Piero della Francesca o della purezza

Quando, qualche anno fa, uscì un film per ragazzi che aveva come protagoniste quattro tartarughe ninja, queste furono battezzate con nomi mitici: Donatello, Michelangelo, Leonardo e Raffaello. Perché non Piero, visto che Piero della Francesca è considerato da molti il vero fondatore della visione moderna della pittura?

La fine di un’epoca

Nonostante sia un cardine della nostra cultura visiva, Piero è un artista molto più iniziatico del previsto, difficilmente codificabile in un segno di riconoscimento banale. Rispetto ai soliti quattro nomi noti a tutti, sono allora altri quattro i personaggi che determinano il cambiamento di rotta nel Quattrocento verso ciò che si chiamerà un giorno Rinascimento: Piero ovviamente, Andrea Mantegna, Sandro Botticelli e Antonello da Messina. Tutti hanno fatto scuola tranne Piero, perché sin dal suo apparire si capì che sarebbe stato insuperabile, per la sua capacità di sintesi, per la purezza del suo enunciato e poi per la semplificazione dei concetti come nel caso esemplare dell’uovo sospeso e misterioso, nella celebre Pala di Brera, che pende dal centro della conchiglia.

Per capire questo artista irraggiungibile dobbiamo inquadrare il periodo in cui è vissuto e tirare in ballo altri personaggi, anche alcuni che con la pittura hanno poco a che fare.

La partita doppia è il libro dei ragionieri del mondo intero. Si chiama così perché il metodo su cui si basa consiste nell’annotare le operazioni finanziarie su due diverse serie di conti. Venne pubblicato per la prima volta nel 1494 come strumento di contabilità. Nello stesso anno, sempre a Venezia, il frate francescano Luca Pacioli pubblica una vera e propria enciclopedia matematica dal titolo Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità, un trattato generale di aritmetica e di algebra in volgare con riferimento a monete, pesi e misure utilizzati nei diversi Stati italiani. Uno dei capitoli della Summa è il Tractatus de computis et scripturis, dove viene presentato per la prima volta il concetto di partita doppia, del dare e avere, bilancio e inventario. Concetto che si diffuse poi per tutta Europa con il nome di “metodo veneziano”, perché usato dai mercanti di Venezia. In quello stesso 1494 anche il giovane Albrecht Dürer arriva a Venezia. Ma l’evento storico determinante è che, nel settembre dello stesso anno, le truppe francesi di Carlo VIII invadono l’Italia, iniziano le guerre d’Italia e finisce il sogno del Principe.

Grandi protagonisti del Quattrocento italiano, i nostri principi erano gente tutt’altro che bonaria: erano determinati, sapevano essere crudeli, non guardavano in faccia a nessun pur di difendere il loro territorio. Ma, spesso, erano anche uomini d’arte e sofisticati mecenati, molto più di quanto non apparissero i grandi sovrani d’Europa. Questo spiega bene la mutazione che avverrà in Italia quando le guerre dei francesi andranno a eliminare la figura quattrocentesca del principe e daranno vita al disordine politico che in breve formerà l’embrione degli Stati successivi. È curioso che Machiavelli scriva il suo testo fondamentale nel 1513 quando la figura che egli intende esaltare è nella sostanza superata e gli stessi Medici dovranno ancorare il loro potere alla legittimazione dell’Impero e del Papato. Riflessione bizzarra sulla politologia italiana che spesso tende a essere rétro: si parla d’una cosa quando non c’è più. Mi vorranno perdonare i sostenitori di Benigni, che dà dell’Alighieri una lettura pubblica talvolta folkloristica.

Invero anche il sommo Dante narra ed esalta un mondo medioevale all’inizio del Trecento, quando questo cosmo è già in fase di estinzione perché l’altro successivo sta già sorgendo, come lo potrà intuire Petrarca ad Avignone.

Piero della Francesca,Dittico di Urbino, Trionfo di Federico, 1474 ca, olio su tavola, cm 47

Piero della Francesca, Dittico di Urbino, Trionfo di Federico, 1474 ca, olio su tavola, cm 47x33, Firenze, Galleria degli Uffizi

È proprio in questo mondo del principe, il primo Rinascimento, che Piero della Francesca è stato artista incontrastato e indiscusso. Egli muore nel 1492, l’anno cardine nel quale muore anche Lorenzo il Magnifico, viene scoperta l’America e gli ebrei vengono cacciati dalla Spagna. Tutti cambiamenti radicali del mondo.

Piero e il principe

Andiamo allora a Urbino dove Piero inizia la sua carriera sotto l’egida di uno dei personaggi più significativi di questo mondo. Lui è Federico da Montefeltro, per un certo verso un prototipo del principe di allora: aggressivo, sveglio, sicuro di sé a tal punto che si fa ritrarre con il famoso taglio nel naso che gli permetteva di sbirciare a sinistra con l’unico occhio che gli era rimasto. Bastardo di nascita, probabile responsabile dell’uccisione del suo stesso fratello, che avrebbe attuato per diventare lui erede di Urbino. Però capace poi di farsi fare duca di Urbino dal papa. A lui appartiene la più bella libreria privata d’Italia, seconda solo a quella famosa del Vaticano. Nel 1472 ha appena finito il massacro dei nemici di Firenze, sottomettendo Volterra. Nello stesso anno muore la moglie Battista Sforza. Dall’aspetto così nobile e aristocratico, ieratica, algida e bianca, non per la morte che l’ha appena colta ma per la funzione che ricopre. Eppure anche lei proveniente da una famiglia che due sole generazioni prima, come si potrebbe dire oggi, non esisteva. Qui l’idea del bello ieratico e algido è di Piero, ma corrisponde anche a quella in cui il principe, autocrate e avventuriero, rozzo e coltissimo al contempo, s’identifica. Il dittico famosissimo di Piero ha sul retro le rispettive scene del trionfo d’entrambi i coniugi. Nel suo lui ha la Vittoria alle spalle la quale però, come dice Carlo Bertelli, invece di tenere il globo terrestre in mano in segno di potere, è in piedi su di esso e rischia di scivolare.

Piero della Francesca,Dittico di Urbino, Ritratto di Battista Sforza, 1474 ca, olio su tavola, cm 47

Piero della Francesca, Dittico di Urbino, Ritratto di Battista Sforza, 1474 ca, olio su tavola, cm 47x33, Firenze, Galleria degli Uffizi

 

Piero della Francesca,Dittico di Urbino, Ritratto di Federico da Montefeltro, 1474 ca, olio su tavola, cm 47

Piero della Francesca, Dittico di Urbino, Ritratto di Federico da Montefeltro, 1474 ca, olio su tavola, cm 47x33, Firenze, Galleria degli Uffizi

Quant’è diversa questa corte da quella medicea di Lorenzo il Magnifico, principe senza sanzione di titolo ma solo con il potere del danaro e la scaltrezza delle relazioni politiche e diplomatiche, anche lui coltissimo. A Firenze vige un’altra bellezza, quella di Simonetta Cattaneo, sposata Vespucci e amante pubblica di Giuliano de’ Medici, quello assassinato nella congiura dei Pazzi. Muoiono entrambi giovani nei medesimi anni. Piero di Cosimo la ritrae come una Venere, Botticelli la riprende e ricorderà di lei defunta quando dipingerà la Primavera, dove lei è Venere in tutti i sensi, perché è la più bella della sua epoca e perché è nata a Porto Venere, dove si diceva fosse nata la dea.

Sandro Botticelli,Ritratto di Simonetta Vespucci, 1480 ca, tempera su tavola, cm 81,8

Sandro Botticelli, Ritratto di Simonetta Vespucci, 1480 ca, tempera su tavola, cm 81,8x54, Francoforte, Städel Museum

 

Piero di Cosimo,Ritratto di Simonetta Vespucci, 1480, olio su tavola, cm 57

Piero di Cosimo, Ritratto di Simonetta Vespucci, 1480, olio su tavola, cm 57x42, Chantilly, Musée Condé

 

Sandro Botticelli,Ritratto di Giuliano de’ Medici, 1478-1480, tempera su tavola, cm 105,7

Sandro Botticelli, Ritratto di Giuliano de’ Medici, 1478-1480, tempera su tavola, cm 105,7x81,3, Washington, National Gallery of Art

L’altra grande opera dove appare il duca d’Urbino è la Pala di Brera, a Milano. Dipinta probabilmente in contemporanea con i ritratti di Urbino, qui il senso del vuoto e del puro, vanno al di là di ogni ipotesi di contenuti iniziatici. Il duca s’è tolto elmo e guanti per pregare, la Madonna è olimpica nella sua calma quanto il Bimbo con il corallo, simbolo del sangue della passione. Tutti i partecipanti alla muta conversazione hanno gli occhi quasi allineati. Sola spunta nella disposizione delle teste quella assorta e aristocratica della giovane Madonna. Concettualmente portati alla quintessenza del significato gli abiti semplici del frate, del santo o del duca Federico in armatura. E in questa architettura, sognata e perfetta, fatta di marmi candidi dove la prospettiva fugge perfettamente centrale, domina su tutto il piccolo uovo sospeso sulla testa della Madonna, simbolo della perfezione dei corpi. Un tempo sospeso per un’idea di eternità della rappresentazione artistica. E forse non c’è nulla da interpretare oltre questa volontà di perfezione estetica. In fondo il principe ama il sangue sotto la spada e l’equilibrio totale fra le mura.

Piero della Francesca,Pala di Brera, 1472-1474, olio e tempera su tavola, cm 248

Piero della Francesca, Pala di Brera, 1472-1474, olio e tempera su tavola, cm 248x170, Milano, Pinacoteca di Brera

Francesco di Giorgio Martini,Porte a tarsie lignee con la città ideale, particolare, 1476-1477, legno, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, Palazzo Ducale

Francesco di Giorgio Martini, Porte a tarsie lignee con la città ideale, particolare, 1476-1477, legno, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, Palazzo Ducale

Sempre per Federico da Montefeltro, Piero aveva realizzato anche la Flagellazione, uno dei dipinti più commoventi e misteriosi del mondo. Spesso penso a quanto sia diversa la storia di quest’opera da quella dell’altro grande dipinto che amo moltissimo, la Crocifissione di Grünewald, a Colmar, di circa sessant’anni dopo. Il Cristo di Grünewald serve a far capire ai suoi cristiani il messaggio teologico preciso, ovvero la sua passione. La Flagellazione di Piero rimane invece un rebus da guinness dei primati, ogni storico dell’arte tende a inventare la propria interpretazione e ancora oggi non ci capiamo niente. In che cosa consiste la differenza? Ci sono varie interpretazioni che provano a spiegare chi si nasconda simbolicamente dietro gli attori presenti in scena, chi sia Pilato seduto; addirittura John Pope-Hennessy reputa che il flagellato non sia Cristo, ma un santo che sogna di essere flagellato per troppa passione letteraria. Quello che è certo è che la porta rappresentata è uguale alla porta della stanza della sala del palazzo d’Urbino che la ospita e che l’architettura bianca di marmo perfetto è identica a quella che sta proponendo Leon Battista Alberti negli stessi anni.

In fondo di Piero m’interessa soprattutto la sospensione metafisica dell’atmosfera e il concentrato di questo mondo bizzarro della seconda metà del Quattrocento, dove la proposta del nuovo assoluto sembra passare necessariamente attraverso la riscoperta della pietra antica.

Piero della Francesca,Flagellazione, 1455 ca, tempera su tavola, cm 59

Piero della Francesca, Flagellazione, 1455 ca, tempera su tavola, cm 59x81,5, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche

Negli stessi anni Benedetto da Maiano realizza le tarsie dello studiolo di Federico da Montefeltro e Botticelli ne disegna altre per alcune porte del palazzo, dove appaiono costantemente città ideali. Una lucida follia. A Urbino la purezza e l’equilibrio dei segni corrisponde a una contorsione mentale, ma è un gioco.

L’aria che riempie gli spazi

Prima generazione di artisti intellettuali quella di Piero e di Leon Battista Alberti, gente che legge in latino come chi ha studiato per la legge o per la Chiesa, come l’Alberti, o come Piero, autodidatta, che il sapere della matematica se l’è rubato a Firenze e che applica in questo caso i dettami di Archimede per raggiungere la perfezione dei propri disegni. Verrà spesso chiamato “Piero di Burgo, Pittore e Matematico”, il che giustifica la sua inclinazione alla perfezione formale.

La Madonna con il Bambino e quattro angeli è un racconto anche questo abbastanza intrigante. Il Bambino, appena appoggiato al ginocchio della madre, tende le braccia paffutelle quanto basta verso il sublime, purissimo fiore che lei gli offre. Ma guardatele gli occhi. Lei è eterea giovane e virginale, i modelli di riferimento sono forse per noi lontani, ma questo è un volto della sua epoca, e pure ha qualcosa in più. La perfezione. L’urgenza del segno oltre la quale non si può andare. La bocca di lui non potrebbe essere più determinata e determinante di così. La bocca di lei non potrebbe essere più sospesa e ovviamente più perfettamente equilibrata con la dimensione degli occhi e con tutti gli altri crismi degli equilibri. Anche se lui è talmente rigido da poter essere agitato come uno di quei bambocci di marzapane che si regalano nella Germania d’oggi la notte di Natale.

Molto istruttivo è il paragone con un dipinto quasi contemporaneo di Giovanni Bellini. Il veneziano non è astratto. Quanto è veneziana Santa Giustina! Quanto è stimabile sul mercato la qualità dei suoi gioielli! Quanto la sua eleganza gioca con la leziosità! I due dipinti sono degli stessi anni, mangiano le stesse e medesime sogliole adriatiche, eppure uno va verso la ricchezza, l’altro verso la frugalità.

Giovanni Bellini,Santa Giustina, particolare, 1470 ca, tempera su tavola, cm 128

Giovanni Bellini, Santa Giustina, particolare, 1470 ca, tempera su tavola, cm 128x63, Milano, Museo Bagatti Valsecchi

 

Piero della Francesca,Madonna con il Bambino e quattro angeli, particolare, 1460-1470 ca, olio su tavola trasferito su tela su tavola, cm 107,8

Piero della Francesca, Madonna con il Bambino e quattro angeli, particolare, 1460-1470 ca, olio su tavola trasferito su tela su tavola, cm 107,8x78,4, Williamstown, Clark Art Institute

Negli ultimi anni Piero scrive sia il De prospectiva pingendi, ultimo ostinato atto teorico della prospettiva albertiana, sia De abaco, un trattato sul calcolo. Diventa così un intellettuale attraverso il percorso della sua pittura, ma lui è ben più di un rigoroso calcolatore della prospettiva: è il primo a sentire i limiti che la questione prospettica pone. In pittura non basta più rendere lo spazio geometricamente misurabile, va riempito con l’aria. E nella Madonna di Senigallia, nella luce del meriggio che penetra dalle finestre, appare il pulviscolo, l’atmosfera metafisica dell’ambiente, la sua sensazione tattile. Se la testa dell’angelo può essere iscritta in un cerchio perfetto, gli oggetti sullo scaffale anticipano quelli di Lorenzo Lotto, nell’Annunciazione, o di Giorgio Morandi.

Piero della Francesca,Madonna di Senigallia, particolare, 1472-1475, olio e tempera su tavola, cm 61

Piero della Francesca, Madonna di Senigallia, particolare, 1472-1475, olio e tempera su tavola, cm 61x53,5, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche

 

Piero della Francesca,Madonna di Senigallia, particolare, 1472-1475, olio e tempera su tavola, cm 61

Piero della Francesca, Madonna di Senigallia, particolare, 1472-1475, olio e tempera su tavola, cm 61x53,5, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche

 

Lorenzo Lotto,Annunciazione, particolare, 1534 ca, olio su tela, cm 166

Lorenzo Lotto, Annunciazione, particolare, 1534 ca, olio su tela, cm 166x114, Recanati, Pinacoteca Civica

Dal borgo alla corte

L’Italia di allora si suddivide in due realtà organizzative e politiche ben diverse l’una dall’altra, le signorie da un lato e le città legate alle Repubbliche, quelle che si autogovernano o che sono in qualche modo dipendenti da aree autogovernate.

Ad Arezzo, nella cappella Maggiore della chiesa di San Francesco, vi è il ciclo d’affreschi con la Leggenda della Vera Croce. La vista del famoso ciclo dipinto da Piero, nell’ottica quasi di un fumetto istruttivo per i fedeli, è stata di recente impedita da un muretto, un po’ come quello che divide la Palestina. Così Piero e la Vera Croce sono stati messi a reddito, per vedere la pittura da vicino si paga.

Rimane tuttavia molto interessante il confronto che si può fare della grande Crocifissione primitivista del Maestro di San Francesco, posta sopra l’altare, con il magnifico ciclo di Piero della Francesca. È effettivamente questo il passaggio dal borgo alla corte. È come se dall’uno all’altro la pittura avesse imparato in pieno il senso del suono, i bisbigli talvolta e i fragori altre volte. È come se Piero avesse però dimenticato invece del primitivismo un’altra caratteristica: la sua pittura non ha odore. Ritrovo come sempre questa curiosa abilità in Piero che consiste nell’essere contemporaneamente ieratico e per un certo verso verista, capace di citare dettagli minimi e precisi della quotidianità. I morsi dei cavalli sono descritti con la precisione dell’Encyclopédie. Come sono perfetti i nastrini di cuoio rosso che tengono insieme le parti delle armature. In ambito francescano tra l’altro queste armature ricompaiono per il Giulio II, giovane francescano oltre che militante, realmente militare. Per il resto il tema medioevale della Legenda Aurea della Vera Croce viene trattato esattamente come se fosse un tema della mitologia, fa tutto parte di un mondo mitico.

Maestro di San Francesco,Crocifisso, particolare, XIII secolo, tempera su tavola, Arezzo, San Francesco

Maestro di San Francesco, Crocifisso, particolare, XIII secolo, tempera su tavola, Arezzo, San Francesco

 

Piero della Francesca, Veduta generale della Cappella Maggiore con laLeggenda della Vera Croce, 1452-1459, affresco, Arezzo, San Francesco

Piero della Francesca, Veduta generale della Cappella Maggiore con la Leggenda della Vera Croce, 1452-1459, affresco, Arezzo, San Francesco

 

Piero della Francesca,Leggenda della Vera Croce, Scoperta e prova della Vera Croce, Battaglia di Eraclio e Cosroe, particolare, 1452-1459, affresco, Arezzo, San Francesco

Piero della Francesca, Leggenda della Vera Croce, Scoperta e prova della Vera Croce, Battaglia di Eraclio e Cosroe, particolare, 1452-1459, affresco, Arezzo, San Francesco

 

Piero della Francesca,Leggenda della Vera Croce, Adorazione della croce e incontro tra Salomone e la regina di Saba, particolare, 1452-1459, affresco, Arezzo, San Francesco

Piero della Francesca, Leggenda della Vera Croce, Adorazione della croce e incontro tra Salomone e la regina di Saba, particolare, 1452-1459, affresco, Arezzo, San Francesco

Piero della Francesca,Leggenda della Vera Croce, Battaglia di Eraclio e Cosroe, particolare

Piero della Francesca, Leggenda della Vera Croce, Battaglia di Eraclio e Cosroe, particolare

Piero della Francesca,Leggenda della Vera Croce, Sogno di Costantino, 1452-1459, affresco, cm 329

Piero della Francesca, Leggenda della Vera Croce, Sogno di Costantino, 1452-1459, affresco, cm 329x190, Arezzo, San Francesco

Davanti al tripudio folle di una guerra che dovrebbe essere combattuta in un’epoca lontana ma è vestita tutta in abiti contemporanei, appaiono uomini nudi che sembrano ben più antichi ancora e armature che sanno di una Roma ormai scomparsa. Ma su tutto, come nel Sogno di Costantino, vince la poesia.

Gli archetipi di Piero

Piero è fondatore di una visione che è intimamente legata alla sua terra. Bisogna andare allora al confine fra Toscana e Umbria, nella famosissima Valle del Tevere. Proprio all’inizio della valle c’è un paesetto, Monterchi, dove scopriamo l’assoluta totale genialità italiana, la Madonna del parto. Uno dei venti dipinti archetipi della storia d’Occidente, archetipo stesso dell’immagine della Madonna, rara opera d’arte che tiene vivo il contatto con il paesaggio collinare di quei luoghi. Lei, dipinta da Piero per la cappellina del cimitero dove riposava sua madre, non ha bisogno d’essere descritta, solo guardata, un segno di consolazione per affrontare l’aldilà.

Nel Polittico della Misericordia, che troviamo invece spostandoci nel Museo Civico di Sansepolcro che all’epoca era il Palazzo della Residenza e dei Conservatori, la tenda diventa il manto della Madonna. Sopra di lei chiude il polittico la Crocifissione, un grido di dolore, uno dei rari casi nei quali Piero della Francesca dipinge l’espressività forte della sua cultura storica.

Piero della Francesca,Polittico della Misericordia, 1444-1464, olio e tempera su tavola, cm 273

Piero della Francesca, Polittico della Misericordia, 1444-1464, olio e tempera su tavola, cm 273x323, Sansepolcro, Museo Civico

Nella Sala dei Conservatori, esattamente lì dove era stato dipinto, si trova l’affresco della Resurrezione, leggermente rovinato nella stesura dalle volte messe lì posteriormente. Un Cristo inatteso che entra nella sua nuova dimensione, lui stesso come sorpreso di ciò che gli sta accadendo. E i soldati sotto che dormono nella loro conquistata modernità.

Piero della Francesca,Polittico della Misericordia, Madonna della Misericordia, 1444-1464, tempera e olio su tavola, cm 134

Piero della Francesca, Polittico della Misericordia, Madonna della Misericordia, 1444-1464, tempera e olio su tavola, cm 134x91, Sansepolcro, Museo Civico

Piero della Francesca,Madonna del parto, 1476-1483, affresco, cm 203

Piero della Francesca, Madonna del parto, 1476-1483, affresco, cm 203x203, Monterchi, Museo della Madonna del Parto

Intrigante la storia di Piero della Francesca. Di lui rimangono forse quindici o venti opere e sono sufficienti a farne un colosso della storia dell’arte, sì che ogni frammento ha il suo peso, anche quello con san Giuliano, dove ritrovo tutta l’impostazione delle sue facce, ma soprattutto dove mi colpisce il modo abile e assolutamente fresco di dipingere lo sfondo, quasi un piccolo Mark Tobey su fondo nero. Ed è questo il motivo per il quale Leonardo ha lasciato i leonardeschi, Raffaello ha lasciato i raffaelleschi, Michelangelo ha lasciato i michelangioleschi mentre Piero non ha lasciato i pierini, a esclusione forse dello scultore Pierino da Vinci che con lui non ha niente a che fare se non forse per la vicinanza dei luoghi di nascita.

Piero della Francesca,Polittico della Misericordia, Crocifissione, 1444-1464, tempera e olio su tavola, cm 81

Piero della Francesca, Polittico della Misericordia, Crocifissione, 1444-1464, tempera e olio su tavola, cm 81x52,5, Sansepolcro, Museo Civico

 

Piero della Francesca,San Giuliano, 1455-1460, affresco, cm 130

Piero della Francesca, San Giuliano, 1455-1460, affresco, cm 130x105, Sansepolcro, Museo Civico

 

Piero della Francesca,La Resurrezione di Cristo, 1450-1463, tempera e affresco, cm 225

Piero della Francesca, La Resurrezione di Cristo, 1450-1463, tempera e affresco, cm 225x200, Sansepolcro, Museo Civico

I tedeschi, all’opposto, già allora pensavano a costruire la BMW e quindi prestavano una somma attenzione alla realtà delle cose che investigavano con ossessiva capacità catalogatoria. Non si sa se Dürer sapesse di essere aristotelico, ma è certo che la sua indagine seguiva le indicazioni di Aristotele sulla conoscenza attraverso la percezione, cioè l’osservazione, come avrebbe fatto quell’anarchico di Leonardo che non per nulla frequentava i domenicani, gli ultimi aristotelici superstiti per via del loro attaccamento ideologico a Tommaso d’Aquino, il più famoso dei loro. Questa bizzarra quanto fertile dialettica fra posizioni da antropologia culturale verrà in seguito risolta da Michelangelo.

Insomma, se vi sono due personalità diametralmente opposte, sono ben quelle di Piero e di Albrecht, l’uno idealista fino ai limiti della matematica, l’altro pragmatico fino ai confini delle scienze fisiche. Comunque il confronto rimane foriero di pensieri assai sconvolgenti, in quanto se da un lato l’uno è voyeur e l’altro visionario, è innegabile che siano entrambi mossi dallo stesso denso misticismo. Ma la questione diventa ancor più curiosa se se ne vanno a cercare le evoluzioni lontane. In pieno XIX secolo, Ingres, seguace accanito di Raffaello, quindi sostanzialmente ultima vittima possibile del neoplatonismo rinascimentale, si ritrova a non potere non riprendere l’aristotelico sperimentatore germanico e combinare i due percorsi nel suo notissimo Bagno turco. Tutte con turbante, tutte conturbanti. La faccenda ha quasi dell’ironico: per passare dalla libertà sessuale di Dürer a quella di Ingres l’Europa ha dovuto dilaniarsi nelle guerre di religione, sopportare il dramma della sifilide e la conseguente sessuofobia per riscoprirsi identica al mondo dimenticato delle antiche tradizioni termali etrusco-romane.

Albrecht Dürer,Il bagno delle donne, 1496, penna e inchiostro su carta, cm 23,2

Albrecht Dürer, Il bagno delle donne, 1496, penna e inchiostro su carta, cm 23,2x22,9, Brema, Kunsthalle

 

Jean-Auguste-Dominique Ingres,Il bagno turco, 1863, olio su tela, ø cm 100, Parigi, Musée du Louvre

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Il bagno turco, 1863, olio su tela, ø cm 100, Parigi, Musée du Louvre

 

Raffaello,La Fornarina, 1518-1519, olio su tavola, cm 87

Raffaello, La Fornarina, 1518-1519, olio su tavola, cm 87x63, Roma, Museo Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini