Michelangelo, dove l’idea si fa materia la fede si fa militanza

Il lettore mi dovrà perdonare l’impertinenza di una rilettura, apparentemente eterodossa, del percorso di una vita lunghissima che fece di un genio un esempio di creatività.

Contorto egli talvolta, sincero sempre, letterato sofisticato, pensatore emancipato, talento totale.

La scultura neoplatonica

In San Pietro in Vincoli a Roma c’è una tomba, quella di Giulio II, che racchiude una scultura di Michelangelo perfettamente completata. È il Mosè, ultimato nel 1516 appena dopo la morte del papa della Rovere. Passarono quasi trent’anni tra la scultura e il completamento del sepolcro papale, deciso finalmente da Paolo III Farnese. Perché c’è voluto così tanto tempo per finirlo? E perché mai questo Mosè in trono?

Il monumento che vediamo oggi è estremamente ridotto rispetto al progetto iniziale, previsto per San Pietro in Vaticano. Le due statue laterali, Lia e Rachele, sono state ultimate da Raffaello da Montelupo, allievo di Michelangelo, forse perché a lui non gliene importava più nulla. La statua del papa, sopra il Mosè, è di Tommaso Boscoli, altro suo scolaro. Il profeta, guida illuminata, è l’ultima opera di Michelangelo giovane, potentissimo nel suo vezzo da elegantone mentre si passa le dita fra le ciocche della barba fluente. Massima esaltazione della muscolatura maschile, opera somma che ha commosso tutti, anche il severo Sigmund Freud, e sulla quale Michelangelo Antonioni, forse per via dell’omonimia, ha girato il suo ultimo cortometraggio.

Michelangelo,Tomba di Giulio II, 1505-1543, marmo, Roma, San Pietro in Vincoli

Michelangelo, Tomba di Giulio II, 1505-1543, marmo, Roma, San Pietro in Vincoli

In fondo San Pietro in Vincoli è il simbolo di tutti i vincoli dai quali Michelangelo provò a liberarsi nella sua vita, la sua nemesi.

In origine il monumento era stato concepito come una piramide di statue da porre in San Pietro, praticamente dove poi avrebbe realizzato la cupola, un colossale mausoleo piramidale “che di bellezza e di superbia e di grande ornamento e ricchezza di statue passava ogni antica e imperiale sepoltura”. Il papa voleva un’opera che lo celebrasse come un faraone dei tempi moderni, Michelangelo voleva soprattutto farne una summa della scultura, che in quegli anni a Roma era l’arte che più si richiamava alla classicità, e vedeva nell’importanza dell’impresa un’occasione per dar prova a tutti delle sue capacità.

Michelangelo,Progetto per la tomba di Giulio II, inchiostro bruno su carta, cm 24

Michelangelo, Progetto per la tomba di Giulio II, inchiostro bruno su carta, cm 24x38, Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe

Michelangelo,Mosè, particolare della tomba di Giulio II, 1513-1516, marmo, altezza cm 235, Roma, San Pietro in Vincoli

Michelangelo, Mosè, particolare della tomba di Giulio II, 1513-1516, marmo, altezza cm 235, Roma, San Pietro in Vincoli

Si gettò a capofitto nell’impresa e passò otto mesi a Carrara per scegliere i marmi, ma dopo alcuni mesi di lavoro, nell’aprile del 1506, i lavori s’interruppero per la fuga improvvisa di Michelangelo da Roma quando capì che la tomba non era più il centro dell’interesse del papa aprendo quella che per l’artista fu la vera e propria tragedia della sua vita.

I disegni per la tomba di Giulio II sono emblematici di come Michelangelo identificasse l’idea con il progetto, un rapporto tipico del pensiero neoplatonico.

I neoplatonici costituivano la crema dell’ambiente culturale fiorentino, in quella scuola dei Giardini medicei, una sorta di accademia artistica dove si era formato Michelangelo, accolto da Lorenzo il Magnifico a soli quattordici anni. E dove il giovane aveva avuto modo di conoscere studiosi e letterati come Pico della Mirandola, Poliziano e Marsilio Ficino, influenzati dai filosofi che venivano da Costantinopoli portando la riscoperta della cultura neoplatonica, come il cardinale Bessarione e il teologo Gemisto Pletone. Quest’ultimo era giunto a Firenze nel 1438 da Costantinopoli a seguito dell’imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo e aveva tenuto un ciclo vastissimo di conferenze, che ebbe un’audience quasi televisiva, nelle quali spiegava le tesi di Plotino esaltando l’ellenismo nel confronto con le religioni abramitiche, quella giudaica e quella cristiana, sostenendo addirittura che la visione ellenistica era l’unica pacifica possibile.

Poi se ne andò a morire quasi centenario in Grecia. Le sue ceneri furono recuperate da Sigismondo Malatesta, il cattivo antipapalino per eccellenza, e portate nel Tempio Malatestiano a Rimini come a voler contaminare per sempre la cultura umanistica.

Plotino era stato un filosofo del III secolo che, seicento anni dopo Platone e Aristotele, aveva tentato di combinare il pensiero dei due massimi filosofi e di superarlo. Confutò la conoscenza aristotelica, in base alla quale il sapere proviene dalla sperimentazione dei sensi, che è solo apparenza. Contemporaneamente andò oltre il dualismo platonico, quello che prevede il soggetto e l’oggetto, il pensiero e l’essere. Per lui tutto discende dall’Uno, dall’En, e quando l’uno riflette su se stesso, riflette se stesso, genera l’intelletto. L’intelletto ne è quindi il prodotto, l’ex-stasi, l’estasi, quella che ne proviene, un po’ come se l’Uno fosse il Sole, l’intelletto la luce che ne proviene, e l’anima del mondo la Luna che rimanda questa luce. Plotino era stato tradotto, su richiesta di Cosimo il Vecchio da Marsilio Ficino, uno dei maestri del pensiero di Michelangelo.

Raffaello,La scuola di Atene, particolare con Platone, 1509, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Stanza della Segnatura

Raffaello, La scuola di Atene, particolari con Platone, 1509, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Stanza della Segnatura

 

Raffaello,La scuola di Atene, particolare con Plotino, 1509, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Stanza della Segnatura

Raffaello, La scuola di Atene, particolari con Plotino, 1509, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Stanza della Segnatura

Così come sostiene il mio amico Claudio Strinati, eminente studioso della romanità di Roma: “L’idea è eterna per forza perché è immutabile, altrimenti è opinione, non idea. C’è una bella distinzione tra le due, infatti guarda caso, quando è stato abbandonato nel mondo artistico questo radicamento all’idea platonica, è subentrato il più semplice principio dell’opinione, da cui scaturisce il Barocco, perché il Barocco è tutto fatto di punti di vista diversi. Il punto di vista è l’opinione, l’idea non è un punto di vista, l’idea è e basta. Per esempio, io non posso dire che credo in Dio perché questo è il mio punto di vista, sarebbe un’eresia dal punto di vista della dottrina, quindi dirò che credo in Dio perché ci credo, punto”.

E Michelangelo in Dio ci crede profondamente, da vero neoplatonico.

Le idee neoplatoniche si fanno di marmo

La prima scultura che tutti conoscono e ammirano di Michelangelo a Roma in realtà è la Pietà in San Pietro. Realizzata all’età di ventitré anni, gli fu commissionata nel 1498 dal cardinale francese Jean de Bilhères de Lagraulas. Così era descritta negli anni Trenta del secolo passato dalla Enciclopedia Treccani: “Al tema che Donatello nel Pergamo di San Lorenzo a Firenze aveva portato a toni di insostenibile veemenza e che egli stesso doveva improntare a dolore più che umano, Michelangelo in quei suoi anni di classica serenità non poté dare che raccoglimento e dolcezza. Compose la Madonna in ampi e quasi oziosi ravvolgimenti di pieghe per adagiare anche più delicatamente il Cristo nel grembo materno in atto di abbandono quasi infantile, come nel sonno. Diede al suo volto ancor giovane per significare com’egli stesso commentava la sua castità, non gemiti ma umiliata silente rassegnazione. E tutto coordinando a quell’emozione di dolore quieto e composto ricercò in ogni finezza di piani e di giunture le membra del Redentore. Accarezzò ogni superficie con delicatezza di fattura consona all’intimo”.

Oggi guardiamo la statua in modo molto diverso. L’iconografia è innegabilmente legata al gotico francese internazionale: il cardinale committente proviene dalla Francia meridionale e lì ad Avignone è famosissima la Pietà di Enguerrand Quarton, che riprende un tema classico della cultura visiva d’Oltralpe. L’iconografia viene totalmente rivista da Michelangelo, così il volto della Madonna addolorata è quello d’una fanciulla, più giovane del figlio che tiene fra le sue braccia.

Quando Vasari, commentando la Pietà, chiese a Michelangelo come mai la Vergine fosse più giovane del figlio, lui rispose che quella era l’immagine dell’assoluta intoccabilità, della perennità dello stato di purezza virginale, antecedente al momento in cui l’essere femminile diventa donna. L’idea della purezza della Madonna travalica il tempo, mentre il figlio è cristallizzato in un’età storica, perché Gesù, secondo le Sacre Scritture è morto a trentatré anni. Questa verità, che è la proiezione dell’eterno, è quella raffigurata da Michelangelo nella Pietà.

Enguerrand Quarton,Pietà di Avignone, 1455 ca, tempera e oro su tavola, cm 163

Enguerrand Quarton, Pietà di Avignone, 1455 ca, tempera e oro su tavola, cm 163x218, Parigi, Musée du Louvre

Michelangelo,Pietà, particolare, 1498-1499, marmo, altezza cm 174, Città del Vaticano, basilica di San Pietro

Michelangelo, Pietà, particolare, 1498-1499, marmo, altezza cm 174, Città del Vaticano, basilica di San Pietro

Nello stesso modo proviamo allora una rilettura dell’opera immediatamente successiva: il David, scolpito fra il 1501 e il 1504, un incarico prestigioso ricevuto a ventisei anni.

Da anni giaceva presso il Duomo un gran blocco di marmo, era stato abbozzato per la prima volta da Agostino di Duccio ben quarant’anni prima e poi da Bernardo Rossellino un quarto di secolo prima. Il blocco era pure difettoso. Ne risultava un “mammozzo” che i fiorentini chiamavano il Gigante.

Michelangelo affronta il caso, si rinchiude dietro una palizzata e realizza il capolavoro. Quando è pronto, la Repubblica fiorentina lo acquisisce, nella persona del gonfaloniere Pier Soderini, e viene istituita una commissione per decidere dove collocarlo. Ne fanno parte gli artisti più famosi del momento, ovviamente fiorentini. Leonardo, che non ama Michelangelo, propone di esporlo in una nicchia della loggia in piazza della Signoria. Botticelli lo vuole vicino al Duomo, ma vince la proposta di Filippino Lippi di metterlo accanto alla porta di Palazzo Vecchio, laddove tuttora sta la sua copia.

E così il David diventa il simbolo della giovane Repubblica fiorentina che sfida i nemici. L’esempio del Rinascimento trionfante, dove la forma è stata trovata in una materia anche non perfetta, perché è la forma a essere perfetta in quanto viene dall’idea. Così nasce per Michelangelo la teoria della scultura fatta “nel cavare”.

Michelangelo,Pietà, intero, 1498-1499, marmo, altezza cm 174, Città del Vaticano, basilica di San Pietro

Michelangelo, Pietà, intero, 1498-1499, marmo, altezza cm 174, Città del Vaticano, basilica di San Pietro

Michelangelo,David, 1501-1504, marmo, altezza cm 410, Firenze, Galleria dell’Accademia

Michelangelo, David, 1501-1504, marmo, altezza cm 410, Firenze, Galleria dell’Accademia

L’idea della creazione come “estrazione” è un altro concetto di derivazione neoplatonica. La forma, sia essa scultorea, pittorica o architettonica, nasce dall’informe. L’artista mette la mano dentro l’inerte e tira fuori la forma, come un prestigiatore dal suo cappello tira fuori un coniglio. È un concetto assimilato da Michelangelo nel giardino neoplatonico di Firenze dove aveva studiato la scultura classica e la scultura a tuttotondo, fra gli altri, con Bertoldo di Giovanni, grande maestro allievo di Donatello.

A fine Ottocento il David viene esposto nell’Accademia, dove appare come la statua di un dio greco in un tempio. Il David, che è per i fiorentini il simbolo laico della loro indipendenza, per gli uomini del XIX secolo è il simbolo dell’antichità greca ritrovata, quindi addirittura pagano.

A mio avviso per Michelangelo non è né l’uno né l’altro, lui ha appena concluso la più cristiana delle opere, la Pietà. David non è altro che il capo della stirpe dalla quale viene Gesù, il Davide descritto nel martirologio che trasportò nella città di Gerusalemme l’Arca dell’Alleanza del Signore, a cui il Signore stesso giurò che la sua discendenza sarebbe durata in eterno, perché da essa sarebbe nato Gesù Cristo secondo la carne. Per Michelangelo il David è testimonianza di fede cristologica. È nudo come è nudo il Cristo da lui scolpito in legno a diciassette anni per la chiesa di Santo Spirito a Firenze. E l’Arca dell’Alleanza che lui porta a Gerusalemme è quella che è stata affidata a Mosè.

Così torniamo alla prima opera di cui abbiamo parlato, a quel Mosè ancora legato al momento giovanile dell’artista, che guarda esattamente con lo sguardo dell’attesa del terrore, e nello stesso tempo del dominio, che è del David. Negli anni dieci del Cinquecento il Mosè era finito, gli verrà dato un posto però solo nel 1545 all’interno di San Pietro in Vincoli.

Tutte le sculture di Michelangelo giovane sono legate in modo neoplatonico a Cristo. Anche se apparentemente il suo lavoro d’inizio è solo neoantico, come testimonia la Centauromachia, la quale viene dopo la Madonna della Scala, scolpita in bassorilievo a sedici anni, che riprende un modello esistente da secoli, molto in voga allora anche a livello popolare ridandogli una forma e una posizione che già esistono nella scultura greca nel IV secolo prima di Cristo.

Michelangelo,David, particolare

Michelangelo, David, particolare

 

Michelangelo,Mosè, particolare, Roma, San Pietro in Vincoli

Michelangelo, Mosè, particolare, Roma, San Pietro in Vincoli

Il mondo classico e la centralità dell’idea sono i due cardini dell’opera di Michelangelo. Così classico che un suo Cupido, ora scomparso, talmente mirabile che fu scambiato per antico ed entrato nella collezione del cardinal Riario, fu il motivo della sua chiamata a Roma tramite l’intermediario del cardinale, Jacopo Galli.

E la prima opera romana sarà il Bacco ebbro, che è l’apoteosi dell’antico. Michelangelo è ancora giovane, è uscito dalla scuola, deve dimostrare l’eccellenza assoluta della sua mano e quindi fa una ricostruzione dell’antico perfetta, ovviamente idealizzata.

E qui arriviamo di nuovo nel cuore del pensiero di Plotino, per il quale l’intelletto proviene dall’autoriflessione dell’Uno, è intuizione, è il prodotto dell’estasi. Pensiero molto orientale, e dall’Oriente proviene anche Dioniso, in latino Bacco, che raggiunge la sua estasi creativa nell’ebbrezza, ciò che per Platone era l’entusiasmo, l’entheos, cioè la comunione col divino. Ancora una volta tutto si tiene. Michelangelo appare come l’intellettuale più solido della sua epoca.

Tutto questo percorso in scultura si concluderà con il grande affresco della volta della Cappella Sistina.

Michelangelo,Centauromachia, 1490-1492, marmo, cm 80

Michelangelo, Centauromachia, 1490-1492, marmo, cm 80x90, Firenze, Casa Buonarroti

Michelangelo,Madonna della Scala, 1490 ca, marmo, cm 57

Michelangelo, Madonna della Scala, 1490 ca, marmo, cm 57x40, Firenze, Casa Buonarroti

 

Michelangelo,Bacco ebbro, 1496-1497, marmo, altezza cm 190, Firenze, Museo Nazionale del Bargello

Michelangelo, Bacco ebbro, 1496-1497, marmo, altezza cm 190, Firenze, Museo Nazionale del Bargello

Affreschi concepiti come sculture

Nel 1505 Michelangelo ha trent’anni e ha realizzato già il maggior numero delle sue sculture. Il David è appena stato messo in piazza, ma mentre ci lavorava sopra era d’una attività frenetica anche su altri pezzi come la Madonna con il Bambino, capolavoro che scolpisce quasi in segreto e che vende per la cifra folle di 4000 fiorini a un mercante di stoffe che lavora fra Firenze e Bruges.

I lavori di quegli anni appaiono tutti perfettamente compiuti, tranne che per il David sul quale si scopre che la capigliatura non è del tutto levigata come lo è la pelle. In alcune sue opere è presente però già il primo intuito del non-finito, come nel Tondo Pitti, dove le raspature rimangono a testimoniare la penetrazione dell’occhio nella materia, un po’ come se avesse voluto giocare in scultura con gli strati delle velature pittoriche di cui dà eccellente dimostrazione nel Tondo Doni, dipinto nello stesso periodo. Il San Matteo di quegli stessi anni, primo e unico abbozzo di quelle che dovevano essere le dodici statue degli Apostoli per l’Opera del Duomo di Firenze, è interessantissimo. Il santo sembra voler liberarsi dalla materia che lo contiene. Ma la pratica del non-finito non è ancora definitiva, è pura sperimentazione in corso. Inizia una linea che diventerà stabile: l’opera d’arte non è più solo manufatto, ma diventa l’urgenza della creatività.

Michelangelo,Madonna con il Bambino, 1501-1504, marmo, altezza cm 128, Bruges, Notre-Dame

Michelangelo, Madonna con il Bambino, 1501-1504, marmo, altezza cm 128, Bruges, Notre-Dame

 

Michelangelo,Tondo Pitti, 1502-1504, marmo, cm 85,5

Michelangelo, Tondo Pitti, 1502-1504, marmo, cm 85,5x109, Firenze, Museo Nazionale del Bargello

 

Michelangelo,San Matteo, 1504-1506, marmo, altezza cm 216, Firenze, Galleria dell’Accademia

Michelangelo, San Matteo, 1504-1506, marmo, altezza cm 216, Firenze, Galleria dell’Accademia

Compiuti i quarant’anni, tutta la produzione scultorea di Michelangelo sarà incompiuta, ancora per mezzo secolo di vita: è quello che sarà chiamato il non-finito. Come Albert Einstein che ebbe i grandi intuiti nell’annus mirabilis 1905 e passò i cinquant’anni successivi ad approfondire se stesso, come de Chirico che completò il suo percorso entro il 1929 e passò anche lui il mezzo secolo seguente ad autoindagarsi. Tutti e tre grandissimi e potenti pensatori, tutti e tre navigatori della metafisica.

Nel 1505 dunque, come abbiamo detto, Michelangelo viene richiamato a Roma da Giulio II per preparare il monumento alla sua gloria perenne e da qui inizia il suo tormento esistenziale. Sessant’anni di tormento e una produzione molto più ristretta.

La storia raccontata nel libro e nel film Il tormento e l’estasi, e che si legge in tutte le storie romanzate, è verissima. Michelangelo desidera completare le sculture per la tomba ma il papa cambia idea e vuole che completi la Cappella Sistina, dove nel Quattrocento erano state affrescate le pareti. Allora lui tenta di resistere, e poi fa in pittura quello che aveva concepito per la tomba di Giulio II, cioè prende i prototipi che aveva preparato per le sculture e ci fa le pitture.

Questo linguaggio corrisponde a un’invenzione straordinaria. Non volendo lui fare il pittore, inserisce i suoi affreschi non più in pannelli delimitati, come s’era sempre fatto da Giotto in poi, ma li piazza in un’architettura dipinta che è una delle sue grandi invenzioni, un’architettura del cielo. Non può rinunciare alla plasticità quindi si fa lui stesso architetto della cosa dipinta.

Già nella tomba di Giulio II, Michelangelo voleva che le sculture fossero poste in alto, tant’è vero che l’effetto attuale del Mosè entrando in San Pietro in Vincoli è deviato perché è posto troppo in basso. Probabilmente era rimasto molto influenzato dalle statue del Duomo di Firenze, che all’epoca erano collocate fuori. Oggi infatti al Museo dell’Opera le vediamo frontalmente, mentre andrebbero viste dal basso, secondo l’idea originale, così da far tornare i cartigli centrali alla nostra vista, come nel Re Salomone di Andrea Pisano. E poi ancora doveva essere colpito dal San Giovanni di Donatello che, con un secolo esatto d’anticipo, fa già pensare al Mosè.

Michelangelo,Profeta Ezechiele, 1511 ca, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina

Michelangelo, Profeta Ezechiele, 1511 ca, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina

L’effetto negli affreschi della Sistina è che l’artista estragga una forma e la proietti verso l’osservatore, per cui effettivamente la scultura e la pittura sono analoghe dal punto di vista progettuale. Vero che nella pittura la sensazione è illusoria perché la superficie è piana, ma il principio è lo stesso. I Profeti e le Sibille della volta impressionarono tanto perché sembrano chiamare. E questa sensazione viene proprio dall’idea centrale di Michelangelo che è neoplatonica, per cui l’opera d’arte è una chiamata.

Michelangelo,Volta della Cappella Sistina, 1508-1512, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina

Michelangelo, Volta della Cappella Sistina, 1508-1512, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina

Michelangelo,Sibilla Delfica, 1510-1511, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina

Michelangelo, Sibilla Delfica, 1510-1511, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina

Questioni di famiglia

La volta della Sistina viene scoperta nel 1512 e qualche mese dopo, nel 1513, muore Giulio II, forse l’unico vero padrone che ha avuto Michelangelo, il papa a cavallo e in armatura che dopo Perugia aveva conquistato anche Bologna nel 1506 e per il quale l’artista aveva realizzato anche una scultura in bronzo, un Giulio II che benedice i bolognesi con un gesto quasi di minaccia, abbattuta dai cittadini nel 1511 con il ritorno dei Bentivoglio e i cui pezzi furono fusi per farne un piccolo cannone chiamato per disprezzo la “Giulia”.

Il Crepuscolo, tutto levigato, sta ancora uscendo dalla pietra appena sbozzata, già parente dei successivi Prigioni.

Michelangelo,Tomba di Lorenzo de’ Medici duca di Urbino, 1524-1534 ca, marmo, altezza cm 589, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

Michelangelo, Tomba di Lorenzo de’ Medici duca di Urbino, 1524-1534 ca, marmo, altezza cm 589, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

Nel conclave viene eletto papa un amico d’infanzia di Michelangelo, Giovanni di Lorenzo de’ Medici, suo coetaneo. Il loro rapporto è assolutamente intimo perché i due sono cresciuti assieme nelle scuole dei Giardini medicei a Firenze. Giovanni diventa Leone X, personaggio torbido e ambiguo, perverso e simoniaco che, all’opposto di Giulio II, a cavallo non monta affatto. Però è raffinato e coltissimo e intrattiene scambi epistolari regolari con Erasmo da Rotterdam. Sarà Leone X a distogliere di nuovo Michelangelo dalla tomba di Giulio II per spedirlo a Firenze a fare le sue di tombe di famiglia.

Il Giorno, sembra non concretizzarsi mai, l’idea rimane nel mondo infinito del neoplatonismo e gli occhi sono ancora nell’aldilà della materia.

Michelangelo,Tomba di Giuliano de’ Medici duca di Nemours, 1526-1534, marmo, altezza cm 589, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

Michelangelo, Tomba di Giuliano de’ Medici duca di Nemours, 1526-1534, marmo, altezza cm 589, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

Il 1519 è una data particolarmente significativa per due eventi fondamentali per la città toscana: è l’anno di nascita del non-Medici che diventerà Cosimo I de’ Medici, duca di Firenze e poi granduca di Toscana, ed è anche l’anno nel quale Michelangelo inizia le Tombe Medicee nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo.

La parte delle grandi sculture, nota al mondo intero, è dedicata ai parenti del papa, quelli ai quali lui è particolarmente affezionato.

Lorenzo di Piero de’ Medici, duca d’Urbino, quello al quale Machiavelli dedicò Il Principe, era figlio di Piero il Fatuo, discendente del Magnifico e nipote di Leone X. Il nuovo papa aveva fatto la festa ai discendenti del suo predecessore Giulio II, cacciando il duca d’Urbino Della Rovere per sostituirlo con il nipote. Lorenzo, che fu ritratto anche da Raffaello. Come duca d’Urbino però non ebbe gran fortuna: si sposò una grande ereditiera di Francia, ebbero una bambina e subito dopo, nel 1519, morirono tutti e due di peste. La bambina invece, trent’anni dopo, divenne Caterina, regina di Francia.

Michelangelo,Il Crepuscolo, Tomba di Lorenzo de’ Medici, 1524-1531, marmo, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

Michelangelo, Il Crepuscolo, Tomba di Lorenzo de’ Medici, 1524-1531, marmo, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

La tomba di Lorenzo è una delle sculture più note della storia dell’umanità. Potente, formidabile, dove nelle due statue laterali il non-finito diventa il gioco stesso della narrazione: perfettamente lucida la pancia di lei, evaporata e romantica quella di lui. Lei, L’Aurora, ha in testa un cencio che è stato rubato a Raffaello, lui, Il Crepuscolo, è anch’esso tutto levigato, ma sta ancora uscendo dalla pietra appena sbozzata, già parente di quei successivi Prigioni ora conservati alla Galleria dell’Accademia, quelli che tentano di liberarsi dalla pietra nella quale sono contenuti. La faccia sembra non finita per riprendere quella lezione del vibrato già sperimentata nei tondi dei primissimi anni del Cinquecento.

Dall’altro lato della Sagrestia vi è la tomba del fratellino minore del papa, Giuliano, fatto finto duca di Nemours per via degli ottimi rapporti con il re di Francia Luigi XII, anche lui ritratto da Raffaello e morto a trentasette anni. Era un altro di quei giovanotti di altissimo lignaggio che fu compagno di Michelangelo e quindi si vede come il gioco intellettuale e artistico si svolge tutto all’interno di un ristretto gruppo di persone.

Michelangelo,L’Aurora, Tomba di Lorenzo de’ Medici, 1524-1527, marmo, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

Michelangelo, L’Aurora, Tomba di Lorenzo de’ Medici, 1524-1527, marmo, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

 

Michelangelo,La Notte, particolare della civetta,Tomba di Giuliano de’ Medici, 1526-1531, marmo, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

Michelangelo, La Notte, particolare della civetta e intero, Tomba di Giuliano de’ Medici, 1526-1531, marmo, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

 

Michelangelo,La Notte, particolare del mascherone, Tomba di Giuliano de’ Medici, 1526-1531, marmo, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

Michelangelo, La Notte, particolare del mascherone, Tomba di Giuliano de’ Medici, 1526-1531, marmo, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

 

Michelangelo,La Notte, intero,Tomba di Giuliano de’ Medici, 1526-1531, marmo, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

Michelangelo, La Notte, intero, Tomba di Giuliano de’ Medici, 1526-1531, marmo, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

Nella sua tomba La Notte è una Leda senza cigno, che sembra lei stessa un cigno, ma dove l’idea s’è fatta talmente concreta che questa possente figura riposa fra la civetta della sapienza, o di Atene, e la maschera del teatro. Lui, Il Giorno, sembra non concretizzarsi mai, l’idea rimane nel mondo infinito del neoplatonismo e gli occhi sono ancora nell’aldilà della materia.

Tutte e quattro le statue allegoriche sono neoplatoniche in senso plotiniano, nel senso del non-finito.

I ritratti di Lorenzo e Giuliano che sovrastano le tombe invece sono ritratti ideali, neoplatonici nella loro esecuzione perfetta. Pare che i contemporanei obiettassero che le statue non assomigliavano per niente ai due personaggi storici e che a tale osservazione Michelangelo avesse risposto: “Certo, ma fra mille anni chi se ne accorgerà?”. Come a voler intendere che la fisionomia non era cosa importante, è la persona che conta. La persona dipende sì dalla fisionomia, ma fino a un certo punto, la persona è la sua stessa interiorità.

Michelangelo,Il Giorno,Tomba di Giuliano de’ Medici, 1526-1531, marmo, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

Michelangelo, Il Giorno, Tomba di Giuliano de’ Medici, 1526-1531, marmo, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

Michelangelo,Tomba di Giuliano de’ Medici, particolare del volto, 1526-1534, marmo, altezza cm 589, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

Michelangelo, Tomba di Giuliano de’ Medici, particolare del volto, 1526-1534, marmo, altezza cm 589, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

 

Raffaello (da),Giuliano de’ Medici, XVI secolo, tempera e olio su tela, cm 83,2

Raffaello (da), Giuliano de’ Medici, XVI secolo, tempera e olio su tela, cm 83,2x66, New York, The Metropolitan Museum of Art

 

Michelangelo,Tomba di Lorenzo de’ Medici, particolare del volto, 1524-1534 ca, marmo, altezza cm 589, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

Michelangelo, Tomba di Lorenzo de’ Medici, particolare del volto, 1524-1534 ca, marmo, altezza cm 589, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova

 

Raffaello,Ritratto di Lorenzo de’ Medici, duca di Urbino, 1516-1519, olio su tela, cm 75

Raffaello, Ritratto di Lorenzo de’ Medici, duca di Urbino, 1516-1519, olio su tela, cm 75x49, Collezione privata

Tutto questo tripudio scultoreo avviene in un altro tripudio che è quello architettonico, quello dei cerchi, dei controcerchi e dei paracerchi disegnati in pietra all’interno dei quadrati. La lezione di Brunelleschi nella Sagrestia Vecchia di San Lorenzo è recepita già in una concezione di maniera e di esaltazione. Perché qui la lezione che si è formata nella stesura della Cappella Sistina, cioè nell’impostazione architettonica dello spazio dipinto, diventa architettura vera e propria. Anzi, per la prima volta Michelangelo è architetto. Ma se la pianta della Sagrestia Nuova è effettivamente la medesima di quella della Sagrestia Vecchia di Brunelleschi, il decoro è ben diverso. Dall’esperienza pittorica viene la necessità di decorare tutto, di non tralasciare un singolo elemento; di inventare anche la modanatura interna delle finestre cieche, che assomiglia tanto alla porta etrusca dei templi antichi, quella che anni dopo riproporrà in Palazzo Farnese, quando finalmente sarà riconosciuto come architetto da Paolo III.

Interno della Sagrestia Nuova con laVergine Medici e i santi Cosma e Damiano, 1521-1534, marmo, Firenze, San Lorenzo

Interno della Sagrestia Nuova con la Vergine Medici e i santi Cosma e Damiano, 1521-1534, marmo, Firenze, San Lorenzo

Il lato oscuro della fede

Negli anni del papato di Leone X Michelangelo vive dal di dentro la grande crisi di quel periodo, quando Martin Lutero si stacca definitivamente dalla Chiesa di Roma. Dopo un inutile tentativo di riconciliazione sotto il papato del belga filoimperiale Adriano VI, nel 1523 verrà eletto l’altro papa Medici, Clemente VII, che avrà la sfortuna di assistere allo sfascio del sacco di Roma nel 1527.

Michelangelo,Anima dannata, 1525, inchiostro su carta, cm 37

Michelangelo, Anima dannata, 1525, inchiostro su carta, cm 37x22, Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe

 

Niccolò dell’Arca,Compianto sul Cristo morto, particolare, 1463, terracotta, Bologna, Santa Maria della Vita

Niccolò dell’Arca, Compianto sul Cristo morto, particolare, 1463, terracotta, Bologna, Santa Maria della Vita

 

Edvard Munch,Grido, 1893, olio su cartone, cm 84

Edvard Munch, Grido, 1893, olio su cartone, cm 84x67, Oslo, Munch-museet

All’ansia della creatività si aggiunge così l’ansia della politica e Michelangelo, ormai scultore, pittore e architetto, con una mutazione non dissimile da quella di Giotto, entra in una nuova fase della sua sensibilità, quella nella quale si ricorderà del Compianto sul Cristo morto di Niccolò dell’Arca, visto a Bologna in gioventù, e lo riproporrà in un disegno talmente forte e convinto da considerarlo lui stesso come un’opera finita, tanto da firmarlo. Gli stessi svolazzi attorno al grido. Una straordinaria anticipazione della coscienza moderna del Grido di Edvard Munch.

Per analizzare l’ultimo trentennio di vita di Michelangelo possiamo direttamente partire dalla sua ultima opera, quella Pietà Rondanini, a cui lavorò tra il 1552 e il 1564, anno della morte. È un’opera da leggere come un testamento del genio toscano che lascia tre segni da decifrare e attraverso i quali si può rileggere l’ultima fase della sua vita: il non-finito, la nudità del Cristo e il dialogo personale e diretto fra l’artista e il Cristo.

Il non-finito infinito

Nell’opinione comune si considera la scultura non-finita perché Michelangelo ormai vecchio non avrebbe avuto la forza fisica per completarla e questo sarebbe anche il motivo per il quale la Madonna è solo parzialmente abbozzata. La statua infatti è levigata solo nella parte centrale delle gambe del Cristo. È una convinzione che ritengo totalmente falsa e basta fare un salto a Casa Buonarroti a Firenze e guardare quella piccola statuina di un crocefisso che è di due anni antecedente per capire che il non-finito era per lui una precisa scelta linguistica, perché quel legnetto lì lo avrebbe potuto finire benissimo viste le dimensioni. Il non-finito dell’ultima Pietà è dunque stata sicuramente una scelta convinta.

Il non-finito è stato originariamente un modo tecnico di procedere che Michelangelo ha applicato con attenzione. Lo abbiamo già visto nel David, dove tutto il corpo è perfettamente ultimato mentre i capelli curiosamente sono solo abbozzati. E lo sono per un motivo molto semplice: le sculture antiche che lo formano a Firenze sono poca cosa rispetto a quelle che vede a Roma sul finire del Quattrocento, mentre completa la prima Pietà di San Pietro.

Michelangelo,David, particolare del volto, Firenze, Galleria dell’Accademia

Michelangelo, David, particolare del volto, Firenze, Galleria dell’Accademia

 

Michelangelo,Pietà Rondanini, 1552-1564, marmo, altezza cm 195, Milano, Castello Sforzesco

Michelangelo, Pietà Rondanini, 1552-1564, marmo, altezza cm 195, Milano, Castello Sforzesco

 

Michelangelo,Crocifisso, 1562-1563, legno, altezza cm 27, Firenze, Casa Buonarroti

Michelangelo, Crocifisso, 1562-1563, legno, altezza cm 27, Firenze, Casa Buonarroti

 

Michelangelo, Vestibolo e scala della Biblioteca Laurenziana, 1524-1534, Firenze

Michelangelo, Vestibolo e scala della Biblioteca Laurenziana, 1524-1534, Firenze

Il non-finito è un linguaggio che Michelangelo propone anche in architettura, già nell’impianto teatrale delle Tombe Medicee, dove solo due pareti sono ultimate mentre la più significativa viene tralasciata.

Poi diventa prassi nella Biblioteca Laurenziana, che l’artista inizia a realizzare per incarico del secondo papa Medici, Clemente VII. Un edificio che si inserisce nel complesso mediceo di San Lorenzo come una sorta di astronave. Il vestibolo, parola tipicamente toscana per definire un androne, corrisponde a tutta la storia delle catastrofi progettuali di Michelangelo, perché inizia, si evolve ma non sarà mai concluso.

Entriamo in pieno nella fenomenologia dell’incompiutezza perfetta e costante che accompagna la vita di Michelangelo. Le finestre sopra, che lui non aveva voluto e che però ha dovuto accettare, la parte sua invece, voluta e desiderata: le colonne, la scala alterata rispetto al suo progetto e il tutto in mezzo a muri che sono rimasti lindi ma sostanzialmente mai ultimati, ancora col loro intonaco grezzo. A tal punto che la sua conclusione finale è addirittura dell’inizio del XX secolo, quella che lo tappa definitivamente e nasconde le capriate. Per il resto tutta l’evoluzione nasce da una progettualità incerta, da progetti che arrivano da Roma, vengono recepiti, metabolizzati e riletti, fino addirittura alla scala formidabile che era stata prevista di legno e fu mutata in pietra serena su richiesta di Cosimo I e eseguita dall’Ammannati. Uno scalone bellissimo che anticipa di un secolo tutta la morbidezza barocca.

Michelangelo, particolare delle volute del vestibolo della Biblioteca Laurenziana

Michelangelo, particolare delle volute del vestibolo della Biblioteca Laurenziana

Michelangelo, Sala di lettura della Biblioteca Laurenziana

Michelangelo, Sala di lettura della Biblioteca Laurenziana

La biblioteca vera e propria corrisponde ai modelli che sono diventati famosi nel Quattrocento, come quello della Biblioteca Malatestiana di Cesena, di cui riprende la stessa concezione. Un luogo dove i libri sono legati alle panche e vengono consultati grazie alla luce naturale. La luce naturale è quella che penetra qui dalle finestre vetrate che danno un tono costante e morbido. Qui tutto, fuorché le vetrate, è disegnato da Michelangelo, almeno concepito da lui, fino al decoro delle panche. Le vetrate contengono una curiosa indicazione che nella sua contraddizione riassume la storia dell’edificio: vi si legge infatti Clemens VII Pontifex Maximus e la data 1568, trentaquattro anni dopo la morte del papa, quattro anni dopo la morte di Michelangelo, perché è solo in quella data avanzata che si può considerare il lavoro ultimato.

Il Cristo è nudo

Passando alla questione della nudità del Cristo, è un elemento che ritroviamo in tutta una serie di sue sculture, dal primo Crocifisso in Santo Spirito a Firenze, del 1492, alle due versioni del Cristo Risorto: quello completato per la chiesa della Minerva a Roma e coperto nell’Ottocento dalla pudicizia dei domenicani, e poi l’altro, da poco riscoperto, che si può vedere a Bassano Romano, interrotto da Michelangelo e lasciato in bozza poiché nell’affrontare il volto apparve una vena nera che lui non aveva visto prima e che non poté tollerare, tanto da abbandonare la scultura e rifarla da capo. Quest’ultima, finita da Michelangelo, ha un volto ben più determinato.

Quello del Cristo convinto della sua missione, del Cristo Uomo, del Cristo Figlio, figlio dell’Uomo.

Il sesso di Cristo è una questione complessa affrontata con somma attenzione da Leo Steinberg in un suo saggio sottile quanto intelligente del 1983. Il prepuzio di Gesù bambino non soffre di pudori nell’iconografia. Cristo adulto invece sì. La nudità è sempre questione complessa a tal punto che fu centrale nel dibattito circa la conservazione o meno del Giudizio Universale della Sistina. La cultura iconografica bizantina era tendenzialmente sessuofobica e lasciò la sua traccia fino agli albori del Rinascimento, se per tali albori si ritiene germinale il lavoro duecentesco di Nicola Pisano, il quale nel pulpito del Battistero di Pisa raffigura per la prima volta un Cristo/Ercole integralmente nudo. E non è in realtà il primo a farlo poiché la prima nudità appare già in una statua dell’ambone del duomo di Salerno, scultura di cultura normanna e come tale dichiarazione politica antibizantina.

Nicola Pisano,Ercole, particolare del pulpito, 1257-1260, marmo, Pisa, Battistero

Nicola Pisano, Ercole, particolare del pulpito, 1257-1260, marmo, Pisa, Battistero

La nudità dichiarata è allora segno dell’emancipazione dalla tradizione bizantina e compare anche sulla facciata di San Pietro a Tuscania all’inizio del XIII secolo dove Adamo senza pudore alcuno esibisce dei testicoli di dimensioni ammirevoli.

In questo senso Michelangelo riassume una parte della tradizione iconografica centroitaliana, vi aggiunge la riscoperta della classicità antica e conclude il percorso con una teologia libera di Cristo fattosi Uomo. È comprensibile che il percorso successivo della Controriforma si sia trovato nell’obbligo di rivestire la faccenda.

Michelangelo,Cristo Risorto, 1518-1521, marmo, altezza cm 205, Roma, Santa Maria sopra Minerva

Michelangelo, Cristo Risorto, 1518-1521, marmo, altezza cm 205, Roma, Santa Maria sopra Minerva

 

Michelangelo,Crocifisso, 1492, legno e stucco policromo, cm 139

Michelangelo, Crocifisso, 1492, legno e stucco policromo, cm 139x135, Firenze, Santo Spirito

Il dialogo con Cristo

La terza questione sollevata dalla Pietà Rondanini è il dialogo esclusivo che Michelangelo sembra instaurare col Cristo, dialogo il cui ultimo atto comincia con il Giudizio Universale.

Nel 1534 muore appunto Clemente VII e in un solo giorno viene eletto Alessandro Farnese che prende il nome di Paolo III. Bel tipo il nuovo papa, da ragazzo fu incontrollabile ma educato alla grande e poi spedito in punizione presso Lorenzo il Magnifico per formarsi lì con il meglio degli umanisti dell’epoca. Cresce quindi con il futuro Leone X, con il futuro Clemente VII e ovviamente con Michelangelo. Viene eletto a sessantasei anni ma durerà a lungo, morendo ottantunenne. Michelangelo ne ha cinquantanove, è un uomo maturo, riverito e omaggiato in una Firenze che è appena caduta, nel 1532, sotto il giogo del giovane e perfido Alessandro de’ Medici, figlio naturale dell’appena defunto papa Clemente VII e di una mulatta.

Richiamato a Roma nel 1534 già da Clemente VII per affrescare la parete di fondo della Sistina con il Giudizio Universale, durante il pontificato di Paolo III Michelangelo porta a compimento quella che da un teologo della Controriforma come Giovanni Andrea Gilio è stato definita una “Dannazione Universale”.

Il Giudizio Universale di Michelangelo riflette quasi simbolicamente la distruzione di un sistema formale e artistico che rifletteva la cultura, l’ideologia, le aspirazioni della corte papale prima del sacco. L’affresco copre l’intera parete, senza alcuna partizione architettonica, senza alcun collegamento con la struttura prospettica della cappella, come una visione che appare in uno spazio irrazionale e non misurabile.

Il Cristo è centrale e con il suo gesto imperioso genera un moto ellittico a cui sono subordinati tutti i quasi quattrocento personaggi, un grande pandemonio dantesco in cui sembrano tutti dannati. Infatti non ci sono separazioni fra le zone dei beati e dei dannati secondo la classica tradizione iconografica, anche i santi e gli eletti manifestano partecipazione e sgomento, tutti ancora drammaticamente coinvolti dalle passioni terrene. Cristo stesso, più che invitare, sembra scacciare con il gesto della mano gli aspiranti al Paradiso, mentre la Madonna si rivolge quasi spaventata all’umanità sottostante.

Michelangelo,Giudizio Universale, 1535-1541, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina

Michelangelo, Giudizio Universale, 1535-1541, affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina

Michelangelo,Giudizio Universale, particolare con san Pietro

Michelangelo, Giudizio Universale, particolare con san Pietro

Michelangelo,Giudizio Universale, particolare con Cristo Giudice

Michelangelo, Giudizio Universale, particolare con Cristo Giudice

In mezzo all’ammirazione e all’entusiasmo che suscitò l’affresco si fecero strada anche le critiche che si concentrarono sulla nudità dei personaggi e sulle “porcherie” inventate dal pittore. L’allievo “braghettone” Daniele da Volterra, con qualche velo posto a coprire le nudità, riuscì a scongiurare la distruzione dell’affresco. In realtà le accuse di oscenità furono un modo per spostare l’attenzione sul problema vero del significato dell’opera che cela un influsso protestante. La forza irresistibile che travolge l’umanità verso l’alto o verso il basso, ponendo l’accento sullo scarso numero dei salvati e sui meriti di Cristo Salvatore, diminuiva infatti il valore della Chiesa come mediatrice. Come poteva un simile affresco stare nella cappella dove si eleggevano i papi? E in più Michelangelo aveva avuto l’ardire di collocare la bocca dell’Inferno proprio sopra l’altare!

L’artista finisce il Giudizio nel 1541 e nel 1543 riprendono anche i lavori per completare finalmente la tomba di Giulio II, dove la posizione centrale della figura di Mosè in questo contesto di Riforma assume un valore preciso ricordandomi di Jan Hus più di un secolo prima. Nel 1412, tre anni prima che fosse messo al rogo, sul ponte di Praga, Hus aveva preso una posizione fortissima contro la scomunica arrivata da Roma e, “contro l’ingiusta sentenza e la scomunica comminatami dai pontefici, scribi, farisei e giudici insediatisi sulla Cattedra di Mosè”.

Michelangelo,Giudizio Universale, particolare con la barca di Caronte

Michelangelo, Giudizio Universale, particolare con la barca di Caronte

Ed ecco la cattedra di Mosè, nel centro della tomba, il Mosè, non il papa.

Che Michelangelo fosse convinto che la forza della propria fede fosse la strada per la salvezza è un’evidenza che diventa ben più sicura nel 1536, dopo l’incontro con la nobildonna Vittoria Colonna, tornata a Roma dopo anni di colta vita letteraria a Ischia. A lei Michelangelo dedicherà una piccola crocifissione per la sua cappella privata, simbolo forse di un legame che si basava sulla forte spiritualità di entrambi. Attraverso di lei l’artista conoscerà il lato protestante della fede.

Nel 1537 Alessandro de’ Medici, tiranno duca di Firenze e ultimo discendente del ramo principale dei Medici, viene assassinato ventiseienne dal cugino coetaneo, Lorenzino. In questo clima politico Michelangelo realizza il Bruto, oggi al Bargello. L’opera diventa espressione della vittoria del popolo, il nike demos, che come dice sant’Agostino sarebbe l’etimologia di Nicodemo.

Ed ecco allora Nicodemo in versione pathos totale, vertice della Pietà Bandini iniziata nel 1550, oggi al Museo dell’Opera del Duomo a Firenze. Qui Nicodemo altri non è che Michelangelo, simile alla rappresentazione che ne fa l’affezionato Daniele da Volterra.

Michelangelo,Bruto, particolare, 1539 ca, marmo, altezza cm 95, Firenze, Museo Nazionale del Bargello

Michelangelo, Bruto, particolare, 1539 ca, marmo, altezza cm 95, Firenze, Museo Nazionale del Bargello

 

Michelangelo,Pietà Bandini, intero, 1550-1555, marmo, altezza cm 226, Firenze, Museo dell’Opera del Duomo

Michelangelo, Pietà Bandini, intero, 1550-1555, marmo, altezza cm 226, Firenze, Museo dell’Opera del Duomo

 

Michelangelo,Pietà Bandini, particolare, 1550-1555, marmo, altezza cm 226, Firenze, Museo dell’Opera del Duomo

Michelangelo, Pietà Bandini, particolare, 1550-1555, marmo, altezza cm 226, Firenze, Museo dell’Opera del Duomo

Il nicodemismo è però anche altra cosa, condannata da Calvino, è la pratica del Nicodemo dei Vangeli che è fariseo di giorno e va a trovare Gesù di notte, è la pratica di chi in quegli anni è protestante ma lo nasconde. Che Michelangelo fosse nicodemico?

Come dice Claudio Strinati “il protestantesimo è un po’ il sotterraneo, il fiume carsico dentro lo spirito michelangiolesco, che a un certo punto sembra quasi venire alla luce”.

In un disegno di Michelangelo troviamo una croce della passione a forma di V, proprio questo sarà nel secolo successivo il simbolo dei giansenisti per i quali, come per i calvinisti, solo pochi predestinati saranno salvati. E il più mistico dei giansenisti di Port-Royal sarà quel Blaise Pascal, che nei suoi scritti dialoga direttamente con il Cristo in Passione, come Michelangelo.

Il soffio dello spirito

Intanto mentre Michelangelo è già diventato exemplum per tutti i manieristi che lo copieranno, lui nel suo lavoro porta a termine un percorso completamente diverso che lo getta immediatamente nella nostra modernità. La Pietà Rondanini è un capolavoro di ambiguità, la figura che sorregge il Cristo è talmente incerta da poter sembrare a volte la Madonna, come nella prima Pietà di Roma, e talvolta invece Nicodemo, come nella seconda Pietà di Firenze. Può essere contemporaneamente l’una e l’altro. La luce scorre sulla superficie del marmo e permette di decifrare l’intaglio dell’oggetto, la formazione dell’idea nel momento nel quale l’idea stessa esce dalla materia. È in assoluto l’evoluzione più avanzata del pensiero neoplatonico di Michelangelo da quando aveva diciassette anni fino alla fine.

E non si capisce se il Cristo è l’autoritratto di Michelangelo vecchissimo, con le gambe fragili, e se la Madonna è Nicodemo con un accenno di barba, oppure il Cristo che sorregge Michelangelo morente. Una vela nel vento che ricorda di nuovo il testo evangelico di Giovanni: “Nicodemo gli disse: ‘Come può un uomo nascere quando è vecchio?’. Gesù rispose: ‘Ciò che è nato dalla carne è carne; ma ciò che è nato dallo spirito è spirito. Il vento soffia dove vuole e tu ne odi il suono, ma non sai da dove viene né dove va; così è per chiunque sia nato dallo spirito’”.

Michelangelo,Studio per una crocifissione con Maria e san Giovanni, 1560 circa, matita e carboncino su carta, cm 56

Michelangelo, Studio per una crocifissione con Maria e san Giovanni, 1560 circa, matita e carboncino su carta, cm 56x35, Londra, The British Museum

Michelangelo muore con il neoplatonismo ormai condannato dal Concilio di Trento, e l’idea plotiniana dell’Uno scompare, per ricomparire oltre un secolo dopo nel pensiero di Leibniz quando il filosofo pone le basi della monade, la quale sarà base teorica per il Michelangelo del contrappunto in musica, Johann Sebastian Bach, entrambi legati dalla stessa passione per la Passione di san Matteo.

Michelangelo,Pietà Rondanini, particolare con i volti di Cristo e Maria, 1552-1564, marmo, altezza cm 195, Milano, Castello Sforzesco

Michelangelo, Pietà Rondanini, particolare con i volti di Cristo e Maria, 1552-1564, marmo, altezza cm 195, Milano, Castello Sforzesco