Mantegna sempre a Mantova.

Andrea Mantegna,Ritorno da Roma del cardinale Francesco Gonzaga, 1465-1474, affresco e tempera a secco, Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli sposi

Andrea Mantegna, Ritorno da Roma del cardinale Francesco Gonzaga, 1465-1474, affresco e tempera a secco, Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli sposi

 

Mantova, Casa del Mantegna, cortile

Mantova, Casa del Mantegna, cortile

 

Andrea Mantegna, Oculo del soffitto, 1465-1474, affresco e tempera a secco, Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli sposi

Andrea Mantegna, Oculo del soffitto, 1465-1474, affresco e tempera a secco, Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli sposi

La pittura scolpita

La cultura antiquariale è una mania necessaria per la genesi dell’estetica rinascimentale. La sua origine è ovviamente letteraria e trova le radici nella passione dei sapienti e degli oratori, i quali, essendone esempio sommo Coluccio Salutati, propugnano la riscoperta dei testi antichi per tornare a un latino d’eccellenza, base necessaria per un eloquio che sia in grado di diventare arma di difesa, come quello appunto usato da Salutati per difendere Firenze dagli appetiti politici del Visconti milanese. Torna di moda il testo antico, torna di moda la littera antiqua, quella della scrittura anteriore alle zampette di gallina del gotico da penna.

Fu la testa fine e filoromana di Petrarca a propagandare, per primo, il ritorno all’eleganza della calligrafia carolina, quella che Carlo Magno, il primo degli imperatori moderni, aveva imposto come scrittura obbligatoria alla sua Cancelleria per superare la confusione barbarica che aveva spesso lasciato un latino modesto ma diffuso, scritto però di volta in volta con calligrafie così disparate che un burgundo non leggeva più il testo d’un bavaro. Da lì in poi la questione si fece moda: dalla carolina si tornò alla passione per le lettere romane antiche che le iscrizioni conservavano ancora spesso nell’eleganza dei bronzi inseriti nei marmi. Della moda che prevedeva l’andare avanti guardando indietro furono esimi propugnatori letterati successivi come l’equivoco Poggio Bracciolini, che commerciava in testi antichi talvolta anche contraffatti per renderli più plausibili, o come il ben più garbato Niccolò Niccoli. Sicché dalla lettera come segno si passò alla lettera come testo. Dalla lettera come testo si passò ai bronzetti riscoperti, alle pitture riviste, ai decori architettonici.

Gioco assai semplice all’apparenza, ma che dovette passare da una mutazione della percezione, quella per la quale Leon Battista Alberti coniò l’invettiva contro il mondo conformista allora esistente chiamandolo gotico, cioè barbaro perché delle genti del nord. E vinse il bassorilievo che la romanità aveva portato oltre le ansie dei Medioevi.

La pittura scolpita di Mantegna, per l’appunto, viene dal gusto per le antichità, che rivelano il passato in pietra, ma non dice nulla su come si dipingeva negli anni dei greci e dei romani. Tanto è forte l’interesse per l’antico che a volte anche la pittura imita il bassorilievo come nelle grisaille: che non sono i vestiti che noi conosciamo per andare in banca ma un’espressione linguistica visiva estetico-pittorica che spiega moltissimo del suo lavoro e di tutta una cultura rivolta al mondo classico. Nel Sacrificio di Isacco, il cesello della grisaglia si staglia sul fondo marmoreo dipinto.

Arte romana,Ratto di Proserpina, frammento di un sarcofago a ghirlande, II secolo d.C., marmo, cm 76

Arte romana, Ratto di Proserpina, frammento di un sarcofago a ghirlande, II secolo d.C., marmo, cm 76x126, Venezia, Museo Archeologico

Andrea Mantegna,Sofonisba, 1500, tempera su tavola, cm 71,2

Andrea Mantegna, Sofonisba, 1500, tempera su tavola, cm 71,2x19,8, Londra, The National Gallery

 

Andrea Mantegna,Sacrificio di Isacco, 1490, tempera a colla su tela, cm 48,5

Andrea Mantegna, Sacrificio di Isacco, 1490, tempera a colla su tela, cm 48,5x36, Vienna, Kunsthistorisches Museum

 

Andrea Mantegna,Cristo in pietà sorretto da due angeli, 1489, tempera su tavola, cm 83

Andrea Mantegna, Cristo in pietà sorretto da due angeli, 1489, tempera su tavola, cm 83x51, Copenaghen, Statens Museum for Kunst

A Copenaghen è conservata un’opera incredibile, il Cristo in pietà sorretto da due angeli, dove la pittura si fa quasi miniatura e vive di velature raffinatissime.

Eccellente anche un altro quadro del Louvre, Minerva che scaccia i Vizi dal Giardino delle Virtù, dove Fortezza, Temperanza e Giustizia sono avvolte in una nuvola che sembra in realtà essere una mandorla. L’inseguimento avviene solo di profilo come nelle medaglie, un altro segno chiaro di uno sguardo rivolto al linguaggio dell’antichità. Il giardino fra le rovine è una nuova architettura mentre i cherubini sono vere farfalle rumorose. Così come rumoroso è il cumulo di cherubini cantori che mostrano e denti e lingua nella Madonna con il Bambino di Brera.

E in un altro quadro con la Madonna, la Sacra Famiglia con santa Elisabetta e san Giovannino, notiamo invece il mistero di un san Giuseppe che sembra Platone, calvo e con lo sguardo crucciato rivolto a noi, e un curioso piccolo Giovanni Battista che torna a essere un bambolotto come quello dei primi dipinti veronesi e padovani.

Andrea Mantegna,Minerva che scaccia i Vizi dal Giardino delle Virtù, 1497, tempera su tela, cm 159

Andrea Mantegna, Minerva che scaccia i Vizi dal Giardino delle Virtù, 1497, tempera su tela, cm 159x192, Parigi, Musée du Louvre

Andrea Mantegna,Madonna con il Bambino e un coro di cherubini, particolare, 1485, tempera su tavola, Milano, Pinacoteca di Brera

Andrea Mantegna, Madonna con il Bambino e un coro di cherubini, particolare, 1485, tempera su tavola, Milano, Pinacoteca di Brera

 

Andrea Mantegna,Madonna con il Bambino e un coro di cherubini, intero, 1485, tempera su tavola, Milano, Pinacoteca di Brera

Andrea Mantegna, Madonna con il Bambino e un coro di cherubini, intero, 1485, tempera su tavola, Milano, Pinacoteca di Brera

 

Andrea Mantegna,Sacra Famiglia con santa Elisabetta e san Giovannino, particolare, 1495-1500, tempera su tela, Dresda, Staatliche Kunstsammlungen, Gemäldegalerie

Andrea Mantegna, Sacra Famiglia con santa Elisabetta e san Giovannino, particolare, 1495-1500, tempera su tela, Dresda, Staatliche Kunstsammlungen, Gemäldegalerie

 

Andrea Mantegna,Sacra Famiglia con santa Elisabetta e san Giovannino, intero, 1495-1500, tempera su tela, Dresda, Staatliche Kunstsammlungen, Gemäldegalerie

Andrea Mantegna, Sacra Famiglia con santa Elisabetta e san Giovannino, intero, 1495-1500, tempera su tela, Dresda, Staatliche Kunstsammlungen, Gemäldegalerie

Infine non possiamo chiudere il nostro viaggio intorno a Mantegna se non guardando la sua opera più nota, lo straordinario Cristo morto di Brera, che ha suscitato fra i contemporanei così tante polemiche: la sofisticata prospettiva albertiana è applicata dal pittore con grande disinvoltura e trasforma il tema in visione mistica. Riesce pure a rapportare alla sua pittura gli incroci nord-sud, est-ovest della corte mantovana. Sono quelli gli anni nei quali l’incisione su rame inizia la sua fortunata carriera legata alla nascita della stampa dei libri. La circolazione delle immagini ne viene potentemente accelerata. Ecco quindi apparire una quantità fino ad allora impossibile di immagini nuove, e certi goticismi prima impensabili vengono a contaminare le corse verso una classicità in riscoperta. Le figure piangenti, sulla sinistra del dipinto, corrispondono a un contributo espressionista che altrimenti non sarebbe pensabile. La prospettiva inattesa è quella che sorge dalla veduta delle sculture guardate dal basso verso l’alto, come dinnanzi alle cattedrali.

Andrea Mantegna,Compianto sul Cristo morto, 1500 circa, tempera su tela, cm 68

Andrea Mantegna, Compianto sul Cristo morto, 1500 circa, tempera su tela, cm 68x81, Milano, Pinacoteca di Brera