Ritorno a casa

«Bisogna applicare le ultime decisioni: Napolitano segretario della federazione e Alinovi a Roma. Da parte nostra dobbiamo abbandonare ogni incertezza verso i compagni napoletani e aiutarli a portare in porto questa soluzione»: l’appunto, firmato da Pietro Ingrao, non ci dice da chi siano state prese le «ultime decisioni», ma il fatto che precedano di un bel po’ la regolare convocazione del X congresso della federazione napoletana documenta in modo inequivocabile quanto e come il percorso politico di Napolitano sia deciso e seguito passo passo dal vertice del partito. Il segretario di Napoli, insomma, si fa a Roma.100

Il congresso si tiene il 17 e il 18 novembre 1961 al cinema le Ginestre in piazza San Vitale a Fuorigrotta. Si contano 500 delegati. Abdon Alinovi, senza infingimenti, non solo si presenta come segretario uscente, ma annuncia subito che andrà a lavorare a Roma. Formula la rituale autocritica e augura migliore fortuna al suo successore. Per trasformare la scelta di Roma in un voto democratico, i delegati esercitano il proprio diritto asserragliati nella sezione di Fuorigrotta, cacciando fuori anche illustri esponenti del comunismo napoletano, fra cui il senatore simbolo del Pci napoletano, l’avvocato Mario Palermo. Temendo un colpo di scena, Ingrao ha chiesto e ottenuto il voto palese. Annota malignamente il questurino, che scrive mentre ancora è in corso lo scrutinio: «È opinione diffusa che nuovo segretario responsabile della federazione provinciale comunista napoletana sarà l’on. Giorgio Napolitano, il quale, per espressa decisione della direzione del partito, dovrebbe successivamente dimettersi dalla carica di parlamentare». Così sarà. È già nato il primo figlio, chiamato Giovanni in memoria del padre, ma la casa non sarà al Calascione, il quartiere familiare, bensì al Vomero: un appartamento non grande ma con una terrazza che spazia su tutto il golfo e si affaccia sul bosco di villa Lucia.101

Napolitano non trascura però il lavoro a Roma: al piano nobile di Botteghe oscure non manca mai una riunione. Nel dicembre del 1962 sarà chiamato a far parte della direzione del partito, spesso presieduta dallo stesso Togliatti. A Napoli rimarrà in carica dal 1962 al 1966. Da un appunto di Ingrao, stilato in margine al congresso, possiamo capire il lavoro che lo aspetta: «Napoli – breve giudizio sul congresso: non buono. Dibattito debole e carente. Ben orientato sui problemi internazionali, orientato in modo settario sui problemi interni. Discutibili e non buone le questioni vita interna di partito con forti presenze democraticistiche, mancanza autodisciplina. Forme personalistiche. Voto palese – unanimità. Segretario; Napolitano Giorgio che ha sostituito Alinovi».102

La federazione non è mai riuscita a trovare uno status di normale quotidianità politica. Prima di tutto c’è la situazione delle finanze, letteralmente disastrosa: i debiti che incalzano, le tessere che calano e i funzionari che aumentano. La necessità di abbassare i costi riducendo comitati e commissioni aveva provocato furiose lamentele, lettere di protesta, perfide delazioni contro i dirigenti accusati, ingiustamente in verità, di vivere a spese del partito sotto la protezione di Botteghe oscure. Se ne interessa pure la questura, che in un rapporto del 2 febbraio insinua che Napolitano abbia promesso ai comunisti che hanno perso incarichi retribuiti «un impiego presso la locale amministrazione provinciale». Preoccupa l’imminenza delle elezioni del 1963. Di fatto Napoli, e più in generale la Campania, sono rimaste fuori dagli schemi classici del Pci. Una realtà sociale problematica, una base irrequieta, militanti pieni di affanni, una riforma agraria che non ha funzionato, poca base operaia e un vasto mondo contadino diviso tra poverissimi braccianti, piccoli proprietari poveri e grandi proprietari. Ricchi, ma nemmeno poi tanto.103

Napolitano conosce bene il contesto in cui opera e nel quale potrebbe sprofondare. Reagisce con un’instancabile attività, non solo politica: organizza convegni sull’Iri, sulla situazione del porto di Napoli, sull’industrializzazione, e non smette mai di battersi per l’unità delle sinistre, almeno sul piano sindacale. Il rapporto con il Partito socialista è una sua costante preoccupazione. In un quasi totale isolamento. Questo lavoro «matto e disperatissimo» darà buoni frutti e i risultati elettorali del 1963 gli danno ragione: a Napoli i comunisti avanzano, come nel resto d’Italia. La Democrazia cristiana perde e calano anche i socialisti, entrambi penalizzati dai primi tentativi dell’alleanza che porterà al centrosinistra, battezzata un anno prima da Giulio Andreotti con la famosa battuta sui «casti connubi».104 Il consenso al Pci supera per la prima volta un quarto degli elettori, ma fra i 166 deputati comunisti Napolitano non c’è. Per via dell’incompatibilità del ruolo di segretario di federazione con l’incarico parlamentare, è la ragione ufficiale. Non è improbabile però che quell’esclusione sia dovuta all’onda lunga della rottura fra Amendola e Togliatti.

È probabile che la morte improvvisa e inaspettata del segretario abbia cambiato la prospettiva da cui osservare lo scontro interno al vertice del Pci e valutarne i possibili esiti. I tre articoli che Amendola, sollecitato da Norberto Bobbio, pubblica su «Rinascita» fra ottobre e dicembre del 1964 per proporre il «partito unico del movimento operaio» forse non sarebbero mai stati scritti con Togliatti segretario. Pur ribadendo la condanna della scelta socialdemocratica, Amendola pone al partito il problema di spostare la sua prospettiva politica dal campo comunista all’area socialista e viene accusato di aver svalutato l’intera storia del Pci. Napolitano lo difende, ma di fatto anche lui, che farà del rapporto con il Psi una costante della sua politica, considera prematuro il tentativo di condizionare il Pci ancora orfano di Togliatti. Longo, con una commissione di cui fa parte anche Berlinguer, riuscirà a far sbiadire le tinte forti della provocazione amendoliana.105

L'ultimo comunista: La presa del potere di Giorgio Napolitano
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