L’anno più lungo, il Cinquantasei

Il rapporto segreto dell’ignoto questurino

«Non è vero che non sia stato fatto niente per la via italiana al socialismo, anzi è stato fatto molto»: a dispetto della prosa burocratica, l’ignoto questurino infiltrato nel 1956 fra i delegati del Pci al congresso di Napoli sa cogliere, in poco meno di due righe ben incastonate in un rapporto di venti pagine, il momento esatto in cui «Giorgio Napolitano, della federazione di Caserta», debutta nella speciale lista dei dirigenti del Pci degni di essere spiati. C’era stato un precedente, nel 1951, in cui Napolitano figurava fra i responsabili della cosiddetta «Gladio rossa» a Roma, secondo un rapporto della Questura di Napoli. Ma si trattava di un elenco di dirigenti comunisti presi un po’ a casaccio senza altri riscontri.

Questa volta, invece, trascorsa la metà più buia del decennio, il nome giusto si trova al posto giusto nel documento giusto. E infatti fin dall’incipit la relazione, spedita alla fine di novembre del 1956 dal capo della polizia al ministro dell’Interno Fernando Tambroni, è un classico dello spionaggio politico anni Cinquanta nel genere «mattinale»: «Per notizia comunico che nei giorni 23, 24 e 25 corrente, nel cinema Azalea di Fuorigrotta, si svolse l’VIII congresso provinciale della federazione comunista napoletana per la nomina del nuovo “direttivo” di detta federazione e dei delegati al congresso nazionale del Pci, che avrà luogo a Livorno l’8 dicembre p.v.».

All’Azalea la scena è scarna di addobbi: poche le bandiere di partito, e solo ai lati del palco della presidenza. Tanti i delegati: da un minimo di 300 fino a 800 «in occasione del discorso di chiusura». Spicca la presenza, «per l’intera sua durata», di Pietro Ingrao, all’epoca direttore del quotidiano «l’Unità», «intervenuto in qualità di osservatore appositamente inviato dalla direzione romana del partito», come riferisce puntualmente il poliziotto, dimostrando un’attenta conoscenza della fisiologia del potere comunista. Le informazioni sono di prima mano. Difetta la prosa, è vero. Ma l’ignoto questurino sa argomentare il dibattito politico senza smarrirsi nelle diatribe locali, con una competenza e un’intelligenza da grande pastonista, capace quindi di vedere dietro ogni bega napoletana il riflesso della politica nazionale del Pci, su su fino a Palmiro Togliatti. E sa riflettere in totale purezza l’aria del tempo con il nitore di un’istantanea fotografica, senza che il senno di poi delle narrazioni politiche e ideologiche successive ne trasfiguri l’esatta percezione.55

Siamo nel 1956, un anno «terribile» per Giorgio Amendola e «indimenticabile» per Pietro Ingrao.56 Il «rapporto segreto» di Krusciov, che a febbraio aveva svelato ai delegati del Partito comunista sovietico gli orrori del regime di Stalin, era uscito il 4 giugno sul «New York Times», e il 28 di quello stesso mese c’era stata la rivolta degli operai polacchi di Poznan, prima del grande trauma della repressione dei moti d’Ungheria fra il 4 e il 10 novembre. In soli dieci mesi il comunismo internazionale aveva perso la sua innocenza storica e aveva visto incrinarsi il suo statuto mitologico con la scoperta che il paradiso del proletariato aveva funzionato come un inferno. Per la grande storia poco conta che il 1956 sia stato anche l’anno del rock ’n’ roll (Heartbreak Hotel di Elvis Presley è del 10 gennaio) oppure della crisi di Suez (Nasser nazionalizza il canale il 3 ottobre) o della nascita, alla fine di novembre, della struttura Stay Behind della Nato passata dalla cronaca alla storia con il nome simbolico di Gladio, quella vera. Il Cinquantasei fu un anno comunista.

Quell’anno breve, da febbraio a novembre, in Italia durerà qualche settimana in più, fino al 14 dicembre, lasciando visibili tracce per mesi ancora e forse negli anni, dopo la chiusura dell’VIII congresso del Pci, che doveva tenersi a Livorno ma che invece si tiene a Roma. Durerà sei giorni. Per Togliatti valgono il tempo di un anno intero, perché gli sono indispensabili per tentare di rimediare ai danni, considerati irreparabili da molti, subiti dal comunismo internazionale in dieci mesi. Consapevole della spinta propulsiva che il mito di Stalin continua ad alimentare nella vulgata esistenziale che tiene unito il popolo comunista intorno al Pci, convinto dell’inadeguatezza politica di Nikita Krusciov, dubitando che il XX congresso possa rappresentare il punto di partenza per la rifondazione del comunismo sovietico e ancora meno della società russa, riesce a trasformare la «via italiana al socialismo» in un sofisticato teorema politico in cui possono convivere sia l’idea palingenetica di una rivoluzione bolscevica sia la via democratico-parlamentare per realizzare l’obiettivo di una completa, seppure graduale, trasformazione socialista della società italiana. Facendo leva sul pensiero politico di Antonio Gramsci, non solo padre nobile della storia ma soprattutto indiscutibile fonte di legittimità nella politica in atto, Togliatti predispone la rete del suo potere sul terreno nazionale e internazionale. Modulando la sua azione sui tasti del rinnovamento culturale e delle inedite aperture ideologiche, sfruttando tutto il prestigio che si è conquistato sopravvivendo alle tempestose intemperie della militanza stalinista, il segretario del partito mette al centro di ogni sua azione politica la difesa e la sopravvivenza del Pci così come lui lo ha rifondato e via via modellato a partire dal 1944.57

L'ultimo comunista: La presa del potere di Giorgio Napolitano
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