Votate Scalfaro!

Dal Quirinale, visto il risultato elettorale, è ancora una volta Cossiga a imprimere un’accelerazione convulsa ai tempi della classe politica, ancora incapace di leggere il corso precipitoso della propria fine. L’occasione di un gesto simbolico, in un giorno simbolico, non poteva sfuggirgli: dopo 29 mesi di esternazioni si dimette il 25 aprile, il giorno della Liberazione, appunto. La ragione primaria sarebbe l’elezione alla presidenza della Camera di un politico a lui ostile, Oscar Luigi Scalfaro, interpretata da Cossiga come l’ultimo affronto della Dc.

Nel momento di massima debolezza delle istituzioni, è la mafia a intervenire con la forza della tragedia, scompigliando strategie già strutturate, allo scopo di imporre le ragioni dell’antistato. All’altezza dello svincolo dell’autostrada per Capaci, nei pressi di Palermo, la macchina del giudice Giovanni Falcone, campione assoluto della lotta contro la mafia arrivato all’aeroporto di Punta Raisi, salta per aria passando sopra un quintale di tritolo. Il parlamento, riunito a oltranza per votare il nuovo presidente della Repubblica, resta annichilito, annientato, umiliato. Con un colpo di genio garibaldino, Marco Pannella si autonomina alla testa di una campagna moralizzatrice, proponendo l’elezione al Quirinale di Scalfaro. Il successo è liberatorio. Scalfaro diventa lo stemma dell’orgoglio politico ritrovato.

Sono molte le testimonianze che ricordano Napolitano impegnato in prima persona a indirizzare il voto dei miglioristi verso il candidato al Quirinale di Pannella. Così il suo nome potrà tornare fra i papabili per la presidenza della Camera. Con un presidente della Repubblica iperdemocristiano, un comunista liberal sarebbe gradito e compatibile con i nuovi equilibri parlamentari. Craxi all’inizio è contrario. Poi se ne convince. E se ne convince anche Occhetto. Ma non tutto va per il verso giusto. Il candidato di partito, Stefano Rodotà, presidente del Pds e vicepresidente in carica della Camera, quindi naturale successore di Scalfaro salito al Quirinale, non è disposto a ritirare la sua candidatura. Lo scontro diventa aspro. Le votazioni si susseguono, con il paradosso che il Pds si astiene e non vota il suo presidente. In favore di Rodotà alla presidenza della Camera ci prova di nuovo Pannella con una sofisticata mossa di scacchi: Napolitano a Palazzo Chigi come capo del nuovo governo. Troppo. La classe politica converge sulla sua candidatura alla Camera e lo elegge il 3 giugno 1992. Rodotà, professore di diritto e massimo studioso di etica politica, si dimette dal Pds e minaccia anche di lasciare il parlamento. E vincendo per la prima e ultima volta il suo stile sobrio e misurato dichiara: «Una piccola schiera di imbecilli ha ridotto tutto a una fame di poltrone che, se fosse esistita, molti erano pronti a saziare con ragguardevoli bocconi». Napolitano, ben cosciente di aver vinto perdendo ancora una volta, risponde con misura e un pizzico di esile ironia: «Questi giorni mi hanno segnato… Ma questa assemblea mi fa ricordare il periodo in cui ero presidente del gruppo comunista, la sua grande apertura, la sua grande fraternità».214

Il debutto di Giorgio Napolitano alla presidenza della Camera coincide con il totale imbarbarimento della politica, sfigurata dalla pratica strutturale della tangente nella lotta politica. Non solo fra partiti, ma soprattutto nell’incessante guerra fra le correnti per il controllo del rispettivo partito. Nei corridoi della procura, fra i giornalisti che quotidianamente narrano le gesta dei magistrati di Mani pulite, fra arresti e confessioni, fughe e suicidi, nasce il neologismo Tangentopoli, la città della corruzione dal profilo tanto somigliante alla Milano di Craxi. L’opinione pubblica è sconcertata dalla dimensione insospettata del fenomeno corruttivo, offesa dalla teoria giustificazionista secondo la quale, siccome la politica costa, non è peccato grave rubare per il partito, indignata dalla fragilità etica e morale delle classi dirigenti italiane. Insieme ai politici corrotti, infatti, ci sono anche i corruttori, figure ai vertici del potere economico e industriale.

Sopravvivere a Tangentopoli diventa arduo per tutti e impossibile per qualcuno. Bettino Craxi scopre molto presto che il patto con la Dc che doveva farlo rientrare a Palazzo Chigi non potrà essere rispettato. Con le lacrime agli occhi, dicono le cronache segrete del Quirinale, sarà compito di Scalfaro spiegare al segretario del Psi che non potrà essere incaricato di formare il nuovo governo. Al massimo gli sarà consentito di scegliere il suo sostituto. Tutti pensano a Claudio Martelli, il più vicino all’ala migliorista. Invece viene scelto Giuliano Amato, professore di diritto costituzionale, acuto stratega del socialismo governante, a seconda dei punti di vista chiamato anche «Dottor Sottile» oppure «Tigellino», dal nome del comandante della guardia pretoriana di Nerone. Occhetto però non si fida più. Eppure, prima delle elezioni, all’Hotel Raphael, residenza romana di Craxi, aveva stipulato un patto segreto per un nuovo governo guidato dai socialisti con i comunisti se i due partiti fossero riusciti a erodere voti alla Dc, sia da destra sia da sinistra. Un patto che forse doveva servire a sottrarre alla corrente migliorista del Pds l’esclusiva dei rapporti con i socialisti. Invece Occhetto reagisce con un sussulto identitario alla sconfitta elettorale, e non solo tiene il Pds lontano dal governo di Amato, ma cambia tutta la gerenza del partito, escludendo dalla maggioranza la destra riformista dei miglioristi a favore della sinistra dei comunisti democratici.215

Non sono passati molti mesi dal 14 settembre 1992 quando, al congresso di Berlino, con il consenso dei socialisti e dei socialdemocratici, gli ex comunisti avevano chiesto e ottenuto l’ammissione del Pds all’Internazionale socialista. Ma nessuno, in quei giorni, avrebbe potuto prevedere la deperibilità dei grandi traguardi politici: la «prospettiva del socialismo europeo» perseguita da Napolitano sembrava arrivata quando aveva ormai perso tutta la sua forza ideologica. Con la scienza del poi, è facile capire l’errore di Occhetto: se a fianco di Amato fosse stato portato al governo Napolitano, la storia, non solo della sinistra ma di tutta l’Italia, sarebbe cambiata, perché il Pds sarebbe potuto diventare il punto politico di raccolta per la diaspora socialista dopo la rotta morale del craxismo.

L'ultimo comunista: La presa del potere di Giorgio Napolitano
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