Il più serio rivale di Occhetto

«Siamo usciti dai confini della tradizione comunista»: la frase ad alta temperatura socialdemocratica compare in un articolo su «l’Unità» del 21 febbraio 1988, Parole e silenzi di Togliatti, in cui Napolitano si sofferma sulla figura di Nikolaj Bucharin, protagonista della Rivoluzione russa giustiziato da Stalin. Il puntuale e attento pezzo di Napolitano risponde alle polemiche storiografiche agitate dai socialisti e, insieme, ricorda agli ostinati custodi della «diversità comunista» le risposte della storia. Il Pci cerca faticosamente di misurarsi con il nuovo stile dell’informazione politica. La generazione del Sessantotto, al potere con tutta la sua immaginazione, ha imposto ai giornali uno stile più scanzonato e aggressivo, ma nello stesso tempo culturalmente più acconcio e con un approccio storico più intelligente. A Botteghe oscure si sentono accerchiati, soprattutto quando si rendono conto che i colpi più devastanti provengono dalle postazioni più avanzate del fuoco amico. Il successo di «Tango», l’inserto satirico de «l’Unità» ideato da Sergio Staino, fa paura. Natta si preoccupa quando gli pare che il quotidiano del partito sia egemonizzato dallo «spirito di “Tango”». Anche Napolitano si schiera con durezza contro il direttore de «l’Unità», incurante del fatto che si tratti del suo principale sodale nella corrente migliorista.183

In primavera succede un fatto che sembra quasi una maledizione. Natta sta per salire sul palco per un comizio a Gubbio, il 30 marzo 1988, quando si sente morire. Come Berlinguer. Si ferma. Sembra un infarto. Lo è, ma leggero. Tre giorni dopo ha una nuova crisi. Anche l’ischemia passa. Ci vorrà tempo, ma guarirà. Intanto i risultati delle elezioni amministrative del 29 e 30 maggio 1988 hanno l’effetto di una catastrofe ambientale per l’universo comunista: non soltanto il Pci perde altri 4 punti percentuali rispetto alle politiche, scendendo dal 27,7 al 23,8, ma è il Psi a trarne il massimo vantaggio, passando dal 14,7 al 17,6. Per la prima volta nell’opinione pubblica più avvertita si diffonde l’idea che il sorpasso di Craxi sia possibile e anche probabile alle prossime consultazioni europee del 1989.

La successione a Natta si apre in un clima eccitato e ansioso, uno scontro senza sconti. Achille Occhetto su «l’Unità» del 3 giugno risponde al discorso di Napolitano che, nell’analizzare la sconfitta elettorale, ha parlato in favore della «riunificazione della sinistra». Intanto Natta, trasferito dall’ospedale di Perugia a una clinica di Roma, consegna una lettera di dimissioni al comitato centrale, da rendere pubblica, e una lettera privata a Occhetto, vicesegretario, perché la legga in direzione. Così la riunione del 13 giugno 1988 inizia con un’erratica e inconcludente discussione sull’opportunità di rendere pubblica anche la seconda lettera. Sono in molti a temere le indiscrezioni sui giornali. Occhetto, che ha parlato con Natta convalescente, spiega che le dimissioni sono irrevocabili. Piace all’opinione di sinistra lo stile virtuoso del segretario uscente, che cita la regola francescana: «Il priore che ha compiuto il mandato torna ad essere un semplice frate». La seconda lettera viene secretata. È il primo segnale concreto che le tessere del complotto generazionale, su cui Occhetto ha deciso di fondare le sue aspirazioni, sono già ben piazzate al posto giusto.

Napolitano prova a resistere. Con abilità solleva la questione del metodo per la scelta del nuovo segretario, chiede tempo e cerca di smascherare la trama «barbarica» dei giovani: «D’Alema ha auspicato un passaggio generazionale “senza tutele” e ha fatto il nome di Occhetto quale segretario del Partito. […] Occhetto ha già la pienezza dei poteri. […] La candidatura di Occhetto è evidente: l’incarico di vicesegretario ne fa un candidato naturale, anche se non il solo e l’automatico. Non vedo altre candidature, ma bisogna evitare ogni forzatura».184

A proporre altre candidature ci pensano invece i giornali. Non solo in Italia. Con un articolo di straordinaria rudezza, intitolato Italy’s antiquated Communist Party seeks the elisir of youth (L’antiquato Partito comunista italiano cerca l’elisir di giovinezza), il 14 giugno 1988 «The Times» interviene nel dibattito proponendo come suo candidato «il più serio rivale di Occhetto: Giorgio Napolitano». Forza delle coincidenze: il giorno prima, il 13 giugno, proprio mentre la direzione cerca di sciogliere il «rebus» della seconda lettera, sulla prima pagina di «Tango» viene lanciata una proposta: «Referendum: eleggiamo tutti il segretario». Ciascuna delle candidature è accompagnata da una concisa scheda biografica. Che siano firmate con appassionata ferocia da Michele Serra, penna satirica militante del giornalismo comunista, conferma che la satira di «Tango» riflette qualcosa di più concreto del sentimento diffuso nel popolo comunista: in quelle poche righe si sente l’eco delle voci di dentro provenienti da Botteghe oscure. Di Napolitano si dice: «Gradito ai socialisti, gradito agli intellettuali modernisti, gradito alla Nato, gradito a Salvatore Veca, gradito agli imprenditori liberal, gradito a Eugenio Scalfari, se fosse gradito anche ai comunisti sarebbe segretario già da un pezzo». Serra non fa sconti neanche a Occhetto: «Può contare sul novanta per cento dei consensi, una base molto compatta: il trenta per cento lo eleggerà per fare una politica di alternativa, il trenta per cento per non fargliela fare, l’altro trenta per cento per fare casino».185

Sarà comunque lui, Occhetto, a essere eletto segretario dal comitato centrale del 21 giugno con soli cinque astenuti, tra cui Armando Cossutta, e tre voti contrari, tra cui quello di Napoleone Colajanni, ormai convinto che sia arrivato il tempo di dimettersi da tutte le cariche nel partito: la scelta di Napolitano di convergere sul segretario lo ha deluso.

A Occhetto non difetta una propensione ideologica al movimentismo: oscillando per strappi successivi fra destra e sinistra e centro, riuscirà a mantenere unito il partito fino all’ultima svolta e anche un po’ dopo. Occhetto segretario si trova a interpretare un inatteso ruolo carismatico sulla scena della società dell’informazione. Il bacio alla moglie nel giardino della casa di Capalbio, ritiro estivo dell’intellettualità romana e milanese, conquista la copertina del «Venerdì di Repubblica» del 25 giugno 1988, sollecitando la retorica delle grandi firme. Messo a punto, il dispositivo si rivela duttile e adattabile tanto al registro basso del rotocalco quanto alla cultura alta della storia. Nel gennaio del 1989, in un’intervista parallela con Craxi su «l’Espresso», Occhetto si misura con il passato del Pci, indicando la discendenza dell’italocomunismo dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, di cui ricorre il bicentenario.186

Napolitano ricorda con rammarico nell’autobiografia: «La parola d’ordine del “nuovo Pci” finì per rivelarsi fuorviante, oltre che antistorica. Non ce ne rendemmo abbastanza conto nei giorni del congresso, nemmeno noi riformisti più convinti, e non reagimmo come sarebbe stato necessario».187

Il XVIII congresso del Pci si apre al Palaeur di Roma il 18 marzo 1989 con un video di Sting. Ci sono anche i Police e De Gregori, oltre a Bandiera rossa e all’Internazionale. La regia dell’evento è stata affidata a un funzionario in carriera, giovanissimo e già postcomunista, Walter Veltroni. Gli editorialisti rilanciano il tema del nome: visto che il partito è tutto nuovo, perché continuare con il vecchio? Occhetto risponde dalla tribuna: «Il nostro è un nome onorato, e non capiamo perché dovremo cambiarlo». Tutti applaudono. L’abbraccio finale fra Occhetto e Ingrao racconta il senso ultimo del congresso. Occhetto ha trovato nella sinistra il centro di gravità che cercava per il controllo totale del Pci. Le correnti che dividevano il partito sembrano dissolte. Lo sconfitto è Napolitano.188

L'ultimo comunista: La presa del potere di Giorgio Napolitano
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