Eccentrici e fantastici fuori dal coro

L’Italia del Cinquecento è piena di misteri reconditi.

Mentre di giorno rompe gli schemi estetici perfetti del Rinascimento e si dà al Manierismo, sviluppato intorno all’idea sempre più sofisticata dello stupire, affabulare e intrigare, l’Italia celata, privata e notturna, gioca ogni tipo di scherzo e di bizzarria.

Che cosa si intende quando nella storia dell’arte si parla di Manierismo? Di solito la definizione si riferisce a un arco temporale che vede il suo fulcro fra 1520 e 1563, dalla morte di Raffaello alla chiusura del Concilio di Trento, e in mezzo moltissime cose accadono, politiche, religiose, artistiche, e molti sono i semi di successivi sviluppi in Italia e in Europa.

Il termine, secondo il Vasari, viene da “maniera” (anche oggi si dice “alla maniera di” quando ci si veste come o ci si ispira a qualcuno) e in questo caso il modello era il modo di far pittura di Leonardo, Raffaello e Michelangelo. Ma ben più interessante e preciso, a questo proposito, è un sonetto di Agostino Carracci che recita: “Chi farsi buon pittore cerca e desia / Il disegno di Roma abbia alla mano / La mossa con l’ombrar veneziano / E il degno colorir di Lombardia / Di Michelangel la terribil via / Il vero naturale di Tiziano / Di Correggio lo stil puro e sovrano / E di Raffael la giusta simmetria / Del Tibaldi il decoro e il fondamento / Del dotto Primaticcio l’inventare / E un po’ di grazia del Parmigianino”.

Andiamo allora a vedere più da vicino il Parmigianino, che di grazia fu pieno. E anche chi, nelle lunghe nottate italiane e asburgiche, unì follia e sapere per dar vita alle più erudite stramberie: l’Arcimboldo.

Parmigianino di Francia

Parmigianino è il soprannome del pittore Girolamo Francesco Maria Mazzola, “ino” perché era di corporatura minuta e aspetto gentile, nato a Parma nel 1503, una delle punte massime di questo atteggiamento culturale che percorre gran parte del XVI secolo.

Alcuni suoi dipinti sono autentici miracoli della storia della pittura, gioielli transgenici senza tempo. Il Ritratto di giovane donna del 1530-1531, per esempio, mi interessa in modo particolare: l’acconciatura è descritta con la precisione di un cesello mentre la veste a un occhio maldestro potrebbe sembrare non finita. In realtà questa pittura preimpressionista e libera serve a far comprendere fino in fondo la leggerezza a batuffolo delle vesti. La stessa sensazione “tattile” restituita dal batuffolo che tiene in mano La schiava turca.

Parmigianino,La schiava turca, 1531-1532, olio su tavola, cm 67

Parmigianino, La schiava turca, 1531-1532, olio su tavola, cm 67x53, Parma, Galleria Nazionale

 

Parmigianino,Ritratto di giovane donna, 1530-1531, olio su tavola, cm 50

Parmigianino, Ritratto di giovane donna, 1530-1531, olio su tavola, cm 50x46,4, Vienna, Kunsthistorisches Museum

La trasversalità storica di Antea addirittura mi spaventa, perché mi ricorda l’incisività di Goya ma visto con gli occhi di Manet. E per rivedere le mani di Malatesta Baglioni dovrò aspettare almeno i cento anni che lo separano da Velázquez, ma senza quello stesso sorriso ignoto sotto la pelliccia di lince. E con un gesto così quotidiano da sembrare quello di un signore fissato in una polaroid.

È fortemente realistico, anzi reale, il Ritratto di uomo con libro, che per un istante sospende la lettura per guardare il pittore. Così come Lorenzo Cybo che, avvolto nelle sue sete e nei suoi velluti, si accorge per un attimo di essere guardato.

Chi è veramente questo curioso genio parmigiano che a trentasei anni è vecchio e a trentasette muore dopo essersi dato all’alchimia? E che si ritrae una quindicina di anni prima come un adolescente leggiadro, in un piccolo tondo che appare come uno specchio convesso nel quale la mano destra in primo piano è prorompente e deformata?

Parmigianino,Antea, 1535, olio su tela, cm 135

Parmigianino, Antea, 1535, olio su tela, cm 135x88, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte

 

Parmigianino,Ritratto di Malatesta Baglioni, 1527-1528, olio su tavola, cm 117

Parmigianino, Ritratto di Malatesta Baglioni, 1527-1528, olio su tavola, cm 117x98, Vienna, Kunsthistorisches Museum

 

Parmigianino,Ritratto di Lorenzo Cybo, 1526 ca, olio su tavola, cm 126,5

Parmigianino, Ritratto di Lorenzo Cybo, 1526 ca, olio su tavola, cm 126,5x104,5, Copenaghen, Statens Museum for Kunst

Parmigianino, realista all’inverosimile, è però capace al tempo stesso di una visione quasi deformata della realtà.

Sarà artista fondamentale in una città, Parma, che non sapeva ancora quanto anche lei stessa lo sarebbe diventata. Dopo circa centocinquant’anni d’appartenenza alla Milano dei Visconti e degli Sforza, Parma diventa francese. Nel 1521 l’esercito pontificio e quello spagnolo sconfiggono definitivamente i francesi e la città ha un governatore pontificio eccellente, Francesco Guicciardini, intellettuale che conosciamo per la sua Storia d’Italia. Nel 1545 papa Paolo III Farnese crea il ducato di Parma e Piacenza e lo affida al figlio illegittimo, Pier Luigi, coetaneo del Parmigianino.

I dipinti di Parmigianino sono autentici miracoli della storia della pittura, gioielli transgenici senza tempo.

Parmigianino,Ritratto di uomo con libro, 1523-1524, olio su tela, cm 70

Parmigianino, Ritratto di uomo con libro, 1523-1524, olio su tela, cm 70x52, York, City Art Gallery

E qui inizia una di quelle mie letture trasversali e un po’ provocatorie della storia dell’arte, perché reputo che il fatto che Parmigianino sia nato nel 1503, quindi francese in qualche modo, non sia cosa priva d’influenza sulla sua pittura. Appartiene infatti a una generazione nata a cavallo del secolo, di cui fanno parte Benvenuto Cellini, Primaticcio, Rosso Fiorentino, Giulio Romano, Perin del Vaga e Bronzino. Dettagli significativi: Rosso Fiorentino ha quasi la stessa età di Francesco I, re di Francia, mentre Cellini la stessa di Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero. E i loro anni saranno caratterizzati dalla lotta fra re, imperatore e papa.

Talmente personale oltre che politico lo scontro fra i due monarchi che tenteranno di risolverlo in un duello vero e proprio, che però non avverrà mai. Nel frattempo, infatti, Francesco I viene fatto prigioniero nella battaglia di Pavia, in cui perde tutto fuorché l’onore, e sarà confinato per un anno a Madrid.

Parmigianino,Autoritratto allo specchio, 1523, olio su tavola emisferica, ø cm 24, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Parmigianino, Autoritratto allo specchio, 1523, olio su tavola emisferica, ø cm 24, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Il Papato rimane schiacciato dal conflitto e il Rinascimento non finisce con la morte di Raffaello nel 1520, ma piuttosto con il sacco di Roma nel 1527, quando anche Rosso Fiorentino è fatto prigioniero dai Lanzichenecchi e il Cellini uccide con un colpo di archibugio il connestabile di Borbone. Il sacco di Roma del 1527 è l’11 settembre del Rinascimento. La questione si risolve parzialmente come in una soap opera: Francesco I, ottenuta la libertà dei figli tenuti in ostaggio tra il 1526 e il 1529, rimasto vedovo, sposa nel 1530 Eleonora d’Asburgo, sorella di Carlo V. Cambia l’atmosfera in tutta l’Europa.

Parmigianino,Madonna dal collo lungo, particolare, 1534-1540, olio su tavola, cm 219

Parmigianino, Madonna dal collo lungo, particolare, 1534-1540, olio su tavola, cm 219x135, Firenze, Galleria degli Uffizi

Dal collo lungo alla coscia lunga

Parmigianino dipinge negli anni trenta del Cinquecento la famosa Madonna dal collo lungo, oggi agli Uffizi. E per capire, non solo Parmigianino, ma un’opera come quest’ultima, bisogna riflettere su quella che era l’idea dell’arte tra il 1530 e il 1540.

Parmigianino,Madonna dal collo lungo, intero, 1534-1540, olio su tavola, cm 219

Parmigianino, Madonna dal collo lungo, intero, 1534-1540, olio su tavola, cm 219x135, Firenze, Galleria degli Uffizi

I testi di quel periodo – Benedetto Varchi, Giorgio Vasari, lo stesso Michelangelo – affermano un concetto molto semplice, ma assolutamente condivisibile: l’arte non deve rappresentare la natura, il vero, che vediamo. Il vero è banale, racconta se stesso e basta, non interessa. L’artista deve rappresentare la natura idealizzata, cioè il vero percepito attraverso il filtro della mia idea, dell’idea che mi sono fatto del vero.

Antonio Paolucci mi ha fatto notare come nella Madonna dal collo lungo i volti degli angeli tentino di assomigliare per analogia alla forma del vaso che uno di loro porta. È una forma di forzatura estrema, è una forma di irrealismo che parte dalla realtà idealizzata. Questa è la “maniera”.

Malgrado un breve viaggio a Roma, la formazione di Parmigianino era stata sostanzialmente locale, legata all’esempio del Correggio, suo predecessore in Emilia, e a Mantova. Il Correggio ha quattordici anni più di lui eppure dal Parmigianino imparerà una cosa, che per sua fortuna dimenticherà subito dopo: la forma esiste senza un contorno preciso, come nel Compianto sul Cristo morto. Conserverà invece un’altra lezione, e cioè che le composizioni possono avere dei movimenti come dei colpi di vento, nei quali i personaggi possono essere tirati per mano l’uno dall’altro e formare un unico intreccio: lo si vede bene nella Madonna della scodella alla Galleria Nazionale di Parma.

Correggio,Compianto sul Cristo morto, 1524-1525, olio su tela, cm 157

Correggio, Compianto sul Cristo morto, 1524-1525, olio su tela, cm 157x182, Parma, Galleria Nazionale

La questione si comprende meglio se analizziamo il primo lavoro significativo del Parmigianino, gli affreschi del 1524-1525 a Fontanellato, nella Rocca Sanvitale.

Il pittore ha vent’anni quando Galeazzo Sanvitale e la moglie Paola Gonzaga gli commissionano la decorazione di uno stanzino buio, con una sola porta di accesso e nessuna finestra. Il soffitto contiene un curiosissimo specchio dal significato assolutamente misterioso che sta al centro di un cielo aperto. Ricorda perfettamente quelli celebri di Mantova.

Correggio,Madonna della scodella, 1528- 1530, olio su tavola, cm 218

Correggio, Madonna della scodella, 1528-1530, olio su tavola, cm 218x137, Parma, Galleria Nazionale

Quattro metri per quattro, o poco più; un’intensità strepitosa, una pittura ancora acerba dove però il “vento”, il movimento, è già presente.

Le citazioni vanno da Mantegna a Correggio. Diana al bagno, mitologica, ha già la tipica acconciatura degli anni futuri, mentre il modo di dipingere del Parmigianino va oltre ogni epoca di riferimento. La padrona di casa a seno nudo ha già il collo lungo e un po’ distorto a cigno, tiene la mano con quel gesto affettato che nel Rinascimento non c’era e diventerà invece tipico del Manierismo. La bambina che tiene il bimbo, forse quello defunto della coppia Sanvitale, ha già quel musetto impertinente che tornerà molto più avanti nei lavori del pittore. L’impertinenza si fa anche ambiguità in questi abbracci, quell’ambiguità che troveremo tra pochi anni nella grande scuola di Fontainebleau. I putti sono già fruttivendoli scapigliati. Il levriero di Diana al guinzaglio ha l’eleganza dei cani di Sigismondo Malatesta dipinti da Piero della Francesca. E mentre i cani da caccia sono rappresentati in un’azione immaginaria, quelli da guardia e quelli degli affetti, la cagna probabilmente appartenuta allo stesso pittore, sono potentemente realistici e hanno una parentela stretta con quelli imponenti della Camera degli sposi di Mantova. Cinquant’anni dopo questi primi esperimenti saranno diventati il linguaggio che arriverà fino in Francia.

Parmigianino,Storie di Diana e Atteone, Putti e uno scorcio di cielo, 1524-1525, affresco, Fontanellato, Rocca Sanvitale, Volta della sala del Parmigianino

Parmigianino, Storie di Diana e Atteone, Putti e uno scorcio di cielo, 1524-1525, affresco, Fontanellato, Rocca Sanvitale, Volta della sala del Parmigianino

 

Parmigianino,Storie di Diana e Atteone, Coppia di ninfe

Parmigianino, Storie di Diana e Atteone, Coppia di ninfe

Parmigianino,Storie di Diana e Atteone, Paola Gonzaga tra putti

Parmigianino, Storie di Diana e Atteone, Paola Gonzaga tra putti

 

Parmigianino,Storie di Diana e Atteone, Cane da caccia, Fontanellato, Rocca Sanvitale

Parmigianino, Storie di Diana e Atteone, Cane da caccia, Fontanellato, Rocca Sanvitale

 

Parmigianino,Autoritratto con cagna gravida, 1518-1540, penna e inchiostro marrone su carta, cm 30,4

Parmigianino, Autoritratto con cagna gravida, 1518-1540, penna e inchiostro marrone su carta, cm 30,4x20,3, Londra, The British Museum

 

Parmigianino,Testa di cane, 1523-1525, carboncino rosso su carta, cm 35

Parmigianino, Testa di cane, 1523-1525, carboncino rosso su carta, cm 35x24, Parigi, Musée du Louvre

Sempre alla Rocca Sanvitale, come spesso accade agli edifici da difesa del Trecento e del Quattrocento che si travestono da edifici rinascimentali, c’è un loggiato con documento pittorico che m’interessa moltissimo: sono affreschi quasi scomparsi perché sono stati martellati per essere riutilizzati come pareti da ridipingere. Sotto le martellature però traspaiono alcuni elementi molto interessanti di una scena che riprende il gusto dell’antichità romana, con dei bagnanti che sembrano quelli dei dipinti ritrovati a Roma fra Quattro e Cinquecento. Intorno all’affresco c’è una divertentissima decorazione a grottesche tutta costituita da personaggi femminili a coscia lunga e a collo lungo, compresa una elegantissima Diana cacciatrice in versione affusolata come il suo cane levriero. Siamo già nel 1580, nel pieno del Manierismo.

Andrea Mantegna,Il ritorno dalla caccia, particolare dei cani, 1465-1474, affresco e tempera a secco, Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli sposi

Andrea Mantegna, Il ritorno dalla caccia, particolare dei cani, 1465-1474, affresco e tempera a secco, Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli sposi

 

Parmigianino,Storie di Diana e Atteone, Morte di Atteone, Fontanellato, Rocca Sanvitale

Parmigianino, Storie di Diana e Atteone, Morte di Atteone, Fontanellato, Rocca Sanvitale

Piero della Francesca,Sigismondo Malatesta davanti a san Sigismondo, particolare dei cani, 1451, affresco, Rimini, Tempio Malatestiano

Piero della Francesca, Sigismondo Malatesta davanti a san Sigismondo, particolare dei cani, 1451, affresco, Rimini, Tempio Malatestiano

Verso il nord, o l’esportazione della “coscia lunga”

La turbolenza politica dei tempi fa riflettere gli artisti, apre la strada del nord e in particolare verso quelle Fiandre dove era nata l’alternativa al Rinascimento italiano e dove, con Van Eyck a San Bavone, si era affermato come elemento unificante del mondo visibile non la prospettiva, non il disegno, ma la luce. Il miracolo della luce che fa sì che, dal pelo del gatto alla goccia di rugiada su un fiore, tutto quanto sia poeticamente unificato.

A questa linea di derivazione si affianca quella curiosa pittura del Parmigianino che è contemporaneamente visionaria, allucinata e mistica. La tensione del gioco delle ottiche deformate rimane sempre presente come nella Madonna di san Zaccaria, dove il braccio di san Zaccaria sembra quasi poggiare sulla cornice.

Parmigianino,Madonna di san Zaccaria, 1530-1531 ca, cm 75

Parmigianino, Madonna di san Zaccaria, 1530-1531 ca, cm 75x60, olio su tela, Firenze, Galleria degli Uffizi

 

Parmigianino,Pallade Atena, 1532-1533 ca, olio su tela, cm 64

Parmigianino, Pallade Atena, 1532-1533 ca, olio su tela, cm 64x45,4, Hampton Court, The Royal Collection

E nei ritratti? Ebbene nei ritratti questa tensione va a risolversi nei dettagli, nella perfezione del capello di Pallade Atena, nella qualità degli ori e diventa alla fine una tensione ancora una volta squilibrante ma psicologica.

Ricordandosi sempre quella curiosa presenza che viene dal nord Europa, “incarnata” dal drago che finisce nella rappresentazione della Pala di santa Margherita.

Posizioni sempre contorte e leggermente scomode, irreali, come per Eros che fabbrica l’arco, ma con accenni di realismo nei dettagli che fanno addirittura venire i brividi. Il bastone è perfetto; la lama del coltello e la sua attaccatura sono una descrizione quasi fotografica. Il segreto sta nei riccioli di legno, che sono gotici. D’altronde le piccole incisioni di Martin Schongauer circolavano come le figurine Panini all’epoca. Così come forse da quell’ambiente viene la sua stesura quasi incisa dei panneggi.

Parmigianino, in quanto artista d’avanguardia, inaugura lo stile della “coscia lunga”, al quale s’inchina anche il suo maestro Correggio e da cui nascono donne oblunghe e ritratte in posizioni scomode come quelle della Saliera di Cellini o la Venere di Lambert Sustris che s’intrattiene con Cupido.

Sono passati pochi anni e il collo lungo è diventato una moda trasversale: la Madonna della rosa è assolutamente elegante e goticheggiante nell’abito, pieno di pieghe cesellate come se venissero da un’incisione su pietra gotica, lui più sdolcinato di così non lo possiamo immaginare, con un piccolo braccialettino di corallo al braccio che sembra plastica come di plastica sembra anche la rosa. Primaticcio questo gusto lo esporterà in Francia; o forse sono i francesi che trovano in lui un gusto che sa già di essere francese.

Il Rinascimento e il Classicismo di fatto arrivano in Francia per un percorso molto particolare. Quando Francesco I torna dalla prigionia in Spagna, invece di recarsi a Parigi si ritira a Fontainebleau, a 50 chilometri di distanza, ed è subito Manierismo. Ovviamente dire Rinascimento significava chiamare gli italiani. Arrivarono l’uno dopo l’altro, i più bravi: Benvenuto Cellini, che qui da orafo diventa scultore; Rosso Fiorentino, che essendo matto poi qui si suicida; infine Primaticcio, che divenne sovrintendente di tutti gli edifici reali e in un qualche modo primo portatore convinto di quella idea nuova di pittura “alla maniera di”.

Parmigianino,Pala di santa Margherita, intero, 1529-1530 ca, olio su tavola, cm 222

Parmigianino, Pala di santa Margherita, intero, 1529-1530 ca, olio su tavola, cm 222x142, Bologna, Pinacoteca Nazionale

 

Parmigianino,Pala di santa Margherita, particolare, 1529-1530 ca, olio su tavola, cm 222

Parmigianino, Pala di santa Margherita, particolare, 1529-1530 ca, olio su tavola, cm 222x142, Bologna, Pinacoteca Nazionale

 

Parmigianino,Eros che fabbrica l’arco, 1532-1533, olio su tela, cm 135

Parmigianino, Eros che fabbrica l’arco, 1532-1533, olio su tela, cm 135x65,3, Vienna, Kunsthistorisches Museum

 

Parmigianino,Madonna della rosa, 1529-1530, olio su tavola, cm 109

Parmigianino, Madonna della rosa, 1529-1530, olio su tavola, cm 109x88,5, Dresda, Gemäldegalerie

Curioso tipo, Francesco I, che di letteratura invece si appassionava: a lui si devono il nucleo di raccolta che oggi forma la biblioteca di Parigi e la protezione di Rabelais, il medico alternativo che creò Gargantua e Pantagruel. Francesco, inventore dello spreco e del lusso, formerà la Scuola di Fontainebleau, dove abbondano gioielli e feste, eros ambiguo e thanatos ironico nella morte dell’amorino.

Lambert Sustris,Venere e Amore, 1540 ca, olio su tela, cm 75

Lambert Sustris, Venere e Amore, 1540 ca, olio su tela, cm 75x139, Parigi, Musée du Louvre

Un po’ castelletto francese, tardogotico, un po’ voglia d’italianità nei decori. In realtà la ricetta del Manierismo a Fontainebleau è semplicissima: basta prendere le proporzioni classiche del Rinascimento e stiracchiarle. Il verde della campagna francese vede apparire per la prima volta la finestra a timpano, tanto cara a Michelangelo, qui “messa in soffitta”. Un elegante gesto gallico, forse un po’ kitsch. È questa la ricetta non solo per l’architettura ma anche per tutte le arti plastiche, scultura e pittura. Si allunga la coscia, si fa di tutto per essere erotici, e quelle gambe portano direttamente alla calza moderna.

Veduta dello scalone d’onore del Louvre con laNinfadi Benvenuto Cellini, Parigi

Veduta dello scalone d’onore del Louvre con la Ninfa di Benvenuto Cellini, Parigi

 

Jean Clouet,Francesco I, 1525 ca, olio su tavola, cm 96

Jean Clouet, Francesco I, 1525 ca, olio su tavola, cm 96x74, Parigi, Musée du Louvre

 

Francesco Primaticcio,Stanza della duchessa d’Estampes, figure a stucco, Fontainebleau, Castello

Francesco Primaticcio, Stanza della duchessa d’Estampes, figure a stucco, Fontainebleau, Castello

Benvenuto Cellini,Ninfa, 1542, bronzo, cm 205

Benvenuto Cellini, Ninfa, 1542, bronzo, cm 205x409, Parigi, Musée du Louvre

 

Benvenuto Cellini,Saliera di Francesco I, 1540-1543, ebano, oro e smalti, altezza cm 26, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Benvenuto Cellini, Saliera di Francesco I, 1540-1543, ebano, oro e smalti, altezza cm 26, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Fra religione e alchimia

Nel frattempo Parmigianino conclude il breve ciclo della sua vita con un capolavoro, l’affresco nella volta del presbiterio di Santa Maria della Steccata a Parma.

Realizzato nei tempi rubati allo studio dell’alchimia, rappresenta la parabola delle Tre vergini sagge e Tre vergini stolte tratta dal Vangelo di Matteo, tema nuovo per l’Italia ma non per la cattedrale di Strasburgo e neanche per le immaginette di Martin Schongauer. È qui che le sue figure femminili raggiungono il massimo dell’espressività, le une corrucciate dal loro senso di responsabilità, mentre quelle stolte sembrano felici, civettuole e ammiccanti. Il tutto in un tripudio di decorazione dove si mescolano verdure da minestrone e ridenti caproni dall’occhio lucido, citazioni della Chiesa e dello studio alchemico, il quale a sua volta è cosa fortemente nordica.

Parmigianino,Tre vergini sagge, 1535-1539, affresco, Parma, Santa Maria della Steccata

Parmigianino, Tre vergini sagge, 1535-1539, affresco, Parma, Santa Maria della Steccata

Parmigianino,Tre vergini stolte, particolare, 1535-1539, affresco, Parma, Santa Maria della Steccata

Parmigianino, Tre vergini stolte, particolare, 1535-1539, affresco, Parma, Santa Maria della Steccata

Il risultato stilistico come abbiamo visto avrà grande fortuna, collo torto e coscia lunga diventeranno il marchio di Bartolomeo Ammannati a Firenze, quell’Ammannati che da Parmigianino sembra avere imparato la forma e l’eros e dall’altro inventore delle alternative, Giulio Romano, la lezione dell’architettura che propone con il rifacimento di Palazzo Pitti.

Martin Schongauer,Vergine stolta, 1426, stampa, cm 12

Martin Schongauer, Vergine stolta, 1426, stampa, cm 12x8, Chantilly, Musée Condé

 

Veduta del sottarco di Santa Maria della Steccata con l’affresco di Parmigianino delleTre vergini saggeeTre vergini stolte, 1535-1539

Veduta del sottarco di Santa Maria della Steccata con l’affresco di Parmigianino delle Tre vergini sagge e Tre vergini stolte, 1535-1539

Nel giardino di Boboli, dietro al palazzo, di fronte agli interventi di Ammannati, troviamo l’ultimo risultato di questo stile, il Giambologna (anche se la sua scultura prima è proprio a Bologna, il Nettuno muscolato sulla fontana adiacente a Piazza Maggiore, lui con la città non ha niente a che fare: si chiama così perché il suo vero nome è Jean de Boulogne, da una cittadina delle Fiandre). Artista curioso ed eccellente, trova il suo stile oblungo proprio in Italia, senza sapere che forse era originario proprio delle sue parti. Poi, da noi in Italia, si cambia strada, si mettono le mutande al Giudizio Universale di Michelangelo, ancora vivo, e la coscia lunga fra poco scomparirà. Mentre la Controriforma impone all’Italia altri ritmi, come quelli dei Carracci per esempio, i grandi nudi oblunghi tornano a casa, a Bruxelles.

L’eros bizzarro che verrà vietato dalla Controriforma in Italia invece piacerà moltissimo a Rodolfo II, quando, divenuto imperatore, si trasferirà a Praga all’inizio del Seicento.

Giambologna,Fontana dell’Oceano, 1570, marmo, altezza cm 325, Firenze, Giardino di Boboli

Giambologna, Fontana dell’Oceano, 1570, marmo, altezza cm 325, Firenze, Giardino di Boboli

La parabola del fantastico, da Milano a Vienna

La cultura occidentale ha avuto un momento plasmante di un’identità comune del fantastico durante il Medioevo e poi lentamente fino al mondo delle fantasticherie di oggi. Uno degli artisti che ha partecipato a questa evoluzione è l’Arcimboldo; nato a Milano nel 1526, trascorre i suoi anni di formazione in Lombardia, dove la bottega paterna lavorava per la Veneranda Fabbrica del Duomo, dando saggi del proprio valore “così nella pittura come in diverse bizzarrie”, come afferma lo storico milanese Paolo Morigia. Da Milano Arcimboldo invece prende curiosamente la strada opposta e se ne va a Vienna. Perché forse lì le libertà della fantasia sono esaltate e si apprezza senza reprimerlo ogni manierismo. Cresciuto fra i dotti di Milano, si ritrova così da Massimiliano II, in quella che veniva definita un’aula cum pluribus viris doctissimis ornata.

Giovanni Karcher, su cartone di Giuseppe Arcimboldo,Dormitio Virginis, 1561-1562, arazzo, lana e seta, cm 423

Giovanni Karcher, su cartone di Giuseppe Arcimboldo, Dormitio Virginis, 1561-1562, arazzo, lana e seta, cm 423x470, Como, Cattedrale

Guarnitura per l’arciduca Ferdinando II del Tirolo, 1580-1595 ca, acquerello, cm 48,5

Guarnitura per l’arciduca Ferdinando II del Tirolo, 1580-1595 ca, acquerello, cm 48,5x35,5, Vienna, Kunsthistorisches Museum

 

Anonimo milanese,Borgognotta all’antica, 1560 ca, ferro azzurrato e ageminato in oro e argento, altezza cm 39, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Anonimo milanese, Borgognotta all’antica, 1560 ca, ferro azzurrato e ageminato in oro e argento, altezza cm 39, Vienna, Kunsthistorisches Museum

 

Anonimo milanese,Borgognotta “alla romana antica”, 1554 ca, ferro brunito e ageminato in oro e argento, altezza cm 35, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Anonimo milanese, Borgognotta “alla romana antica”, 1554 ca, ferro brunito e ageminato in oro e argento, altezza cm 35, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Il gioco del sapere e le allegorie fantastiche

Del 1563, cioè un anno dopo il suo arrivo, è già la fantastica composizione che è chiamata l’Estate, che contiene un po’ di tutto: i frutti noti, gli agli, le pere, le ciliegie e una marasca brillante che forma l’occhio. Contiene anche delle curiosità come la pannocchia di grano turco che è appena arrivata dall’America, la melanzana, scoperta recente che viene dall’Oriente, mentre il carciofo è lì già da un po’. Il tutto in una veste di spighe d’oro che reca la sua firma e la sua data, come raccontava Plinio il Vecchio della pittura greca antica. L’Estate nasce ovviamente en pendant con l’Inverno, sempre nello stesso anno. Qui la testa è fatta da un vecchio albero invernale morto, la capigliatura con l’unica pianta che rimane verde da quelle parti in Austria anche d’inverno: l’edera. Mentre la bocca è un doppio fungo, sporge in evidenza l’unico frutto che circola d’inverno perché arriva dall’Italia, il limone.

Questi soggetti avranno un tale successo che Arcimboldo li replicherà più d’una volta nella sua vita, e finiranno nelle più importanti collezioni d’Europa. Vi è una versione posteriore di circa una decina d’anni alle Quattro stagioni, con cornice fantastica, conservata all’interno delle collezioni del Louvre. Un Autunno molto più raffinato dove la precisione della pittura dei frutti entra in un incredibile dialogo con un fregio di fiori che è dipinto in modo molto più libero e a colpi di pennello ben più rapidi.

Anche qui la pera è straordinaria perché è leggermente bacata, come la mela della Canestra di frutta del Caravaggio. Ed è formidabile la barba che esce dal fungo e che sta sotto una bocca che è in realtà una castagna. Tutta roba d’autunno, ulivo compreso.

Il Louvre ha le Quattro stagioni in una sorta di edizione integrale, perché realizzata proprio negli anni settanta del Cinquecento, di cui forse la Primavera è la meno attraente perché è la più statica, sebbene la descrizione botanica sia intrisa di una perfezione che mi ricorda la grande tradizione leonardesca milanese, declinata con le indicazioni che venivano fra Quattro e Cinquecento dal mondo fiammingo. Qui i fiori sono tutti elementi che poteva avere sott’occhio, non escono da racconti di botanica, è roba indigena.

Giuseppe Arcimboldo,Estate, 1563, olio su tavola, cm 67

Giuseppe Arcimboldo, Estate, 1563, olio su tavola, cm 67x50, Vienna, Kunsthistorisches Museum

 

Giuseppe Arcimboldo,Inverno, 1563, olio su tavola, cm 66

Giuseppe Arcimboldo, Inverno, 1563, olio su tavola, cm 66x50, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Quattro sono le stagioni e quattro sono gli elementi che verranno raffigurati nello stesso modo bizzarro e intrigante. Il Fuoco, tutto ciò che si può fare con il fuoco: la pietra focaia in faccia, i baffi fatti con i cerini di allora cioè dei piccoli stecchini di legno impregnati nella cera, la miccia in testa, la candela spenta che forma l’occhio. Il baffo per l’accensione e sotto il lume a olio acceso, il collo formato da una candela a quattro stoppini, sotto un mortaio, un cannone e una pistola sono il mezzobusto. È il fuoco degli Asburgo e, per capir meglio che si tratta di loro, la figura porta al collo il Toson d’oro: la massima decorazione del casato asburgico dopo che Carlo V aveva ereditato la Borgogna, dove l’ordine fu creato, da parte materna.

Della Terra si può ammirare solo una riproduzione perché il dipinto ha avuto una di quelle curiose storie da mercato: passò dai musei viennesi a quelli della provincia austriaca, la provincia austriaca negli anni Cinquanta del Novecento lo scambiò e finì in mani private, ma in cambio rappresenta il potere asburgico fino in fondo e tutti gli animali della favolosa ménagerie che l’imperatore possedeva. Sicché l’elefante è copia dal vero, come le belve feroci venute da fuori Europa. Rimangono gli altri due segni della potenza del casato: la famosa leonté, la pelle di leone che si metteva addosso anche Ercole, e il Vello d’Oro che generò il Toson d’oro.

Caravaggio,Canestra di frutta, particolare, 1597 ca, olio su tela, cm 47

Caravaggio, Canestra di frutta, particolare, 1597 ca, olio su tela, cm 47x31, Milano, Pinacoteca Ambrosiana

Giuseppe Arcimboldo,Autunno, particolare, 1573, Parigi, Musée du Louvre

Giuseppe Arcimboldo, Autunno, particolare, 1573, Parigi, Musée du Louvre

 

Giuseppe Arcimboldo,Estate, 1573, olio su tela, cm 76

Giuseppe Arcimboldo, Estate, 1573, olio su tela, cm 76x63, Parigi, Musée du Louvre

 

Giuseppe Arcimboldo,Primavera, 1573, olio su tela, cm 76

Giuseppe Arcimboldo, Primavera, 1573, olio su tela, cm 76x63, Parigi, Musée du Louvre

 

Giuseppe Arcimboldo,Inverno, 1573, olio su tela, cm 76

Giuseppe Arcimboldo, Inverno, 1573, olio su tela, cm 76x63, Parigi, Musée du Louvre

 

Giuseppe Arcimboldo,Autunno, 1573, olio su tela, cm 76

Giuseppe Arcimboldo, Autunno, 1573, olio su tela, cm 76x63, Parigi, Musée du Louvre

 

Giuseppe Arcimboldo,Fuoco, 1566, olio su tavola, cm 66,5

Giuseppe Arcimboldo, Fuoco, 1566, olio su tavola, cm 66,5x51, Vienna, Kunsthistorisches Museum

 

Giuseppe Arcimboldo,Terra, intero, 1570, olio su tavola, cm 63

Giuseppe Arcimboldo, Terra, intero, 1570, olio su tavola, cm 63x49, Collezione privata

Il fuoco si capisce, la terra si verifica, molto più bizzarro è invece il caso del terzo elemento, perché l’Acqua bisogna scoprirla. Non ci sono pesci che si mangiavano abitualmente in Austria, ma solo pesci di mare Mediterraneo e anche un caso di pesce esotico. Forse la tartaruga è marina e neanche lei si trovava da quelle parti, quindi per realizzare questo dipinto si dovevano consultare documenti particolari, che aiutassero a comprendere i misteri marini: documenti come quelli conservati a Vienna nella Biblioteca Nazionale, probabilmente realizzati da Giorgio Liberale.

Giuseppe Arcimboldo,Terra,particolare, 1570, olio su tavola, cm 63

Giuseppe Arcimboldo, Terra, particolare, 1570, olio su tavola, cm 63x49, Collezione privata

La passione per le ricerche era ovunque in Europa; la passione per le collezioni era tipica dei principi del Nord. La passione per la ricerca scientifica invece dimora in Italia, che ne è il centro. L’umanista e medico senese Pietro Andrea Mattioli pubblica la sua enciclopedia sul mondo vegetale, il Compendium de plantis omnibus, una cum earum iconibus, a Venezia nel 1571.

Ulisse Aldrovandi, per Georges-Louis Leclerc de Buffon, uno dei padri fondatori dell’Enciclopedia francese, è da considerarsi il fondatore delle scienze naturali nella cultura occidentale. Appartiene a un momento molto particolare dell’evoluzione della cultura scientifica nella seconda metà del Cinquecento perché proviene dallo studio della filosofia e della medicina, in generale dagli studi complessivi del gioco del sapere come vi poteva esser destinato allora un ragazzo di ottima famiglia. E segue la lettura averroiana di Aristotele, quella che consente di immaginare che la ricerca si faccia, ancora nella cultura araba, tenendo conto del dialogo possibile con la teologia, ma prendendo come punto fermo l’indagine sperimentale. La sua vita si evolve in modo molto lineare, perché assume la prima cattedra di Storia di scienze naturali all’Università di Bologna nel 1561. Poi inizia una collezione infinita di reperti bizzarri e di reperti lontani, li coniuga con l’elaborazione di un giardino botanico che darà le essenze necessarie per le ricerche e infine decide di pubblicare. Sicché gran parte delle cose narrate verranno trasformate in disegni e acquerelli e poi in xilografie.

Un Ulisse molto particolare, quell’Aldrovandi, che navigò fra i pesci per la conoscenza, in un percorso attraverso il plausibile, il raro, il bizzarro e talvolta attraverso immagini così strane da avere spazio di dialogo solo con il mondo del fantastico. Lui riuscì allora a combinare lo studio della cosa vera con l’elaborato più sottile e inquietante della fantasia.

Il risultato delle sue ricerche fece delle università italiane dell’epoca, soprattutto Bologna e Padova, il centro della diffusione del sapere naturalistico e medico. Si stava allora liberando quello che sarebbe diventato un dato stabile nuovo della nostra fantasia, l’invenzione di un immaginario esterno al subconscio, che si declinava nel mondo della natura, della mitologia antica e in quello celeste dei santi. Si separavano i fantasmi medioevali, una volta unitari, in quelli subconsci dei nordici riformati e in quelli apparenti dei controriformati. E la corte viennese, a metà strada, assorbiva tutto. Vita di corte lussuosa e sublime, dove trionfavano la fantasia e il gusto della sorpresa.

Giorgio Liberale (?),Polpo, 1598 ca, acquerello su pergamena, cm 87

Giorgio Liberale (?), Polpo, 1598 ca, acquerello su pergamena, cm 87x64, Vienna, Österreichische Nationalbibliothek

 

Giuseppe Arcimboldo,Acqua, 1566, olio su tavola, cm 66,5

Giuseppe Arcimboldo, Acqua, 1566, olio su tavola, cm 66,5x50,5, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Le meraviglie degli Asburgo

Nella corte delle meraviglie di Massimiliano II si accumula ogni tipo di oggetto per una vita di parate e di grandi feste: lo scudo con i più forti di sempre, Ercole in varie posizioni e Davide che mozza la testa a Golia, l’elmo zoomorfo o la spada inutilizzabile con l’elsa ricavata da un corallo.

Meraviglie di una vita che Arcimboldo documenta perfettamente, perché è uno dei progettisti delle feste, che passano dall’area pubblica all’area privata della camera: la Wunderkammer, “camera delle meraviglie” in cui nobili e benestanti collezionavano ogni tipo di stramberia o eccezionalità, per il proprio personale godimento o, più spesso, per quello dei propri ospiti: la conchiglia montata in argento, la noce di cocco che viene cesellata, il corallo che ritorna su un altarolo d’argento, il cappello del buffone con i sonagli ricavato a sua volta da una noce di cocco, le uova di struzzo. I fantastici cristalli di rocca realizzati a Milano, quelli dei Miseroni e dei Saracchi.

A Massimiliano succede a Vienna il figlio Rodolfo II, imperatore bizzarro che decide di abbandonare Vienna per Praga, obbligando Arcimboldo a seguirlo nel 1583 per affidargli incarichi sofisticatissimi. Alla fine il gioco della fantasia è totale e le costruzioni dell’Arcimboldo diventano tali che si possono vedere come normali dipinti, ma anche rovesciate, come curiosità descrittive di facce inattese e inquiete.

Si stava applicando al cibo la medesima fantasia manierista che si applicava alle altre arti. Il sapore e il sapere ovunque. Questi elementi hanno sempre un valore simbolico, difatti il Bibliotecario viene rappresentato non con i simboli del potere, ma con gli strumenti del sapere.

Arcimboldo tornerà a Milano sul finire della sua vita, verrà fatto conte palatino e da lì manderà al suo protettore ultimo e più fantasioso il ritratto più bizzarro, Rodolfo II come Vertumno. Una sommatoria di tutto ciò che produce frutti: è un esempio di ciò che dovrebbe essere l’impero nelle mani di Rodolfo II. Verrà poi sepolto quasi settantenne a Milano, Arcimboldo o Arcimboldi, a seconda di come lo si vuol chiamare.

Giuseppe Arcimboldo,L’imperatore Massimiliano II d’Asburgo con la moglie Maria di Spagna e i figli Anna, Rudolf e Ernst, 1553, olio su tela, cm 240

Giuseppe Arcimboldo, L’imperatore Massimiliano II d’Asburgo con la moglie Maria di Spagna e i figli Anna, Rudolf e Ernst, 1553, olio su tela, cm 240x188, Innsbruck, Castello di Ambras

 

Giuseppe Arcimboldo,Slitta con putti, ante 1585, penna e acquerello su carta, cm 29,4

Giuseppe Arcimboldo, Slitta con putti, ante 1585, penna e acquerello su carta, cm 29,4x25,5, Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe

 

Manifattura milanese,Rotella con le fatiche di Ercole, 1560 ca, ferro azzurrato e ageminato in oro e argento, ø cm 60, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Manifattura milanese, Rotella con le fatiche di Ercole, 1560 ca, ferro azzurrato e ageminato in oro e argento, ø cm 60, Vienna, Kunsthistorisches Museum

 

Manifattura milanese,Daga con impugnatura di corallo, seconda metà del XVI secolo, ferro dorato e argentato, corallo, velluto e cuoio, cm 83, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Manifattura milanese, Daga con impugnatura di corallo, seconda metà del XVI secolo, ferro dorato e argentato, corallo, velluto e cuoio, cm 83, Vienna, Kunsthistorisches Museum

 

Giuseppe Arcimboldo,Rodolfo II come Vertumno, 1590 ca, olio su tavola, cm 68

Giuseppe Arcimboldo, Rodolfo II come Vertumno, 1590 ca, olio su tavola, cm 68x56, Castello di Skokloster