Un paradosso storico
Ecco: Napolitano al Quirinale riempie quel deficit storico. Prima di lui ci aveva provato Massimo D’Alema come presidente del Consiglio. Ma non era stato un grande successo. Con Napolitano invece le antiche stigma del comunismo funzionano come la forza propulsiva per la presa del potere del Quirinale. E se gli ha fatto sempre difetto una chiara esposizione della teoria, soffocata dalle necessità semantiche codificate nella «neolingua» di partito, è nella prassi quotidiana che il suo pensiero si rivela. Così, se nel 2006, nel discorso di insediamento, ancora diceva che al presidente spetta un ruolo di «garanzia», di «moderazione e persuasione morale», nell’intervista rilasciata a Eugenio Scalfari il 5 luglio 2012 sceglie il registro basso della confessione personale per spiegare la sua rivoluzione costituzionale con una sola battuta: «In questi sei anni di Quirinale ho potuto meglio comprendere come il presidente della Repubblica italiana sia forse il capo di Stato europeo dotato di maggiori prerogative». E specifica: persino i re, seppure storicamente importanti, sono «figure […] essenzialmente simboliche».
Il Napolitano introverso, il comunista liberale, il riformista rivoluzionario: è sempre stato facile celiare sulle stranezze del suo stile. E il ricorso alla figura retorica dell’ossimoro, la convivenza degli opposti, rispecchia una predisposizione non solo politica, ma anche etica e morale. Napolitano si sente ancora un comunista, a suo modo speciale, come rivela un episodio di certo marginale rimasto sommerso nelle cronache quotidiane, ma che racconta un impeto interiore, un sentimento di sé radicato nel profondo.
Al Teatro Eliseo di Roma, il 15 novembre 2012, è previsto che il presidente concluda i lavori degli Stati generali della cultura promossi da «Il Sole 24 Ore»: sul palco, insieme al direttore del giornale, c’è Roberto Napoletano, quasi omonimo del presidente. Fra due grandi intellettuali un po’ indignati, Carlo Ossola e Andrea Carandini, siede un nutrito gruppo di ministri fra cui Lorenzo Ornaghi dei Beni culturali. La contestazione dalla sala e dai palchi affollati parte improvvisa. E si capisce subito che è ben organizzata. Fra urla e invettive protestano i precari della cultura, intervenendo a macchia di leopardo dai palchi e dalle balconate. Ne nasce un processo dal vivo contro l’imbelle Ornaghi, l’imputato principale. Cosa succederà quando comincerà a parlare Napolitano? Si teme il peggio, ma fin dalle prime parole si capisce che ha vinto: anche lui mette sotto accusa, senza mezzi termini, l’assenza di una politica culturale del governo Monti. E se la prende con Ornaghi. Applausi! Ma non è finita: quando viene il momento di ripiegare i fogli, si trattiene ancora sul podio e si rivolge ai contestatori: «Anche io ho fatto nel passato il comiziante…». È l’incipit di un pistolotto in cui racconta che anche a lui è capitato, militante comunista per professione, di interrompere comizi o viceversa rispondere ai provocatori. Come a dire: se mi aveste interrotto avrei ben saputo come rispondervi a tono. Perché sono stato e sono ancora un comunista.
Certo, un comunista togliattiano, amendoliano, liberale, socialdemocratico, di destra… Un «comunista di classe». Op-pure, come lo ha definito al momento dell’elezione Raffaele La Capria, su «Il Mattino» di Napoli, «comunista liberale alla napoletana». La pietra filosofale su cui Napolitano ha costruito il più politico dei settennati della storia repubblicana è stata però la sua risolutezza nell’evitare che gli aggettivi sopravanzassero il sostantivo. Un settennato comunista, potrà dire la storia, distinguendo fra forma e contenuto, metodo e ideologia.
«Buscar el Levante por el Poniente.» La formula usata da Cristoforo Colombo per rappresentare il paradosso geografico che l’avrebbe portato alla scoperta dell’America funziona bene anche per spiegare il paradosso politico del comunismo italiano: cercando a Est il riscatto ideale delle masse proletarie e contadine attraverso la rivoluzione, il Pci finì per scoprire a Ovest i dispositivi ideali e concreti per garantire democrazia e libertà: «Trovare il Ponente passando per il Levante».