Attenti al lupo

A Rimini nevica il 1° febbraio 1991. I lavori del XX congresso del Pci si sono aperti il giorno precedente nei locali della fiera in un clima di euforia politica. La scena è dominata da un muro rosso che più rosso non si può. C’è anche, però, tanto verde quercia. La colonna sonora contempla ancora l’Internazionale, che subito sfuma, incalzata da La storia siamo noi di Francesco De Gregori. Si ascolta anche Imagine di John Lennon e persino Attenti al lupo di Lucio Dalla. La vignetta editoriale di Giorgio Forattini su «la Repubblica» inaugura il congresso con una quercia chiomata con le fattezze baffute del segretario, che viene segata alla base da Giorgio Napolitano che tira da destra, vestito come un marine, e Pietro Ingrao che tira da sinistra, armato di pistola e kefiah. Dice la scritta: «Pds: partito della sega». Non fa molto ridere oggi, e nemmeno allora. Ma coglie il punto politico fondamentale.

Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci, si prepara a diventare il primo segretario del Pds. Si immagina già l’incoronazione alla fine dei lavori, giusto in tempo per occupare la scena dei telegiornali delle 20 e le prime pagine dei quotidiani l’indomani. Per diciassette mesi, dal giorno della Bolognina, il Pci ha vissuto in presa diretta con giornali e televisioni la sua fine e il Pds la sua nascita. E Botteghe oscure, figura dell’antonomasia storica scelta per rappresentare, quasi per onomatopea concettuale, il luogo deputato a nascondere gli arcana del comunismo italiano, ha subito una mutazione profonda, diventando la scena primaria del racconto politico quotidiano. Si crea una straordinaria simultaneità fra cronaca e storia. Se ne era accorto già Forattini, che in una vignetta aveva rappresentato Eugenio Scalfari nei panni di Geppetto che tira le fila di un burattino uguale a Occhetto.

Si sa che i giornalisti non votano a Botteghe oscure, ma sicuramente partecipano. Si costruisce così uno straordinario romanzo in pubblico, scritto giorno per giorno, che nel gioco delle risposte e delle smentite produce nuove narrazioni. Le metafore di Giampaolo Pansa per «la Repubblica» diventano proverbiali quanto i binocoli con cui cerca di cogliere persino i più intimi trasalimenti dei volti schierati sul palco della nomenklatura. Le interpretazioni di Paolo Mieli su «La Stampa» fanno scoprire il senso ultimo delle parole dette il giorno prima. Le attente analisi di Antonio Padellaro si leggono come capitoli di un libro di storia in fieri. Le cronache di Paolo Guzzanti hanno l’andatura emotiva di una sceneggiatura cinematografica. Le anticipazioni di Mino Fuccillo funzionano come previsioni informate dei fatti. Le istantanee di Francesco Merlo svelano insospettabili macchiette della commedia italiana. Stefano Folli ne spiega la chimica segreta. Filippo Ceccarelli tramanda tic e ossessioni dei protagonisti, ne colleziona profili e ritratti catalogandoli per sempre come le figure di un bestiario medievale.

Poi c’è la satira. Quella di Forattini e quella di «Cuore», il supplemento umoristico de «l’Unità» che ha sostituito «Tango». Michele Serra va in giro con le prime copie del nuovo giornale, per la prima volta in edicola da solo. Titolo di una finta intervista a Occhetto: Siamo d’accordo su tutto, basta che non si parli di politica. Ormai i comunisti hanno imparato a convivere con lo sberleffo antisistema e hanno scoperto che la satira è la continuazione della politica con altri mezzi. Pds, Partito della satira, si scherza fra i congressisti.

Eppure, nonostante la frenesia mediatica intorno al Pci, il centro del mondo è altrove. Le prime pagine e i telegiornali di prima serata sono monopolizzati dall’operazione Desert Storm, i bombardamenti in diretta contro Saddam Hussein, che non vuole ritirarsi dal Kuwait. La guerra è scoppiata da due settimane, dopo il fallimento dei tentativi di mediazione di Mitterrand. Ci sono anche i Tornado italiani. Sono già partite le navi della marina militare. La sinistra chiede che siano richiamate. Occhetto pensa si possa mediare con una richiesta di cessate il fuoco unilaterale sotto le bandiere dell’Onu. Il secondo giorno del congresso Napolitano si alza dalla platea e si scaglia non solo contro la sinistra ma anche contro il segretario, annunciando l’opposizione dei miglioristi. È convinto che il pacifismo a oltranza nasconda riflessi neocomunisti, antiamericani e terzomondisti, sottili tossine ideologiche che dal Pci stanno per transitare nel Pds. Dalle memorie di un migliorista emerge un’immagine inconsueta di Napolitano che, issato su un tavolo in una stanza senza sedie della Fiera di Rimini, arringa la sua corrente, come Lenin a San Pietroburgo.206

L'ultimo comunista: La presa del potere di Giorgio Napolitano
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