MILANO NEL CINQUECENTO

Occupata dai francesi, Milano aveva perso definitivamente l’indipendenza nel 1499. Nello stesso anno abbandonava la città, e in seguito l’Italia, pure il più famoso dei suoi artisti, Leonardo da Vinci. Bramante era già andato a Roma. Gli artisti milanesi della generazione successiva verranno formati ai dettami della Controriforma da san Carlo Borromeo, tutto ordine e fede, e poi se ne andranno in Spagna a insegnare alla corte vagante un gusto e uno stile di vita: Pellegrino Tibaldi a far pittura e Sofonisba Anguissola a insegnare, oltre alla pittura, anche le buone maniere, la forchetta e le feste. La città passa attraverso mezzo secolo di alternanze tra francesi, imperiali e tentativi di ripristinare il ducato sforzesco. Nel 1530 vi entra definitivamente Carlo V, prima addirittura di farsi incoronare imperatore a Bologna. La città sarà governata da Ferrante Gonzaga e, se si può dire che fioriranno le fortificazioni, le grandi mura spagnole, non altrettanto fioriranno le arti, almeno le arti maggiori, perché la città rimane luogo di produzione ed eccellenza di armi, oggetti strani e di gran lusso. L’imperatore si dimette nel 1556 e lascia al figlio Filippo II la Spagna, comprese le colonie, le Fiandre, Napoli e Milano, e al fratello Ferdinando I l’Austria con i domini dell’Europa centrale. La casa d’Asburgo si separa, pur mantenendo in comune solo la mascellona e la masticazione inversa. Milano è ormai ispanica per mantenere tre futuri diritti: poter scrivere sul pompelmo il prezzo cadauno, tuttora in spagnolo, consentire un giorno al Manzoni di scrivere i Promessi Sposi e permettere ai cuochi milanesi di oggi di mettere lo zafferano della paella nel risotto.

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