Il cagnolino di Tiziano
Perché mai è così importante Tiziano?
Raffaello, Michelangelo, Leonardo ci fanno subito venire in mente un’immagine. Di Tiziano sappiamo che è fondamentale, ma non sappiamo il perché.
La questione è che questo straordinario artista non evoca un’immagine, ma un modo di fare immagine.
Questa storia inizia con il cardinale Borromeo, quando comincia a raccogliere la sua collezione per l’Ambrosiana. Da poco il suo collega cardinale Scipione Borghese ha comprato sul mercato d’arte L’Amor sacro e l’Amor profano, uno dei primi capolavori di Tiziano del 1514-1515. A Milano Federigo, per non esser da meno, esattamente come a Roma il cardinal Borghese, acquista Tiziano, ma uno molto particolare, l’Adorazione dei Magi, con la cornice già destinata a Diana di Poitiers. Un tempo nel dipinto il cavallo si grattava la testa contro la zampa e guardava verso un punto che non pare esistere, verso la base del palo. Il palo separa in due il dipinto componendolo come due predelle successive d’un racconto. È come se mancasse qualcosa in mezzo, perché, per quanto fosse importante il legname per Tiziano, un palo non può essere così centrale. Il quadro rivisto oggi, a restauro avvenuto, rivela una serie di particolari che sono tipici del modo di vedere di Tiziano: il personaggio che sembra proprio un veneziano con la cassa degli schèj in mano, il cavallo in una posizione di una naturalezza quasi contadina, i ferri della guerra raffigurati con l’attenzione di chi s’intende veramente di metalli. Ma la vera sorpresa è il palo che Tiziano mette in mezzo alla costruzione del quadro, perché sta per Tiziano in mezzo a tutte le costruzioni, visto che lui, oltre a dipingere, vende pali di legno. La pulitura ha rivelato una storia simpaticissima: il cagnetto presente in tutti i quadri di Tiziano, nanerottolo tremendo a pelo bianco e rosso, alza la zampa e compie il dovere che tutti i cani maschi hanno sempre compiuto davanti a tutti i pali del mondo.
E ora si capisce il rapporto regolare fra Tiziano e la sua terra, quel rapporto che André Malraux è riuscito a riassumere in una frase elegantissima: “Tiziano appendeva le sue Veneri alle nubi del Cadore”. Fondamentale quindi il cagnetto dipinto negli anni fra il 1559 e il 1560 in questa tela che fece soffrire Tiziano. Era stata commissionata da Ippolito d’Este, il cardinale colto e raffinato protettore dell’Ariosto. La voleva per il re di Francia Enrico II e per lusingarlo, appunto, l’aveva fatta incorniciare con una cornice dedicata alla di lui amante Diana di Poitiers. Ma il giovane re muore e il quadro rimane in Italia e torna sul mercato, alterato; lo compra così il cardinale di Milano, il quale annota, nelle sue carte a proposito del cane: “Quando Tiziano seppe che alla corte d’Ippolito d’Este era stato coperto il gesto oltraggioso, con le lacrime agli occhi disse che non c’era da stupirsi che persone ignoranti compissero tale scempio”.

Tiziano, Adorazione dei Magi, fotografia dei primi del Novecento con il dipinto di Tiziano prima dell’intervento di restauro

Tiziano, Adorazione dei Magi, particolare, 1559-1560, olio su tela, Milano, Pinacoteca Ambrosiana

Tiziano, Adorazione dei Magi, intero, 1559-1560, olio su tela, Milano, Pinacoteca Ambrosiana
Già allora, come si vede, i cagnetti contavano moltissimo, e questo era già apparso nel Ritratto di Clarice Strozzi nel 1542, quando lei, figlia di Maddalena de’ Medici e di Roberto Strozzi, era in esilio con i genitori a Venezia. C’era lo stesso cagnetto nella Venere di Urbino del 1538 e prima ancora, nel 1536-1537, addirittura nel ritratto della duchessa di Urbino, Eleonora Gonzaga. Cagnetto molto longevo (d’altronde si sa: più son piccoli più campano), che si rivede nella Cena in Emmaus e nel grande quadro della famiglia Vendramin.

Tiziano, Ritratto di Clarice Strozzi, 1542, olio su tela, cm 115x98, Berlino, Gemäldegalerie

Tiziano, Ritratto di Eleonora Gonzaga, 1536-1537, olio su tela, cm 114x103, Firenze, Galleria degli Uffizi

Tiziano, La famiglia Vendramin adora le reliquie della Vera Croce, particolare, 1543-1547, olio su tela, cm 206x288, Londra, The National Gallery

Tiziano, Cena in Emmaus, particolare, 1540 ca, olio su tela, cm 169x244, Parigi, Musée du Louvre

Tiziano, Venere di Urbino, particolare, 1538, olio su tela, cm 119x165, Firenze, Galleria degli Uffizi
Fra gli abeti del Cadore
Tiziano nasce a Pieve di Cadore fra gli anni settanta e novanta del Quattrocento. Il palazzo dei Vecellio, dove secondo la tradizione gli affreschi sarebbero stati fatti da Tiziano giovane (ma non si sa), è la casa che gli si attribuisce come casa natale, perché lui nasce nell’ambito del patriziato cadorino.
Da queste parti del mondo l’abete ovviamente abbonda, ma tra Quattro e (soprattutto) Cinquecento diventerà una vera e propria risorsa strategica per l’arsenale di Venezia e per la continuazione dell’impero marittimo della Serenissima. La svolta di Cambrai è in realtà fondamentale per la storia e la ricchezza del Cadore, perché, distrutta la flotta, persa la possibilità degli approvvigionamenti pugliesi, questi monti diventano centrali per la produzione del legname. D’altro canto sono anche di facile passaggio verso Venezia, perché le vie delle acque che scendono dalle montagne costituiscono un sistema di trasporto ideale.
Il percorso di produzione dell’abete è perfettamente documentato in una pergamena dei primi anni del Seicento. L’abete cresce in alta montagna, nel punto di connessione fra Cadore e Carnia; viene tagliato, portato giù lungo i fiumi, fino a un incrocio di triangolo fra valle e pieve, che è la ragione tra l’altro dell’importanza della città di Pieve. Poi scende lungo il Boite, il torrente cadorino, e si infila nel Piave, che diventa la grande autostrada del legname. Ed è proprio su questa risorsa strategica e fondamentale per la Serenissima che si siede Tiziano. Questo figlio di famiglia ricca ha talento e se ne va a bottega dal più grande dei veneziani, Giovanni Bellini, il pittore ufficiale della Repubblica, poi passa per Padova a farsi i muscoli pittorici, e si lega a quella stella cometa che è Giorgione.
Quando muore Bellini, nel 1516, Tiziano prende il suo posto ufficiale. Perché così in fretta? Perché una carriera così rapida? Perché sta compiendo una rivoluzione del gusto che forse corrisponde anche al cambiamento degli orientamenti della Serenissima, la quale da potenza di mare sta diventando regina di terra. Lui, come Giorgione di Castelfranco, sta portando in città le virtù fisiche della campagna. Ne è prova tangibile la prima opera che realizza per la chiesa dei Frari, la Pala Pesaro, quella dove tutti gli equilibri di prima vengono messi in discussione. Jacopo Pesaro era già stato ritratto da lui per celebrare la vittoria sui turchi del 1502 con alle spalle papa Borgia che, per la prima volta, raccomanda ancora da vivo il comandante militare cardinale a san Pietro che, a scanso di equivoci, è seduto sul soglio romano antico. Il dipinto è posteriore ai fatti e serviva forse a dimostrare che Venezia, soggiogata dalla Lega del papa seguente, Giulio II, con san Pietro aveva buoni rapporti.

Tiziano, Pala Pesaro, 1519-1526 ca, olio su tela, cm 478x268, Venezia, Santa Maria Gloriosa dei Frari
Il quadro dei Frari è successivo ancora negli anni e nella sequenza dei papi ma ribadisce il concetto. Il papa è rappresentato solo dalla medesima bandiera rossa, absit iniuria verbi, perché la porpora è allora ancora colore papale. Qui Jacopo Pesaro guarda san Pietro, sempre sul soglio con la chiave, il quale intercede presso la Madonna, in linea obliqua diretta. Per questo lei è decentrata rispetto alla tradizione. Gli altri Pesaro hanno la faccia soddisfatta di chi mastica potere e frutti di mare. Fenomenale il fanciullo che guarda in camera per attirare lo sguardo dello spettatore. Grandiosa la visione architettonica che sa di cinema. Tiziano aveva già pochi anni prima dipinto l’Assunta, quella dove al pian di sotto tutto è popolar cadorino, e sopra, oltre la separazione, in alta quota dove sta Dio padre, tira il vento.
Come tira il vento, nei medesimi anni nella Resurrezione di Cristo a Brescia, la città dove, sedata la rivolta e tornata Venezia padrona, si porta anche il nuovo linguaggio del pittore ufficiale. Nel Polittico Averoldi sono già presenti tutti i modi liberi della pittura successiva di Tiziano.
Nel 1525 Tiziano, su raccomandazione dei Gonzaga, incontra Carlo d’Asburgo, non ancora Carlo V imperatore. Lo affascina e riesce a farsi fare conte palatino, onore mai concesso prima a un pittore. Gloria, carriera e danaro.

Tiziano, Jacopo Pesaro presentato a san Pietro da papa Alessandro VI Borgia, 1503-1506, olio su tela, cm 145x183, Anversa, Musée Royal des Beaux-Arts

Tiziano, Polittico Averoldi, particolare con Cristo risorto, 1520-1522, olio su tavola, cm 278x253, Brescia, San Nazaro e Celso

Tiziano, Assunta, 1516-1518, olio su tavola, cm 690x360, Venezia, Santa Maria Gloriosa dei Frari
La terza età creativa
Ma di Tiziano ciò che mi colpisce di più è la longevità, vera e calcata con tale esagerazione che suo figlio Pomponio sosteneva che fosse morto a centotré anni. Ciò che lui fa più o meno negli ultimi vent’anni della sua vita, quando decide di tornare parzialmente nella sua patria di origine e qui organizza la più potente delle fabbriche di produzione pittorica esistenti allora in alta Italia, dovrebbe sollevare simpatiche discussioni sulla creatività della terza età. L’arte dei vecchi è cosa curiosa, chiede più visceralità che intellettualismo.
Tiziano è diventato una sorta di esperto della terza età, a tal punto che la sua Ultima Cena, quella del duca d’Alba, pare un’Ultima Cena fatta in gran parte da uomini e da apostoli della terza età. Giovanni rimane giovanissimo, ma le barbe grigie abbondano, i dettagli precisi sul tavolo e nelle facce sono perfettamente conformi a quel senso di realtà che chiede la Controriforma. Mi sembra un po’ invecchiato anche il cagnetto.

Tiziano, Ultima Cena, 1550-1557, olio su tela, cm 167x225, Madrid, Palazzo Liria, Collezione dei duchi d’Alba
Ultima fase della sua pittura, il materiale pittorico si disfa, in alcuni casi viene abbandonato l’uso del pennello, lui fa quello che farà Edvard Munch alcuni secoli dopo, lascia invecchiare i dipinti finché diventano durissimi e ci lavora sopra una seconda volta, spesso con dei colpi di materia messi giù addirittura con le mani, come nel San Giacomo apostolo. Certo lui sul tema della vecchiaia si era cimentato da tempo, perché quando ritrae Paolo III Farnese il papa è già vecchio, ma lui è un artista sostanzialmente nel pieno delle sue forze.
Questo suo diritto a ritrarre in un modo particolarmente aggressivo, quasi agricol-ironico, gli proviene forse dall’amicizia con il più provocatore degli intellettuali di quegli anni che è Pietro Aretino. Egli stesso diventa tra l’altro vecchio, degno assolutamente di nota, nel ritratto fattogli da uno dei suoi ammiratori che porta il nome adatto al caso, Pietro della Vecchia. Egli ha capito molto di Tiziano nella stesura della materia, nella capacità di far rilevare la catena d’oro con un piccolo leggero colpo di pennello. Lui invece, Tiziano, ha capito tutto del suo ruolo, lo troviamo cosciente di se stesso, capace di scrivere lettere di protesta a Filippo II per farsi pagare e addirittura capace di fingere in quegli anni di avere novant’anni per meritare un versamento più rapido.

Tiziano, Ultima Cena, particolare, Madrid, Palazzo Liria, Collezione dei duchi d’Alba

Tiziano, Ultima Cena, particolare, Madrid, Palazzo Liria, Collezione dei duchi d’Alba

Tiziano, San Giacomo apostolo, 1566 ca, olio su tela, cm 89x67, Venezia, San Lio
Questa stessa sottile ironia la ritrovo nel ritratto che lui fa a Francesco I dopo la prigionia, arrogante, leggero, francesissimo nella pettinatura, con i capelli che gli scendono in testa, e geniale nella capacità di far intuire la veste attraverso un semplice colpo di pennello.

Pietro Della Vecchia, Ritratto immaginario di Tiziano, 1635 ca, olio su tela, cm 115x92, Collezione privata

Tiziano, Ritratto di Francesco I, 1538, olio su tela, cm 109x89, Parigi, Musée du Louvre

Tiziano, Autoritratto, 1560 ca, olio su tela, cm 96x75, Berlino, Gemäldegalerie
Il mercato dell’arte, che spesso è un handicap per le mostre perché spinge a esporre opere assai vicine al dubbio, ogni tanto è un colpo di fortuna e sa di miracolo, ed è il caso del Ritratto di donna con fanciulla, risorto dall’oblio dopo una pulitura, che irrompe fino ai giorni nostri come certi rari bozzetti del XIX secolo, le facce sono compiute e il resto sta nel flou della sperimentazione, ma la parte terminata contiene una capacità di rappresentazione stupefacente. Questo modo di far capire con semplici e leggerissimi colpi di pennello, che visti da vicino sembrano privi di significato, tornerà solo con Velázquez; da lui passerà a Goya, e da questi a Manet.
Tiziano, l’agreste di montagna, porta a Venezia un altro modo di vedere che è molto vicino e confortato dalla visione di Giorgione, l’agreste di collina. Irrompe la natura e la fisicità nel dipingere, quindi il nudo di donna, quello della Venere di Dresda come prototipo giorgionesco, quello delle due ragazze così innaturalmente svestite nel Concerto campestre in mezzo agli artisti vestiti. Un quadro questo che è al Louvre e forse ha stimolato Manet nel Déjeuner sur l’herbe.
Gli anni della sensualità
Negli ultimi venticinque anni della sua vita Tiziano trova un cliente d’eccezione, Filippo II. Era figlio dell’imperatore Carlo V, suo primo grande cliente, l’uomo che dominava il regno più vasto del mondo, quello sul quale il sole non cala mai, dalle Indie fino all’America latina. Con la masticazione inversa come quella del padre, bello come tutti gli Asburgo, geniale nel raccogliere quadri ma frugale nel pagarli.
E in quei venticinque anni a Tiziano succede ciò che accadrà alcuni secoli dopo a Pablo Picasso: entra in un giro appassionato e creativo di sensualità. Tiziano riprende tutte le storie delle Metamorfosi di Ovidio per trasformarle in un enorme panorama di pettegolezzi sulle marachelle di Giove: la divina e olimpica erotomania di Giove e i vari modi che lui inventa per circuire e procreare nell’infinito mondo femminile della mitologia antica, come la Danae fecondata da una pioggia d’oro, la quale, per un cadorino a Venezia è ovviamente fatta di monete d’oro.

Tiziano, Ritratto di donna con fanciulla, 1555 ca, olio su tela, cm 88x80, Collezione privata

Tiziano, Concerto campestre, 1509-1510, olio su tela, cm 110x138, Parigi, Musée du Louvre

Tiziano, Venere con suonatore di liuto, 1565-1570, olio su tela, cm 165x209, New York, The Metropolitan Museum of Art

Tiziano, Danae, 1553, olio su tela, cm 129x180, Madrid, Museo Nacional del Prado
L’unica che non appare mai è Giunone, perché lei è la vera padrona di casa pronta a punirlo. In cambio, questo percorso gli consente di recuperare l’intera sua storia passata e di rendere semmai giunoniche le Veneri che ha già dipinto trent’anni prima e che qui riprendono un sapore nuovo molto più evoluto nella pittura e nella forma del corpo. Con personaggi nuovi come il suonatore di liuto che hanno già assorbito tutta l’eleganza della cultura rinascimentale portata al livello più avanzato della propria autodigestione, quelli che ricompariranno nel Seicento sotto il pennello del Caravaggio.
Tra l’altro in questi anni maturi continua il grande gioco dei ritratti come il ritratto fantastico di Paolo III Farnese a dimostrare che il potere non logora, incurva, come si è ben dimostrato nella storia recente.
Poi il ritratto magistrale dell’antiquario Strada a ricordare l’amore di Tiziano per le cose antiche e le lettere. Una passione per le lettere alle quali non era stato iniziato da studi sofisticati, ma dall’amicizia con Pietro Aretino arrivato a Venezia, forse legato a sua sorella zitella, quella che accudisce i suoi figli quando rimane vedovo. Questa amicizia lo porterà a rappresentare l’Aretino in una serie di ritratti formidabili da un punto di vista esecutivo, inserendolo nei grandi ritratti del mondo veneziano sia di potere sia d’intelletto. All’amico Aretino chiede addirittura di posare per far Pilato nell’Ecce Homo, un dipinto potentissimo degli anni della maturità cioè del 1543, realizzato su commissione per un mercante fiammingo e da lui firmato con la fierezza del titolo di Cavaliere dello Speron d’oro ottenuto dall’imperatore dieci anni prima. Un quadro-posteggio pieno di personaggi famosi, che non riconosciamo più tutti necessariamente, se non almeno Alfonso D’Avalos, il famoso governatore per conto di Carlo V, che parla all’orecchio di Solimano. E come sempre il cagnetto rosso del cadorino.

Tiziano, Ritratto di Paolo III Farnese, 1546 ca, olio su tela, cm 89x79, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Tiziano, Ritratto di Jacopo Strada, 1568, olio su tela, cm 125x95, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Tiziano, Ritratto di Pietro Aretino, 1545, olio su tela, cm 97x76, Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti
Tiziano maturo, dopo trent’anni di attività convinta, è diventato una sorta di inventore del cinematografo, perché pone il suo occhio in una posizione non lontana da quella che assumerà fra poco Ejzenštejn. Tiziano, l’artista che le tre età della vita le ha vissute con un così profondo convincimento da averle rappresentate in un dipinto, l’Allegoria della Prudenza: giovane allegro come un cane, maturo e forte come un leone e vecchio con la saggezza del vecchio lupo.
Tiziano, che guarda il proprio destino da vecchio con sicurezza assoluta e talmente accertata da cambiare addirittura il suo modo di dipingere, nel suo autoritratto del 1560, oggi a Berlino, rappresenta la collana segno del cavalierato con dei minimi colpi di pennello sopra una camicia dipinta con piccoli e rapidi cenni di biacca e rifinita con strofinamenti che spappolano la pittura. Come spappolano la pittura gli strofinamenti per definire con un nulla le mani.

Tiziano, Ecce Homo, intero, 1543, olio su tela, cm 242x361, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Tiziano, Ecce Homo, particolare, 1543, olio su tela, cm 242x361, Vienna, Kunsthistorisches Museum
Il disfacimento della materia non è il disfacimento della vita ma è un nuovo modo di imparare la pittura da vecchio, che lui applica non solo ai soggetti mitologici, e così detti erotici, ma che usa pure per portare la medesima sensualità nel grande soggetto religioso. Come nel caso del San Sebastiano dell’Ermitage che si staglia sulla linea d’orizzonte che sembra quella di una città industriale infiammata come quella di un dipinto del XIX secolo e che si conclude con dei gesti di pennello di una ferocia inattesa che troveremo solo nel XX secolo, quando la pittura accetterà tutta la gestualità dell’Espressionismo.
Questa pittura la ritrovo analoga anche nei dipinti che fa ancora per Venezia, come il grande telero dell’Annunciazione per San Salvador nel quale la velocità della pittura impressiona perché la velatura di un secolo prima è stata integralmente dimenticata. La velatura, la tecnica di dipingere un colore trasparente sulla base di un altro colore già disposto così da generare il senso e la profondità dei volumi, viene sostituita dalla materia medesima che è al contempo anche disegno.

Tiziano, Allegoria della Prudenza, 1565-1570, olio su tela, cm 76x68, Londra, The National Gallery

Tiziano, Annunciazione(Incarnazione), 1560-1565, olio su tela, cm 403x235, Venezia, San Salvador
Tutto cambia. Bellini è sepolto, tutto è ebollizione di materia, ha già quel sapore spesso della grande gastronomia ottocentesca francese. A Venezia, dove gioca fra le copie e trova un soggetto di una santa Margherita dipinta nell’ambito post raffaellesco o vicino a Raffaello, con un fantastico drago a bocca aperta che spiega cos’era per i toscani e per i romani il disegno da colorare rispetto a ciò che sarà il suo lavoro, dove il disegno non è altro che mettere il colore, è nel dipingere che si disegna, non c’è più una base sotto, tutta la base sta nella testa e nella pancia.
Lo stesso soggetto, lo stesso serpente, con in più però un teschio da memento mori posato in fondo a destra e un paesaggio sulla linea dell’orizzonte che è uno sguardo nella notte dei tempi, quella notte dei tempi che segna il destino di Tiziano, la sua religiosità carica di pathos così adatta allo stile nuovo della Controriforma, così intensa da cambiare la mitologia nel Marsia, dove il cagnetto ormai morto è ricordato, così visionaria da lasciare intuire la fine terribile della sua propria morte di peste, dopo avere visto portar via dai monatti il figlio pittore, il prediletto Orazio, al quale dedica l’ultimo quadro, una intercessione alla Madonna dinnanzi a un Cristo morto con i segni della peste bubbonica. Quella che uccide anche lui, rispettosamente lasciato morire in casa propria.
Eccolo Tiziano, l’artista diventato famoso fra gli artisti. Maestro nel senso viscerale della parola.

Raffaello e aiuti, Santa Margherita, 1520 ca, olio su tela, cm 192x122, Vienna Kusthistorisches Museum

Tiziano, Santa Margherita, 1562, olio su tela, cm 242x182, Madrid, Museo Nacional del Prado

Tiziano, La punizione di Marsia, 1570-1576, olio su tela, cm 212x207, Kroměříž, Palazzo Arcivescovile

Tiziano, Pietà, particolare, 1575 ca, olio su tela, cm 378x347, Venezia, Gallerie dell’Accademia